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Perché la teologia deve occuparsi di ecologia?

L’attenzione alla creazione nella tradizione ortodossa e nel pensiero di Bartolomeo I

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 “Ognuno si penta del proprio modo di maltrattare il pianeta”: così scriveva papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’, citando il patriarca ecumenico Bartolomeo I. Perché questa attenzione al pianeta da parte di due leader spirituali? Qual è il valore teologico e spirituale di tale richiamo?
Il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, porta avanti dal 1989 una riflessione di profonda sensibilità ecologica, tale da ispirare papa Francesco nella redazione della sua enciclica ecologica. Il volume Nostra madre terra, edito dalla Qiqajon, raccoglie diversi testi del patriarca sul tema. Il libro rappresenta una sorta di versione ortodossa della Laudato si’ di papa Francesco.
In primo luogo, la preoccupazione ecologica rientra nella dimensione della com-passione per il “grido di dolore di milioni di nostri compagni di umanità” che subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici provocati da altri. Non di rado, le vittime dei cambiamenti climatici sono spesso quelli che non li hanno causati e quelli meno attrezzati per fronteggiarne le conseguenze.
Bartomoleo sottolinea anche che la crisi ecologica è nella sua essenza anche una crisi spirituale ed etica. Il mondo, come risulta dalle prime pagine della Bibbia, è creato da Dio e affidato all’uomo “affinché lo lavori e lo custodisca” (Gen 2,15). L’uomo non è proprietario della creazione, ma sono oikonomos e amministratore. La sacralità del mondo, il suo essere specchio e icona è stato canonizzato dal settimo concilio ecumenico (Nicea II) celebrato dai fratelli d’Oriente come festa dell’Ortodossia. La venerazione delle icone è riconoscimento che Dio ha salvato tramite la materia, la carne di Cristo. Celebre è il detto di san Giovanni Damasceno: “Non cesso di venerare la materia, attraverso la quale è stata operata la salvezza”.
La coscienza della materia trasfigurabile giunge al culmine con il sacramento dell’Eucaristia dove i doni terreni del pane e del vino sono offerti a Dio che li restituisce all’uomo come copro del Cristo vero Dio e vero uomo. Scrive Bartolomeo I: “Nel sacro momento della consacrazione dei santi doni, il pane e il vino, questi doni della creazione materiale, saranno elevati dalle mani del ministro a nome di tutta la chiesa, per essere ‘offerti’, cioè restituiti nuovamente al Donatore e Creatore, come ‘ciò che è tuo preso da ciò che è tuo’, che noi gli offriamo ‘in tutto e per tutto’. Questo è il momento ecologico per eccellenza della chiesa”. L’Eucaristia, inoltre, collega l’ecologia alla giustizia sociale perché il dono che Dio ridona è dato a noi per essere condiviso, per creare comunione.
Un altro aspetto della tradizione spirituale che si collega all’ecologia è l’ascetismo. Questi è spesso frainteso come odio della materia e della vita corporale. In realtà, gli asceti trattano il corpo con grande sacralità riconoscendolo come “tempio dello Spirito Santo” (cfr 1Cor 6,19). Con l’ascesi e con il digiuno non si combatte contro il corpo ma contro la philautia, contro l’amore proprio disordinato che è un non-amore per se stessi e per Dio. L’approccio ascetico alla creazione, l’approccio continente è una risposta concreta e pragmatica all’avidità che sta schiacciando il nostro pianeta sotto il peso dei nostri egoismi sfrenati.
Sant’Antonio abate vedeva nella creazione un libro che parla di Dio: “Il mio libro è la natura degli esseri creati: in esso io leggo le opere di Dio”. Ci ricorda il Salmo 19: “I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento” (v. 2). E san Massimo il confessore insegna che “la creazione è un libro sacro, le cui lettere e sillabe sono gli elementi universali del creato, come del resto la Scrittura è uno splendido mondo costituito dal cielo, dalla terra e da ciò che sta nel mezzo”. Da qui, il patriarca ecumenico esprime la sua meraviglia che come cristiani ancora non abbiamo iniziato a considerare l’inquinamento e la distruzione dell’ambiente come un peccato.
L’attenzione ecologica è un dovere e un potere. È un dovere perché non siamo despoti ma depositari della creazione. È un potere perché è l’occasione di rinnovare i nostri occhi, i nostri cuori, vivere il rapporto a tutto come un gesto spirituale di gratuità e di libera e liberante accoglienza.
Questo potere è magistralmente espresso dalle parole di Dostoevskij: “Amate tutte le creature divine, l’intera creazione come ciascun granello di sabbia. Amate ogni fogliolina, ogni raggio divino. Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa. Se amerete ogni cosa, in ogni cosa coglierete il mistero di Dio. E una volta che lo avrete colto, lo comprenderete ogni giorno di più, giorno dopo giorno. Arriverete, finalmente, ad amare tutto il mondo di un amore onnicomprensivo, universale. Amate gli animali: Dio ha donato loro i rudimenti del pensiero e una gioia imperturbata. Non siate voi a turbarla, non li maltrattate, non privateli della loro gioia, non contrastate il pensiero divino”.

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Robert Cheaib

Docente di teologia presso varie università tra cui la Pontificia Università Gregoriana e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Svolge attività di conferenziere su varie tematiche che riguardano principalmente la pratica della preghiera, la mistica, l’ateismo, il rapporto tra fede e cultura e la vita di coppia. Gestisce un sito di divulgazione teologica www.theologhia.com. Tra le sue opere recenti: Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana (Edizioni san Paolo 2013); Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata (Il pozzo di Giacobbe 2015); Rahamim. Nelle viscere di Dio. Briciole di una teologia della misericordia (Tau Editrice 2015); Il gioco dell'amore. 10 passi verso la felicità di coppia (Tau Editrice 2016); Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio (San Paolo 2017).

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