Il bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco è stato segnato dall’avvicendamento alla guida della Pontificia Università Salesiana. Lo scorso 16 luglio, un mese prima della grande festa per il fondatore, don Mauro Mantovani è stato nominato rettore dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica.
50 anni, originario di Moncalieri (Torino), don Mantovani è salesiano dal 1986 ed è stato ordinato sacerdote nel 1994. Dottore in filosofia all’Università di Salamanca e in teologia all’Angelicum di Roma, è docente di filosofia teoretica alla Salesiana, dove è stato vicerettore e decano della facoltà di Scienze della comunicazione sociale.
Al colloquio con ZENIT, il nuovo rettore ha sottolineato la vocazione dell’educazione salesiana e, più in generale, cattolica: essere un “faro luminoso” che richiami ad un “nuovo umanesimo”, in grado di riportare l’interesse dei giovani verso tutto ciò che è vero, buono, bello e capace di rendere felici nel tempo e nell’eternità.
Può raccontarci com’è nata la sua vocazione salesiana e cosa più l’ha attratta del carisma di don Bosco?
Sono originario di Moncalieri (Torino), ed ho conosciuto i salesiani grazie agli studenti di Teologia che dal nostro Centro studi di Torino-Crocetta venivano ad aiutare nella mia parrocchia per le attività dell’oratorio. Sono stato attratto dal loro spendersi gioioso e generoso per i giovani, soprattutto verso quelli più in difficoltà, vissuto come esperienza profonda di amore a Gesù e alla Chiesa.
Che bilancio trae dell’appena trascorso bicentenario del vostro fondatore?
Il Bicentenario della nascita di don Bosco è stato un momento di grazia per tutta la congregazione, un’occasione per sentire come il nostro fondatore sia stato e continui ad essere un dono non solo per i salesiani ma per tutta la Chiesa e la società. Per me ha rappresentato un nuovo appello ad una fedeltà dinamica alla vocazione ricevuta, chiedendomi che cosa significa nella mia vita di tutti i giorni, con le sue gioie e le sue fatiche, le sue sfide e le sue opportunità, il cercare di essere e di fare “come Don Bosco”. Al Bicentenario siamo giunti con un triennio di preparazione e di approfondimento della storia, della pedagogia e della spiritualità salesiana. Come ha ricordato il nostro Rettor Maggiore, si è trattato di “guardare al passato con gratitudine, al presente con speranza, e per sognare il futuro di missione evangelizzatrice ed educativa”. La chiusura delle celebrazioni si è svolta al Colle Don Bosco il 16 agosto scorso, alla presenza di tanti giovani di tutto il mondo, e con lo slogan Come Don Bosco, con Don Bosco, per i giovani, che è diventato un programma di vita e di azione da realizzare.
Lei insegna all’università e la scorsa estate è diventato rettore. Qual è il legame profondo che unisce i salesiani impegnati negli oratori (spesso a contatto con giovani disagiati) ai loro confratelli che formano le future classi dirigenti della società?
Il “cuore” della vocazione salesiana è di essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri. Ciò si realizza in diverse modalità, con un’azione pastorale indirizzata agli ambienti popolari, alla missione evangelizzatrice, alle aree del disagio ecc., ma sempre con una prospettiva di educazione integrale della persona, quindi attenta anche alla dimensione intellettuale e professionale della formazione, insieme a quella morale e religiosa. Don Bosco stesso, che da giovane ha compiuto grandi sacrifici per la sua stessa istruzione e formazione, ha indicato nella “ragione” – insieme con la “religione” e l’“amorevolezza” – la base del suo sistema educativo. Sulla scia del nostro fondatore, l’educazione, attraverso l’istruzione e la formazione, fa parte del nostro “DNA”, e ciò rende ragione anche dell’esistenza di un’Università Salesiana, nata a suo tempo per rispondere alle esigenze di preparazione e formazione dei nuovi membri della Congregazione salesiana, ma che oggi svolge uno specifico servizio culturale alla Chiesa e alla società aperto a studenti e di studentesse di tutto il mondo e di tutte le vocazioni.
In qualità di rettore quali sono le sfide più importanti che sta affrontando?
L’UPS è impegnata quest’anno nella formulazione del nuovo Progetto Istituzionale e Strategico, che delineerà i nostri obiettivi e le nostre priorità nei prossimi anni. Si tratta allora, anzitutto, di accompagnare questo lavoro, in vista di una progettualità comune e di una convergenza del lavoro di ricerca e di didattica di ciascuna delle sei Facoltà, che nella loro specificità sviluppano tutte una trasversalità carismatica rappresentata dall’interesse e dalla specializzazione per tutto ciò che riguarda i giovani e il mondo dell’educazione. All’Università abbiamo le tre Facoltà ecclesiastiche “classiche” (Teologia, Filosofia, Diritto Canonico), e le Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche, di Scienze della Comunicazione sociale, e di Scienze dell’Educazione.
Da non pochi anni si parla di una crisi dell’educazione cattolica, che si inserisce nel quadro più ampio dell’emergenza educativa. Cos’è che, a suo avviso, potrebbe rivitalizzare la scuola e l’università cattoliche, tornando a farne un modello per l’intero sistema educativo?
La sfida dell’emergenza educativa oggi attraversa l’intera società, e investe ovviamente la questione dell’educazione cattolica. Il contributo delle scuole e delle università cattoliche diventa così sempre più determinante per offrire una visione ed una pratica della formazione in prospettiva di “nuovo umanesimo”, ossia mettendo al centro la persona nella sua pluridimensionalità, nella sua unicità e originalità, nel suo essere a “immagine e somiglianza” di Dio, chiamata a realizzarsi nell’apertura all’Assoluto, nella relazione e nella donazione di sé, a crescere nelle virtù morali, superando l’egoismo e mettendo a disposizione generosamente le proprie risorse e capacità non per propri interessi personali ma per il bene comune. Le nostre istituzioni dovrebbero diventare sempre più dei “fari luminosi” per offrire esperienze concrete e buone pratiche di educazione al dialogo e all’incontro, e al superamento della cultura dell’indifferenza e dello scarto. Sto leggendo su questi temi i due testi del nostro docente psicologo salesiano, prof. Sandro Ferraroli, editi da ElleDiCi, dai suggestivi titoli Educare si può. Famiglia e scuola insieme e Educare si deve. Educatori appassionati e significativi, che mi sento senz’altro di consigliare.
Avanzano – anche a scuola e all’università – modelli culturali e antropologici considerati molto discutibili. Gli educatori cattolici devono mettere in guardia i giovani o, piuttosto, insistere sull’aspetto costruttivo e sul “metodo preventivo” tipicamente salesiano?
Certo, la questione fondamentale è eminentemente antropologica, e su questo non ci si può sottrarre al confronto culturale che in alcuni frangenti richiede anche delle scelte di campo e delle prese di posizione precise, rispettose delle prospettive altrui ma anche chiare e non equivoche. Per esempio sulla scuola e sulla famiglia. Come salesiani, in ogni caso, sulla scia di don Bosco e dell’umanesimo di San Francesco di Sales, crediamo nelle risorse naturali e soprannaturali dell’uomo, pur non ignorandone la debolezza, e preferiamo per questo impegnarci soprattutto sull’aspetto costruttivo e preventivo cercando di cogliere e sottolineare i valori positivi presenti nelle varie culture e anche nella società globalizzata, evitando di gemere continuamente sul nostro tempo. Si tratta pertanto di lavorare per appassionare i giovani a ciò che è autenticamente vero, buono, bello, degno di impegno e di sacrificio, capace di rendere felici nel tempo e nell’eternità. A nuovi stili di vita e di pensiero che rispecchino veramente la sapienza del Vangelo, così antica e sempre così sorprendentemente nuova, quando la si vive e la si trasmette.
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L’eredità di don Bosco: un “faro luminoso” contro la cultura dell’indifferenza
Don Mauro Mantovani, rettore della Pontificia Università Salesiana dallo scorso luglio, si sofferma sull’emergenza educativa e sul sempre attuale “metodo preventivo”