La Croce, mistero di Dio e mistero dell'uomo

Al centro dell’ultimo libro del prof. Alessandro Meluzzi

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di Mirko Testa

RIMINI, domenica, 30 agosto 2009 (ZENIT.org).- Nella dimensione del dono e del sacrifico, incarnati nella Croce, l’uomo incontra se stesso e Dio.

E’ questo in sintesti quanto emerge dalle pagine di “Abbracciare la Croce. Dolore, libertà e tenerezza in Dio”, l’ultimo libro del prof. Alessandro Meluzzi, famoso medico, psichiatra e psicoterapeuta, presentato il 26 agosto scorso presso lo stand delle Odizioni OCD allestito durante il Meeting di Rimini.

Fondatore delle comunità di accoglienza del disagio psichico ed esistenziale per minori e adulti “Agape Madre dell’Accoglienza” e ordinato ipodiacono nel rito greco-melchita cattolico, Meluzzi è inoltre Direttore scientifico della Scuola Superiore di Umanizzazione della Medicina.

Nel corso della presentazione, l’autore ha osservato che l’esperienza del lutto, così come quella dell’abbandono, della perdita, della frustrazione e della sconfitta sono esperienze costitutive e inevitabili della condizione umana.

Nel dolore e nel momento della prova si affacciano, tuttavia, domande e risposte che riguardano il senso più profondo dell’uomo, che lo spingono a levare lo sguardo alla ricerca del divino.

Da qui l’invito che percorre tutta l’opera a guardare al dolore come un’occasione per ritrovare se stessi e alla vita umana “come gioiosa salita al Calvario”. 

La Croce si accompagna però a una consolazione: “Sappiamo che Dio condivide integralmente il mistero dell’umano, e con un atto libero e amorevole sceglie di farsi uomo per condividere – in tutto fuorché nel peccato – la natura umana, che è fatta di morte, di dolore e di croci”.

Dio, che si piega verso l’uomo e che è innalzato sulla Croce, trascina l’intera umanità verso di sé in un abbraccio universale di accoglienza ma anche in una scopera: la scoperta della dimensione divina nascosta nelle profondità del cuore umano.

La scoperta che la dimensione della gratuità e l’orizzonte del dono non possono prescindere dal sacrificio, dal fare il sacro, che è il contrario del ricercare la felicità personale.

La Croce diviene così una “potentissima anche se scomoda scaturigine di senso”.

“La nostra vita ha un senso solo quando diventa dono – scrive nell’introduzione al libro –. Infatti se l’esistenza è possesso perfetto di noi, allora è nulla. La realtà non può essere il risultato di un atto introspettivo privato, tra sé e sé”.

Dio, spiega Meluzzi, “ha imboccato una via d’amore in cui il dolore è inevitabile”, rendendo visibile che “la libertà di scelta porta innegabilmente con sé quote di dolore”. Anzi, aggiunge, “il dolore avvertibile è direttamente proporzionale al grado di libertà che si ricerca”.

Per questo, “il tossicodipendente […] si nega il massimo grado di libertà ricercando l’anestesia, perché solo in essa riesce a vietarsi la possibilità di essere libero e quindi dolente”.

“Così chi ricerca la libertà […] mette in conto non solo la possibilità, ma soprattutto la necessità, la doverosità della sofferenza”, sottolinea.

“Questa libertà dell’uomo – scrive ancora Meluzzi – si rispecchia nella misteriosa libertà di Dio. Dio che lascia libera la creatura di amarlo o di non amarlo tanto da crocifiggerlo; quindi la Croce è il prezzo che Dio paga per riscattare la libertà dell’uomo, non solo per redimerlo, ma per condividere fino in fondo la natura dell’uomo”.

Dall’intima vocazione dell’uomo all’apertura verso il prossimo discende quindi che “la beatitudine si raggiunge se ci si compromette nella relazione della compassione, che significa soffrire insieme all’altro. Allora l’accettazione della relazione con l’altro non può prescindere da un esito inevitabile, ossia il dolore”.

Quindi, afferma, “ci possiamo conoscere soltanto attraverso l’atto della relazione. Infatti se non ci fosse la relazione non ci sarebbe neppure il pensiero, né l’essere, né l’identità. Questa relazione che ha come esito l’amore e il dono è l’essenza del mistero cristiano”.

Nella prefazione al libro, padre Roberto Fornara, Superiore del Centro Interprovinciale dei Carmelitani Scalzi di Roma, spiega che nell’ambito della spiritualità carmelitana, ad esempio, un’esperienza come quella di Giovanni della Croce lega in modo inscindibile sofferenza e amore, libertà e dolore.

“L’esperienza di Giovanni della Croce, fin dalla più tenera infanzia, lo aveva incanalato verso la comprensione della fecondità della prova, ad un livello più ampio, come riferimento alla Croce”, scrive padre Fornara.

“Per lui la Croce è il Vangelo – gioioso annuncio – totalmente dispiegato; è la manifestazione piena dell’agape di Dio. La Croce è il luogo dell’obbedienza d’amore del Figlio al Padre”.

A distanza di quattro secoli – aggiunge –, un’altra grande carmelitana scalza, Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), ebrea, “profondamente figlia del suo popolo, comprende che chi intuisce il valore e il significato della Croce di Cristo, deve prenderla su di sé in nome di tutti”.

La sapienza della Croce, tuttavia, non è solo prerogativa dei santi, dei mistici e dei teologi. “È l’uomo – spiega –, l’uomo in quanto tale che è chiamato quotidianamente a confrontarsi con il mistero della Croce, mistero dell’iniquità, della violenza, del dolore innocente, della guerra, dei soprusi, delle malattie incurabili, della contraddittorietà del reale”.

In coclusione, scrive padre Fornara, il libro del prof. Meluzzi non costituisce “tanto un invito ad abbracciare volontariamente la Croce, quanto piuttosto a lasciarsi abbracciare dal Dio crocifisso, esperto di amore, esperto di umanità”.

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ZENIT Staff

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