Rito romano
XVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 28 luglio 2019.
Gn 18, 20-21. 23-32; Sal 137; Col 2, 12-14; Lc 11, 1-13.
Padre nostro
Rito ambrosiano
X Domenica di Pentecoste
1Re 3,5-15; Sal 71; 1Cor 3,18-23; Lc 18,24b-30
Un Padre che ci dà cento volte di più di quello che abbiamo lasciato per seguire Cristo
- Come preghiamo viviamo da figli.
Il Vangelo di questa domenica ci spinge a riflettere sulla preghiera e a praticarla, mettendoci alla scuola di Cristo. Alla domanda: “Maestro, insegnaci a pregare” Gesù non risponde con una teoria sulla preghiera, sul suo significato e sulla tecnica con cui farla. Molto semplicemente si propone ai discepoli e a noi come esempio di Figlio che parla al Padre e di nostro fratello che prega con noi e ci rivela le domande da fare al Padre suo e Padre nostro. Per questo il modo migliore di imparare a pregare è quello di pregare, come insegna anche M. Teresa di Calcutta, che alla domanda: “Come possiamo imparare a pregare”, lei rispondeva: “Pregando”.
In effetti se la preghiera è il respiro dell’anima, non ci resta che respirare e di respirare bene.
La preghiera di Gesù è la sua comunione con il Padre e anche per noi la preghiera è la nostra comunione con Dio. Noi pensiamo che la preghiera sia una delle cose da fare, come respirare è una delle cose da fare. Se però ci dimenticassimo di respirare un minuto, moriremmo per sempre.
Nella nostra vita ciò che non è in comunione con Dio, ciò che non è frutto di amore, di respiro amoroso, ricevuto e corrisposto, è morte. Anche se facciamo opere buonissime come Marta: tutto morto. Perché la vita è proprio la comunione con Dio, che è l’amore.
La preghiera è l’espressione di questo amore che è la vita stessa di Dio, che è il rapporto tra Padre e Figlio ed è ciò che Gesù è venuto a portare a ciascuno di noi: il suo rapporto con Dio. La preghiera di Cristo deve diventare la nostra con la recita assidua del “Padre (Abbà) nostro”, ricordandoci che l esatta traduzione di Abbà è Papà. Noi stessi siamo figli, adottivi, ma figli, amati, per cui stiamo nella vita, come figli amati, nella gioia, nella pace, nella benevolenza. È bello vivere!
Se come Adamo fuggiamo da Dio, perché abbiamo paura di Lui che ci è Padre, andiamo verso la morte: è la nostra storia, siamo davanti alla morte, alla paura, alla vergogna, al nascondimento, alla violenza. Insomma davanti a Lui siamo figli, siamo noi stessi, lontani da Lui siamo come un osso slogato, fuori posto, sentiamo solo il male di vivere.
2) Il che cosa e il come.
Nel Vangelo “romano” di oggi insegnando il Padre nostro e la parabola dell’amico importuno, Gesù ci dice
- che cosa chiedere a Dio, per essere sempre più familiari a lui, per vincere il male e ottenere tutto ciò che desideriamo. Non va però dimenticato che quando preghiamo con le nostre parole, esprimiamo i nostri sentimenti, desideri e necessità. Invece quando “usiamo” il Padre nostro, facciamo nostri i sentimenti di Gesù verso il Padre e verso i nostri fratelli.
- Come chiederGlielo: con insistenza, fiducia e umiltà, che aspetta tutto dalla bontà onnipotente di Dio, con cui si dialoga. A questo riguardo oggi ci aiuta prima lettura della liturgia romana, che mostra come Abramo sappia dialogare con il Signore, ottenendo pietà per la città dove abita.
E’ un dialogo sempre iniziato da Dio e che ha noi come interlocutori liberi (in latino figlio si dice “liberus”).
Il colloquio, il dialogo (Dio ti ascolta, tu gli puoi parlare, tu sei Suo figlio), questo rapporto vicendevole è una eminente caratteristica del Cristiano, che è redento ed è entrato nella vita divina, come figlio adottivo, ma pur sempre figlio.
Lo schiavo non ha il diritto di parlare, deve accettare soltanto la legge del padrone e obbedire senza obiettare. Nel cristianesimo l’uomo è figlio e non solo ascolta Dio ma anche gli parla; l’uomo è entrato veramente in comunione con l’Eterno, può rivolgersi a Lui e stabilire con Lui il rapporto più intimo: da figlio a Padre. Dunque quando si rivolge a Dio con la preghiera del Padre Nostro riconosce un legame profondo (il termine esatto è ontologico), una unione, una comunione di sangue.
Questa comunione è reale come reale è il sangue che Cristo ha versato per noi sulla Croce. Con questa comunione sacrificale Cristo Risorto ci porta in alto l’umanità: noi siamo chiamati lassù dietro il disegno dell’Amore. Non bisogna vivere alla cieca, ma con gli occhi della fede e della speranza che sa che il Signore viene inaspettatamente, non solo alla fine dei nostri giorni, ma ora, con la sua grazia, per vivere con noi, in contrasto talvolta col nostro atteggiamento determinato da delusioni, scoraggiamenti, contrarietà, ecc.
A questo proposito ci possono essere di aiuto le parole finali del dialogo del cardinale Federico, Arcivescovo di Milano, con don Abbondio: “Ricompriamo il tempo: la mezzanotte è vicina: lo Sposo non può tardare; teniamo accese le nostre lampade. Presentiamo a Dio i nostri cuori miseri, vuoti, perché Gli piaccia di riempirli di quella carità, che ripara al passato, che assicura l’avvenire, che teme e confida, piange e si rallegra, con sapienza: che diventa in ogni caso la virtù di cui abbiamo bisogno” (Alessandro Manzoni[1], I promessi Sposi, cap. XXVI).
3) Perché pregare?
Si possono dare varie risposte. Quella che ritengo importante proporre è che la preghiera è necessaria alla vita integrale come l’aria. Occorre pregare per vivere e per vivere occorre respirare La preghiera è il respiro dell’anima, del cuore, di tutto il nostro essere.
Nel secolo scorso, un celebre medico ateo, Alexis Carrel, si convertì a Lourdes assistendo personalmente ad un miracolo: vide guarire sotto i suoi occhi un malato terminale al quale aveva egli stesso diagnosticato il male inguaribile. Si convertì. Più tardi scrisse anche un libro sulla preghiera, esprimendosi così: “Quando la preghiera è veramente presente, la sua influenza è paragonabile a quella di una ghiandola a secrezione interna, come la tiroide o le surrenali, per esempio. Il senso del sacro è analogo al nostro bisogno di ossigeno e la preghiera è analoga alla respirazione”.
Se poi sfogliamo le pagine dei libri di storia della Chiesa, vi leggiamo come la preghiera come era vissuta già dai primi monaci in Oriente, si accorge che il problema della respirazione è ritenuto fondamentale
- Antonio Abate era solito salutare i suoi compagni nel deserto, dicendo loro: “Respirate Cristo!”.
I primi monaci avevano inventato una formula di preghiera brevissima: “Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore”, e la formula – ripetuta un’infinità di volte – doveva accompagnare il ritmo della respirazione.
- Giovanni Climaco insegnava: “Bisogna che il ricordo di Gesù si unisca intimamente al tuo respiro, e conoscerai il segreto della pace interiore”.
- Ignazio di Loyola scriveva nei suoi Esercizi Spirituali: “Bisogna chiudere gli occhi per guardare Gesù nel proprio cuore, e mormorare le parole del Pater, sulla misura del proprio respiro”.
Nei salmi si trova sempre, a metà del versetto, un asterisco (*) che avverte: “Qui devi respirare” e guardare in alto (asterisco sta per astro = la stella): e, in un certo senso, questo respiro e questo sguardo fanno parte della preghiera liturgica.
L’uomo rimarrà vivo finché la radice del soffio di Dio non sarà strappata dai suoi polmoni. Così ha cominciato a vivere il primo uomo e così ognuno di noi comincia a vivere appena esce dal mistero del grembo materno.
Per ogni uomo vivere significa accogliere e conservare in sé questo divino respiro, morire significa che Dio se lo è ripreso.
La Bibbia insegna: “Se Dio richiamasse a sé il suo alito, e in sé concentrasse il suo soffio, ogni carne morrebbe all’istante e l’uomo ritornerebbe polvere” (Gb 34,14-15). Anche nel libro dei Salmi è scritto: “Se alle creature Tu togli il respiro, o Dio, muoiono e ritornano nella polvere. Se invece mandi il tuo spirito, le cose sono create, e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104, 29-30).
San Pio da Pietrelcina diceva spesso: “La preghiera è il pane e la vita dell’anima, il respiro del cuore, un incontro raccolto e prolungato con Dio.”
La Bibbia è piena di respiri-colloqui col Creatore. Gesù ha pregato ed esortato a pregare; i cristiani nei primi tempi erano chiamati uomini di preghiera. Ma è anche molto importante questa sottolineatura che Padre Pio fa della preghiera: essa è incontro raccolto e prolungato.
Raccolto, perché non si può pregare senza prepararsi alla preghiera e se si è pieni di tanti nostri problemi, ansie e preoccupazioni.
Prolungato: perché non è possibile pregare per una manciata di minuti. Occorre del tempo per entrare nella preghiera, purtroppo succede che quando stiamo incominciando a pregare lasciamo lì, dobbiamo andare e con noi se ne va anche la preghiera.
Infine, credo importante segnalare l’esempio delle Vergini Consacrate, che con la lo scelta di una vita di preghiera manifestano lo scopo supremo della preghiera che accompagna con discrezione verso la coscienza di tutti, che accompagna e alimenta un’opera così grande, dettata da emozione, da commozione per l’uomo, per ogni figlio di donna – così come Cristo ci ha dato l’esempio, ci ha reso possibile – sia la lode a Dio ((Rituale della Consacrazione delle vergini, n 68: “Ricevete il libro di preghiera della Chiesa. Non cessate mai di lodare Dio e di intercedere per la salvezza del mondo”), la gloria di Cristo. Perché gloria di Cristo vuol dire il benessere più grande per l’uomo; vuol dire una umanità migliore. È per questo che noi perseguiamo Cristo e non lo abbandoniamo, anche se ripetiamo senza accorgercene quello che disse Pietro: “Cristo, se andiamo via da Te, dove andiamo? Tu solo hai parole di vita eterna” (cfr. Gv 6,68).
Poiché ci sono molti commenti sul Padre nostro, questa volta ho preferito proporre due Letture quasi patristiche per mostrare il “Che cosa” e il “come pregare”
1) Parafrasi del “Padre Nostro” di San Francesco d’Assisi,
che aiuta a capire “che cosa” chiedere a Dio
O santissimo Padre nostro,
creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.
Che sei nei cieli,
negli angeli e nei santi,
illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce;
infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore;
ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine,
perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno,
dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene.
Sia santificato il tuo nome,
si faccia luminosa in noi la conoscenza di te,
affinché possiamo conoscere l’ampiezza dei tuoi benefici,
l’estensione delle tue promesse,
la sublimità della tua maestà
e la profondità dei tuoi giudizi.
Venga il tuo regno,
perché tu regni in noi per mezzo della grazia
e ci faccia giungere nel tuo regno,
ove la visione di te è senza veli,
l’amore di te è perfetto,
la comunione di te è beata,
il godimento di te senza fine.
Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra,
affinché ti amiamo con tutto il cuore sempre pensando a te;
con tutta l’anima, sempre desiderando te;
con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni
e in ogni cosa cercando il tuo onore;
e con tutte le nostre forze,
spendendo tutte le energie e sensibilità dell’anima e del corpo
a servizio del tuo amore e non per altro;
e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi,
trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore,
godendo dei beni altrui come dei nostri
e nei mali soffrendo insieme con loro
e non recando nessuna offesa a nessuno.
Il nostro pane quotidiano dà a noi oggi:
il tuo Figlio diletto,
il Signore nostro Gesù Cristo,
dà a noi oggi:
in memoria, comprensione e reverenza dell’amore
che egli ebbe per noi e di tutto quello
che per noi disse, fece e patì.
E rimetti a noi i nostri debiti
per la tua ineffabile misericordia,
per la potenza della passione del tuo Figlio diletto
e per i meriti e l’intercessione della beatissima Vergine
e di tutti i tuoi eletti.
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
e quello che non sappiamo pienamente perdonare,
Tu, Signore, fa’ che pienamente perdoniamo,
sì che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici
e devotamente intercediamo presso di te,
non rendendo a nessuno male per male
e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti.
E non ci indurre in tentazione
nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.
Ma liberaci dal male
passato, presente e futuro.
Amen.
2) Suggerimenti di Sant’Ignazio di Loyola sul “Come pregare”.
Nel libro degli Esercizi Spirituali, S. Ignazio di Loyola indica diversi modi di pregare. Tra questi vi sono i cosiddetti “tre modi di pregare” (S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, nn. 238-260) che sono adatti a tutti.
Primo modo di pregare.
È un esame di coscienza meditato, che aiuta a conoscere meglio le personali inclinazioni al peccato, ma anche a progredire nella conoscenza dei fondamenti cristiani e dei doni di Dio.
In che cosa consiste?
- All’inizio un momento di raccoglimento, per entrare con più consapevolezza in preghiera.
- Una preghiera preparatoria, per chiedere possibilità di vivere bene questo momento, conoscere i miei errori e la forza di correggermi.
- Il passo successivo consiste nell’esaminare la materia, suddivisa in quattro parti: i dieci Comandamenti, i sette vizi capitali, le tre facoltà umane (memoria, intelletto, volontà) e i cinque sensi del corpo. Quanto tempo? Almeno mezzora.
- Concludo con un dialogo familiare col Signore, chiedendo e ringraziando.
Questo primo modo si presta a molte utilizzazioni pratiche, perché l’elenco della materia non è vincolante. Ad esempio, consente agli appartenenti a Vita Religiosa e Consacrata una verifica sul significato delle regole e dei voti e sulla fedeltà agli stessi.
Può esser poi utilizzato come preparazione più approfondita per la Confessione
Secondo modo di pregare
È una meditazione semplice sulle preghiere cosiddette tradizionali, per riscoprirne profondità e gusto.
Come si fa?
- Anche qui un momento di raccoglimento iniziale, per entrare con più consapevolezza in preghiera;
- una preghiera preparatoria per chiedere possibilità di vivere bene questo momento, apprezzare e gustare la profonda essenzialità di queste preghiere;
- scelgo una preghiera tra quelle abituali (es. Padre Nostro, Ave Maria, Credo) mi fermo su ogni parola, alla quale scoprirò che sono legate immagini, significati, miei ricordi personali. Posso sostare mezzora ma non più di un’ora. Se il tempo non è sufficiente a esaurire la materia, questa stessa può essere ripresa un altro giorno: ad esempio, mi fermo per tutto il tempo sulla parola Padre, che si lega a Dio Creatore, ma anche mi fa pensare al mio padre naturale. E così da queste considerazioni nascono pensieri, affetti del cuore, desideri, a volte anche tristezze.
- Un dialogo a tu per tu con la persona alla quale la preghiera era rivolta (es. Dio Padre o Maria o Gesù), per domandare ciò di cui mi sento più bisognoso. Il fine è tradurre in propositi concreti gli affetti e i desideri che scaturiscono dalla preghiera, sempre legata alla vita di ognuno di noi.
Due precisazioni:
- Le preghiere cosiddette tradizionali parlano di Gesù, del Padre, di Maria, dello Spirito Santo e così via. Già dall’inizio è tengo presente la persona che è descritta nella preghiera.
- Altro punto significativo e molto pratico riguarda l’atteggiamento del corpo: fissare gli occhi su un punto o di chiuderli, per evitare che l’occhio, captando immagini esterne, provochi distrazioni e interferenze.
L’esercizio si può estendere ad altre preghiere liturgiche, quali i Salmi e le Preghiere Eucaristiche della Messa, e può essere utile soprattutto a quanti sono tenuti alla recita ordinaria del Salterio nella Liturgia delle Ore e alla quotidiana celebrazione dell’Eucarestia, specie nei periodi di aridità. Però può servirsene ogni buon cristiano che abbia il desiderio di andare oltre l’apparente semplicità delle preghiere tradizionali, per approfondire e arricchire il valore delle singole parole.
Terzo modo di pregare
Tende a una preghiera che si distacchi sempre più dal pensare per coinvolgere maggiormente il cuore. È legato al modo precedente, in quanto ha in comune i medesimi atti preparatori e la stessa materia. L’elemento caratteristico del terzo modo, rispetto al secondo, è la maniera di procedere. Perché?
- Dopo la preparazione e dopo aver scelto la preghiera, utilizzo il ritmo respiratorio. Cioè ad ogni respiro unisco una parola del Pater o di un’altra preghiera scelta. Ricorda i metodi orientali, ma non cerco qui la pacificazione interiore, bensì pensieri, sentimenti e affetti legati a quella parola, senza più bisogno di sforzi mentali anche minimi (come avveniva nel secondo modo).
- Ripercorro dunque la preghiera parola per parola, al ritmo respiratorio. A ogni respiro una parola, alla quale si uniranno senza sforzo e in modo immediato sentimenti, pensieri, ricordi, tutto nello spazio di un respiro. L’acquisizione di un regolare e lento ritmo respiratorio sono strumentali a un’immersione più profonda nel mistero di Dio, senza necessità di soste prolungate sulle parole.
- Una singolarità, rispetto agli altri due modi, è l’assenza di indicazioni circa il dialogo finale, non perché non sia importante, quanto perché, in fondo, questo esercizio in sé è come un lungo
E’ possibile un impiego molteplice di tale modo nei vari campi dell’orazione. Infatti, oltre che favorire una maggiore interiorizzazione delle preghiere tradizionali ed evitare che diventino formule meccaniche, può essere di grande utilità nella recita della Liturgia delle Ore. Unire al salmo il ritmo respiratorio permette di dare risalto ai vari versetti, specie i più espressivi, e di gustarne la profondità, soprattutto quando, per via dell’aridità o di difficoltà, la preghiera diventa una routine.
[1] Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo 1785 – morì il 22 maggio 1873.
Ricevette il battesimo nella Chiesa di San Babila a Milano, compì gli studi nei collegi dei padri Somaschi (a Merate e Lugano) prima, in quello dei Barnabiti (Milano). Fu per anni insofferente e critico nei confronti della religione, ma intorno ai 35 anni ritornò alla fede ed alla pratica cristiana. La conversione non fu improvvisa, ma piuttosto graduale, consentanea al suo carattere analitico, razionale. «Nei misteri della fede la ragione trova la spiegazione dei suoi propri misteri: come è nel sole, che non si lascia guardare, ma fa vedere» (Dell’invenzione). E ancora: «mistero di sapienza e misericordia… che la ragione non può penetrare, ma che tutta la occupa nell’ammirarlo» (Osservazioni sulla morale cattolica, VIII).
Il compito del poeta-scrittore è un servizio alla verità: far emergere, dentro la rappresentazione di un fatto, di una vicenda, la verità di quel fatto, di quella vicenda, che è la verità dell’intera realtà dell’uomo e della storia. Nelle tragedie e nei Promessi Sposi questa intuizione cerca di farsi comprensibile a tutti
Un alto sentimento religioso circola in ogni parte di quel mondo descritto nel romanzo i Promessi Sposi, penetra in ogni vicenda, sfiora anche i personaggi più tristi e i più vili. L’intervento di Dio-Provvidenza negli avvenimenti piccoli e grandi è in ogni momento così forte che ti sembra di poterlo toccar con mano: è una presenza paterna, amorosa e severa, che palpita in ogni cosa; e il poeta l’avverte con la fede semplice e intatta dei suoi contadini, della povera gente: “quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa; c’è anche per noi”; “lasciamo fare a Quello lassù”; “tiriamo avanti con fede, e Dio ci aiuterà”.
Non va poi dimenticato che la produzione letteraria del Manzoni fa di lui uno dei padri della lingua italiana moderna.
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.