Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: L’azione viene dalla contemplazione

XVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 21 luglio 2019

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Rito romano
XVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 21 luglio 2019
Gn. 18,1-10a; Sal 14/15; Col. 1,24-28; Lc. 10,38-42
Marta ospita e Maria accoglie.
 
Rito ambrosiano
IX Domenica di Pentecoste
1Sam 16, 1-13; 2Tm 2, 8-13; Mt 22, 41-46.
Chi è Gesù per me?
 
 

  • Ospitare Cristo.

Oltre  a chiederci di ospitare il Messia in casa nostra come Marta e Maria, le due sorelle di Lazzaro, lasciandoci capovolgere, convertire  da lui, il Vangelo di questa domenica d’estate ci insegna a impegnarci nel lavoro in casa e fuori casa, dando il primo posto a Cristo, che è luce interiore di Amore e di Verità. Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato. E chi ci dà l’Amore e la Verità, se non Gesù Cristo? Impariamo dunque ad aiutarci gli uni gli altri, a collaborare, ma prima ancora a scegliere insieme la parte migliore, che è e sarà sempre il nostro bene più grande.
Le parole con le quali Gesù risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto: «Marta, Marta, ti preoccupi e ti agiti per troppe cose…». Rinchiudere queste parole di Gesù dentro la prospettiva della vita attiva nel mondo (Marta) e della vita contemplativa del chiostro (Maria) significa mortificarle. La prospettiva è più ampia e tocca due atteggiamenti che devono far parte della vita di qualsiasi discepolo: l’ascolto e il servizio. La tensione non è fra l’ascolto e il servizio, ma fra l’ascolto e il servizio che distrae.
Per questo Gesù elogia Maria, che sta ai suoi piedi e si intrattiene ad ascoltare la sua parola, , a differenza della sorella Marta così indaffarata da essere definita dalle cose da fare più che dal suo rapporto con Cristo. Non perché non approvi la premura e l’operosità di Marta e neppure perché esalti come privilegiata la vita contemplativa sulla vita attiva, ma semplicemente perché vede in Maria la predilezione per quella “parte migliore” che “qualifica” e dà senso ad ogni altra attività: la vita contemplativa, l’ascolto e l’attenzione. Certamente l’azione e l’intraprendenza sono in sé lodevoli e per la risultante indispensabile della produttività; ciononostante qualsiasi opera perde il suo valore e si svuota di significato quando non è preceduta da un atto di fede semplice: quello dell’ascolto, dell’attenzione e, soprattutto, della preghiera. Sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola dobbiamo essere “contemplativi nell’azione e attivi nella contemplazione”, affinché possiamo essere capaci di recare agli altri i “contemplata” della nostra vita: Dio, la sua verità ed il suo amore.
L’accoglienza nella carità è espressione di una fede matura e solida. Chi mostra generosità dimostra di credere e di questo ci rende edotti Abramo,  nostro “padre nella fede”.
Per aver accolto con sollecitudine il Signore che gli si era presentato in incognito, questo Santo Patriarca ottiene il grande e straordinario dono di un figlio nonostante la tarda età sua e di sua moglie. Sara si mostra scettica alla promesse di poter partorire in tarda età, ma Abramo si mantiene saldo nella fede in quel Dio al quale nulla è impossibile e che ricompensa adeguatamente chi gli ha usato fedeltà e attenzione. Abramo è il padre della fede e in questa circostanza, nella quale riconosce il Signore nei tre viandanti, li ospita associa la fede alla carità, poiché questa è un derivato della prima. “Il Signore ama chi dona con gioia”, insegna Paolo (2Cor 9, 7) e la vera ragione ultima della gioia è proprio la fede, perché credere e affidarsi è all’origine di ogni atto d’amore.
 
2) Il modo di ospitare di Maria non fu dettato dalla pigrizia, ma dall’amore.
            Non solo Marta, ma anche Maria ha “fatto” qualcosa per Cristo, anzi ha scelto il modo migliore di “fare”.
Ma procediamo con ordine.
La prima Lettura e il Vangelo della liturgia romana ci presentano, tutte e due, un episodio in cui viene messa in pratica l’ospitalità: il modo di Abramo che, secondo me, non è molto diverso da quello di Marta e il modo di Maria, sorella minore di Marta.
I primi due si danno da fare per essere dei buoni ospiti e accogliere colui che viene. Però la gioia della visita, che il Signore fa loro, è diventata “fatica” in Marta e “perplessità” in Sara, la moglie di Abramo.
Immedesimiamoci in questo nostro Padre nella fede, il quale meritò di vedere Dio sotto forma umana e di riceverlo come suo ospite, perché si era offerto a Dio e lo aveva accolto. “Fu elevato fino a Lui, perché non riteneva più nessun uomo finalizzato ad altro, ma considerava ciascuno di loro come tutti, e tutti come uno solo[1]. L’ospitalità data si trasformò nella fecondità desiderata: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio” (Gn 18, 10). Finalmente, dopo venticinque anni d’attesa, Abramo e Sara, poterono dire: “Noi siamo rifioriti come popolo nuovo e siamo germogliati come spighe nuove e prosperose[2].
Immaginiamoci di essere al posto di Marta, che è lieta perché Gesù arriva a casa sua. Ma insieme con Gesù arrivano Pietro, Giacomo, Giovanni, fino a Giuda,  e poi magari anche le donne che Lo seguono. Per cui, il sorriso iniziale nell’accogliere Gesù, a mano a mano che la gente entra in casa, diventa smorfia segno di nervosismo. Marta perde la pazienza con la sorella Maria che non l’aiuta, ed anche col Signore.
Il problema della nostra vita è che nell’accogliere l’altro (e c’è sempre un altro da accogliere), non ci lasciamo sempre abbracciare da Colui che ci genera e ci vuole bene. Il problema, e direi il peccato, è che noi ci teniamo lontani  da Colui che ci genera amandoci. Tutta la fatica, tutta la tristezza, tutta la rabbia e lo spreco di energie vengono dal fatto che, come Marta, siamo definiti più dalle cose da fare per l’Ospite, che  dal rapporto con la persona stessa dell’Amato, che bussa alla porta della nostro cuore e non solo alla porta della nostra casa.
Infine, immedesimiamoci in Maria che vive la venuta di Gesù in casa sua non tanto come una particolare inclinazione, ma come la dimensione propria di ogni cristiano che tiene all’amicizia con Cristo.
Dunque cosa “fa” questa contemplativa? Si siede ai piedi di Gesù e lo ascolta. Ma prima, secondo me, gli ha lavato i piedi. L’aveva già fatto a casa di Simone il fariseo, usando del profumo preziosissimo. Figuriamoci se non l’ha fatto in casa sua per l’amico fraterno che l’aveva perdonata,  che le aveva ridato dignità e vita e che aveva i piedi impolverati per il viaggio.
Se Marta assume nei confronti dell’ospite un ruolo tipicamente femminile, (almeno secondo la mentalità di quei tempi): è tutta indaffarata a preparare la tavola, vediamo che c’è già una novità. Per noi è normale che una donna accolga, invece non era normale per quei tempi: innanzitutto la donna non può accogliere; la casa è dell’uomo e sappiamo che è la casa di Lazzaro, suo fratello. Invece l’evangelista Luca insiste e dice che è una donna che accoglie Gesù. D’altro canto la prima persona che “ospitò” il Verbo di Dio fu una donna: la Madonna.
Maria va ancora più in là di sua sorella, Marta. Si intrattiene con l’ospite, assumendo un ruolo che a quel tempo era esclusiva degli uomini. Inoltre, sedendosi ai piedi del Maestro per ascoltarlo, Maria assume la tipica figura del discepolo. E anche questa è una novità. I rabbini infatti non usavano accettare le donne al proprio seguito, e divenire discepolo era riservato agli uomini. Per Gesù non è così. Anche le donne sono chiamate all’ascolto e al discepolato.
 
3) Alla scuola della Parola.
Il discepolo (come dice il verbo latino dìscere = imparare) va a scuola per imparare. Alla scuola della Parola fatta carne impara che il primo servizio da rendere a Dio – e a tutti – è l’ascolto. E’ dall’ascolto e non dal fare che comincia la relazione. Quando poi la parola si fa sguardo abbiamo la contemplazione.
Forse fra cento anni, si riconoscerà che la più grande rivoluzione dei tempi moderni l’ha fatta la piccola e raggrinzita Santa Teresa di Calcutta. Non tanto per quello che ha fatto e ha fatto fare, che -come diceva lei stessa- era una goccia nel deserto dell’immensa povertà del mondo, ma per lo sguardo con cui, partendo dalla contemplazione di Gesù, ha guardato l’uomo, ogni uomo, dal più povero dei poveri al più potente. Ciò che conta è ascoltare il Signore e le sue parole come faceva il profeta Geremia: “Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti”(Ger 15, 16).
Il Padre disse: “Questi è il mio Figlio, l’Amato, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo” (Mt 17,5; cfr anche Mc 9,6; Lc 9,35): “ascoltate Gesù” e diventerete Gesù nell’ascolto.
È l’atteggiamento della sposa. La sposa è colei che accoglie la Parola, cioè lo sposo. La missione di ogni uomo è essere la sposa di Dio, cioè colui che ascolta, che accoglie la Parola, seme che ci trasforma ad immagine e somiglianza sua.
L’uomo è uomo perché ascolta e diventa la Parola che ascolta. Se ascolta Dio diventa Dio. Concepisce Dio non come concetto, ma come Presenza che cambia spiritualmente e fisicamente la vita e il corpo, come è accaduto alla Vergine Maria, nella quale è rappresentato il vertice dell’umanità.
L’ascolto di Dio da parte nostra è capirlo, concepirlo, lasciarlo entrare e rimanere in noi. L’ospitalità umana è far si che gli altri abitino da noi. L’ospitalità cristiana è far si che l’Altro (Dio) e gli altri abitino in noi. Ed è anche per questo – io penso – che l’ospitalità è così fortemente “comandata” da San Benedetto ai suoi monaci[3].
Va infine ricordato che quando Gesù rimprovera fraternamente Marta dicendo che si affanna e si agita per troppe cose, non contesta il preparare da mangiare, ma l’affanno, non mette in questione il cuore generoso di Marta ma l’agitazione. Le parole con le quali Gesù risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto: “Marta, Marta, ti preoccupi e ti agiti per troppe cose…”. Rinchiudere queste parole di Gesù dentro la prospettiva della vita attiva nel mondo (Marta) e della vita contemplativa del chiostro (Maria) significa mortificarle. La prospettiva è più ampia e tocca due atteggiamenti che devono far parte della vita di qualsiasi discepolo: l’ascolto e il servizio. La tensione non è fra l’ascolto e il servizio, ma fra l’ascolto e il servizio che distrae. Marta è tanto affaccendata nel servire l’ospite che non ha più spazio per intrattenerlo. Diceva un vecchio rabbino parlando di un suo collega: “E’ talmente indaffarato a parlare di Dio da dimenticare che esiste”.
Se anche noi ci sediamo ai piedi di Cristo impareremo la cosa più importante: l’amore, che non è solo la parte migliore è quella buona, distinguendo il superfluo dal necessario, l’illusorio dal permanente, l’effimero dall’ eterno. Dio “agisce” amando e non dobbiamo “fare” altrettanto.
In questo ci sono di esempio le Vergini consacrate, che con la loro dedizione mostrano la verità di questa frase biblica: “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Os 2, 21-22)” e alla domanda dell’odierno Vangelo ambrosiano: “Chi è Gesù per me”, rispondono: “Il mio sposo”, rinnovando il sì detto il giorno della loro consacrazione: “Vuoi essere consacrata al Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio altissimo, e riconoscerlo come sposo?”, “Sì, lo voglio” (Rituale della Consacrazione delle Vergini, n. 14).
Preghiamo dunque così: “Concedici di amare te, per avere in dono te, che sei l’Amore – e donaci di bene operare per rendere tutta la vita una lode a te”(è una delle invocazione delle Lodi del lunedì della II settimana della Liturgia delle Ore).
 
 
Lettura patristica
REGOLA DI SAN BENEDETTO
Capitolo 53: L’accoglienza degli ospiti
 

  1. Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto”
  2. e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini.
  3. Quindi, appena viene annunciato l’arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore;
  4. per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace.
  5. Questo bacio di pace non dev’essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche.
  6. Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza,
  7. adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.
  8. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro.
  9. Si legga all’ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità.
  10. Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all’ospite,
  11. mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.
  12. L’abate versi personalmente l’acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;
  13. lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti
  14. e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: “Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio”.
  15. Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d’altra parte, l’imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé.
  16. La cucina dell’abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall’arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero.
  17. Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve.
  18. A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n’è bisogno, perché servano senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda l’obbedienza.
  19. E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale principio
  20. e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine.
  21. Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio:
  22. in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge.
  23. Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l’incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti,
  24. ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti.

[1] S. Massimo il Confessore, Ep. 2; PG 91, 400.
[2] S. Giustino, Dialogo con Trifone, 119.
[3] Si veda la Regola di San Benedetto, di cui -più sotto- quale lettura patristica, è come proposto il capitolo 53 sull’ospitalità.
***
Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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