Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: Cristiano è chi decide per Cristo e lo segue

XIII domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 30 giugno 2019

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Cristiano è chi decide per Cristo e lo segue.
 
Rito romano
XIII domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 30 giugno 2019
1 Re 19, 16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62
Tu solo hai parole di vita eterna.
 
Rito ambrosiano
VI Domenica di Pentecoste
Es 24,3-18; Sal 49; Eb 8,6-13a; Gv 19,30-35
«È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
 
1) Sequela Christi.
“Sequela di Cristo” è  espressione che sinteticamente descrive l’intera esistenza cristiana. Che cosa vuol dire in concreto “seguire Cristo?”.
Vuol dire che chiedendo ai suoi discepoli a seguirlo, Gesù li ha chiamati a vivere con e come lui e ad amarlo.
In che cosa consiste seguire Cristo?
Vuol dire che siamo chiamati a diventare eco dell’avvenimento di Cristo, a diventare noi stessi “avvenimento”, perché il cristianesimo, prima di essere un insieme di dottrine o una regola per la salvezza, è  l’ “avvenimento” dell’ incontro con Cristo, nel quale incorporarci e con il quale aderire filialmente alla volontà del Padre.
L’avvenimento-Cristo non è solo da comprendere riconoscendolo. Bisogna aderirvi con seguendo e amare questa Presenza che diventa forma della nostra vita nella verità e nell’amore.
Se meditiamo con attenzione il Vangelo vediamo che, all’inizio, per i primi discepoli, il senso era molto semplice ed immediato: significava che queste persone avevano deciso di lasciare la loro professione, i loro affari, tutta la loro vita per andare con Gesù. Significava intraprendere una nuova professione: quella di discepolo. Il contenuto fondamentale di questa professione era l’andare con il maestro, l’affidarsi totalmente alla sua guida.
Così la sequela era una cosa esteriore e, allo stesso tempo, molto interiore.
L’aspetto esteriore era il camminare dietro Gesù nelle sue peregrinazioni attraverso la Palestina.
L’aspetto interiore era il nuovo orientamento dell’esistenza, che non aveva più i suoi punti di riferimento negli affari, nel mestiere che dava da vivere, nella volontà personale, ma che si abbandonava totalmente alla volontà di un Altro.
L’essere a disposizione del Maestro era ormai diventata la ragione di vita del discepolo. Quale rinuncia questo comportasse a ciò che era proprio, quale distogliersi da se stessi, lo possiamo riconoscere in modo assai chiaro in alcune scene dei Vangeli, comprese quelle del Vangelo di questa domenica.
Ma tutto ciò non valeva solo per i discepoli di duemila anni fa, vale per ciascuno di noi con ciò si manifesta pure che cosa significhi per noi la sequela e quale sia la sua vera essenza per noi: si tratta di un mutamento interiore dell’esistenza che permette il nostro esodo[1] interiore ed esteriore.
 
2) La sequela è un esodo verso l’Amore.
Il Vangelo ‘romano’ di questa domenica ci presenta il Messia che si mette in cammino verso Gerusalemme. Gesù intraprende la strada verso la Città Santa (Lc 9,51) con consapevolezza, coraggio e decisione. Ma l’espressione greca, che è stata tradotta con l’avverbio “decisamente”, dice che Cristo: “Rese di pietra il suo volto”, che rende bene l’intensità dell’amore col quale il Figlio di Dio accoglie e obbedisce alla volontà del Padre.
Gesù Cristo sa che a Gerusalemme si compirà il suo destino d’amore e che la sua missione di Redentore vi troverà la sua piena attuazione con l’arresto, il processo e la condanna a morte. Ma non ha esitazione e con cuore saldo e volontà risoluta si incammina verso la Città Santa, spinto dall’amore per il Padre e per l’umanità intera.
In questo esodo il passo del Vangelo di oggi ci parla di alcuni anonimi personaggi, che Messia, Pellegrino d’eternità, chiama perché li ama.
Sono persone, nelle quali ognuno di noi può identificarsi. Questi “anonimi” sono affascinati da Cristo ed hanno il forte desiderio seguire Cristo più da vicino. Lui è diventato il loro centro affettivo e intuiscono che con Lui la vita non sarà più banale né tantomeno disperata: Lui trasforma l’uomo in santo, cioè in uomo vero. Allora vale davvero la pena seguirLo anche se per fare ciò devono abbandonare le loro vite nelle mani di Dio.
La sequela è sempre un esodo da se stessi come ha felicemente detto Papa Francesco: “È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un “esodo” da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti, per poter dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Questo “esodo” da se stessi è mettersi in un cammino di adorazione e di servizio” (Papa Francesco, alle Superiore Generali, 8 maggio 2013). E questo non vale solamente per le Suore, che erano in udienza dal Papa.
Tutti i cristiani devono seguire Cristo, il che implica, duemila anni fa come oggi, l’avventura personale della ricerca di Lui, dell’andare con Lui. Comporta anche l’uscire dalla chiusura dell’io, lo spezzare l’individualismo che spesso caratterizza la società del nostro tempo.
Ma perché centrare la nostra vita su Cristo? Perché lasciare tutto per seguire quest’uomo che non promette denari né terre, e parla “solamente” d’amore, di povertà e di perfezione?
Perché Lui è il solo che ha parole di vita eterna, parole che spiegano la vita. Parole che danno senso e unità ad un’esistenza che altrimenti sarebbe smarrita e frammentata.
 
3) Seguire il Prossimo: il Dio con noi.
Parole che rendono la nostra esistenza lieta nella verità di un amore infinito: cioè santa. La giustizia non sazia il nostro cuore. Cristo chiama a seguirLo e propone il “superamento” della giustizia non con una teoria sull’amore, ma con un’esperienza d’amore: con l’esperienza dell’Amore che si fa prossimo a noi e che vince la morte.
Il vero antidoto alla morte non è la vita (che soccombe alla morte), è l’amore. Chi nella propria vita segue Cristo, vive dell’amore di Dio, possiede già in se stesso la vita risorta di Cristo e con questa risurrezione anticipata che permea la propria vita su questa terra, va incontro alla morte e la vince: Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è lo slancio d’amore (Ct 8,6). Giovanni nella prima lettera dice: Noi sappiamo che siamo transitati da morte a vita perché amiamo i nostri fratelli (Gv 1, 14). La grazia in Cristo diventa avvenimento. La morte non è più una sconfitta. In Gesù Cristo la morte è diventata un atto di amore.
Seguire Cristo è la vita del cristiano: l’Amore è il destino del discepolo cristiano (cfr Ef 1,5).        Se lo seguiamo, stiamo amorosamente accanto a Cristo che si fa a noi prossimo. Se mettiamo i nostri piedi sulle sue tracce, ci avviciniamo sicuramente e quotidianamente alla nostra unica destinazione: a Dio, fonte di quella felicità per la quale siamo fatti.
In Cristo il Prossimo (Dio, che è a noi più intimo di noi stessi: Deus intimior intimo meo, diceva Sant’Agostino) e il prossimo diventano per noi amabili. L’amore per Dio ha la dimensione parallela dell’amore per i fratelli. Dobbiamo re-imparare ad ascoltare, ad intendere la Parola, di cui ogni uomo è portatore.
In Cristo il desiderio di infinito, il desiderio di essere Dio si realizza perché, seguendo Gesù Via e Verità, imitiamo la Sua santità. Il discepolo di Cristo non ricusa di essere simile Dio, di essere con Dio: “Dii estis” (=siete Dei, ricorda san Paolo, “Soyons des Dieux – commentava Bossuet – soyons des Dieux, le Christ le permet pour l’imitation de sa sainteté”). Il discepolo lo è nell’obbedienza al Salvatore, nell’abbandono al Padre.
Decenni fa si parlava del principio-speranza[2], io preferisco parlare del principio-misericordia. In nome di questo principio noi, Chiesa-Popolo di Dio, siamo chiamati ad offrire l’amore di Cristo a tutti, annunciando loro le sue parole e le sue opere, la sua prossimità e la sua cura delle ferite spirituali e materiali dell’umanità. La dedizione di Cristo al Padre e alla nostra povera umanità, fino al dono sacrificale della sua esistenza rivela a noi e, tramite noi, al mondo chi è Dio: Amore che eternamente si dona, Amore che, con assoluta gratuità, si dedica alla creazione ferita e lacerata dal peccato.
 
            4) Seguire è imitare.
            La sequela è non solo immedesimazione, ma è anche imitazione, soprattutto con la verginità.       Gli apostoli e gli altri chiamati da Gesù nel vangelo di oggi non hanno aderito ad una organizzazione, ma sono entrati in comunione con il Signore che li invitava ad andare dietro a Lui. L’hanno imitato con verità e amore ed il loro cuore è cambiato, è stato convertito da cuore di pietra a cuore di carne (cfr Ez 36,28). La sequela fu per loro, e deve esserlo per noi, un ascolto denso di vita e un’immedesimazione con Cristo, facendoci suoi discepoli.
Qui è importante ricordare che il matrimonio cristiano e la verginità consacrata non sono due modi “opposti” di vivere nella Chiesa la condizione di discepoli. Questi due modi, tuttavia, coincidono nell’essere, ciascuno dei due, simbolo compiuto delle nozze di Cristo con la Chiesa, perché tutti siamo chiamati alla carità perfetta.
Certo per quanto riguarda la verginità è importante ricordare, per esempio quanto Sant’Agostino d’Ippona insegna: “Seguite l’Agnello, perché la carne dell’Agnello è anch’essa vergine… voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos’è infatti seguire se non imitare? perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, “affinché seguiamo le sue orme” (1 Pt 2, 21)”. La carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di affetto con lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l’imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano.
Come fedeli discepole, le vergini consacrate seguono Cristo con amore indiviso e, oltre ad essere realmente “virgines consacratae” èsono pure “sponsae Christi” in virtù di un’unzione dello Spirito: “Lo Spirito consolatore […] oggi mediante il nostro ministero vi consacra con una nuova unzione spirituale” (Rituale della Consacrazione delle Vergini, 29); analogamente nella benedizione di congedo si afferma: “Lo Spirito santo […] oggi ha consacrato i vostri cuori” (Ibid. 56).
Per le vergini consacrate  l’amore senza riserve a Cristo si fa sequela senza condizioni e comporta una speciale assimilazione allo Sposo che richiede implicitamente l’osservanza dei consigli evangelici, per custodire integra la fedeltà a Lui. Un’essenziale «regola di vita» definisce l’impegno che ciascuna delle vergini consacrate assume col consenso del Vescovo, sia a livello spirituale che esistenziale. A questo riguardo il  Papa raccomanda loro: Fate in modo  che la vostra persona irradi sempre la dignità dell’essere sposa di Cristo ed   esprima la novità dell’esistenza cristiana e l’attesa serena della vita futura”.
 
 
 
Lettura patristica
San Giovanni Crisostomo
Seguire Cristo (In Matth. 55, 1)
 

Nel Vangelo di Giovanni si legge: “Se il chicco di grano cadendo in terra non
muore, resta solo; ma se muore dà grande frutto” (Gv 12,24). Qui, trattando con
maggior ricchezza di argomenti questa verità, Gesú aggiunge che non solo lui
stesso deve morire, ma che pure i suoi discepoli debbono essere pronti a patire
e a morire. Vi sono – egli fa capire – talmente tanti vantaggi in queste
passeggere sofferenze che sarebbe un danno e una disgrazia per voi il non voler
morire; mentre sarebbe un bene e una grazia se foste disposti al supremo
sacrificio. Ma ciò è reso manifesto con evidenza dalle parole che seguono: per
ora Cristo tratta solo una parte di tale verità. Notate come non mette
costrizioni nelle sue parole. Non dice, ad esempio: Sia che lo vogliate, sia che
non lo vogliate, è necessario che affrontiate gravi sofferenze. Dice soltanto:
“Chi vuol venire dietro a me…” (Mt 16,24), cioè: Io non costringo né obbligo
alcuno a seguirmi, ma lascio ciascuno padrone della propria scelta; perciò dico
“chi vuole”. Io infatti vi invito ai beni, non vi chiamo ai mali e alle pene, né
al castigo e al supplizio, perché io debba costringervi. La stessa natura di
questo bene ha forza sufficiente per trascinarvi. Parlando in tal modo il
Signore li attira ancor piú fortemente. Chi usa violenza, invece, chi costringe
con la forza, finisce spesso con l`allontanare. Al contrario, chi lascia alla
volontà dell`ascoltatore la libertà di accettare o di respingere una cosa,
l`attira a sé piú sicuramente. Il rispetto e l`ossequio della libertà è piú
forte della violenza. Ecco perché Gesú dice qui: “Chi vuole”. I beni che offro –
egli fa intendere – sono cosí grandi ed eccezionali, che dovreste correre
spontaneamente verso di essi. Se qualcuno vi offrisse dell`oro e vi mettesse
davanti un tesoro, non userebbe certo violenza nel proporvi di accettarlo.
Ebbene, se andiamo verso quei doni senza esser spinti da nessuna costrizione,
tanto piú spontaneamente dovremmo correre ai beni del cielo. Se, da sola, la
natura di questi beni non vi convince ad accorrere per ottenerli, vuol dire che
siete indegni di riceverli: e qualora li riceviate ugualmente, non sarete in
grado di apprezzarne a fondo il valore. Ecco perché Cristo non costringe, ma con
indulgenza ci esorta. Siccome Gesú nota che i discepoli sussurrano tra di loro,
sono turbati per le sue parole, aggiunge: Non occorre agitarsi cosí. Se non
siete convinti che quanto vi propongo, qualora si compia non solo in me, ma
anche in voi, sia causa di infiniti beni, io non vi forzo, né vi costringo, ma
chiamo soltanto chi vuol seguirmi. E non crediate che “seguirmi” significhi ciò
che voi avete fatto sinora, accompagnandomi nelle mie peregrinazioni. E`
necessario che voi sopportiate molte fatiche, innumerevoli pericoli, se volete
davvero venire dietro a me. Tu, o Pietro, che mi hai riconosciuto Figlio di Dio,
non devi certo pretendere di ottenere la corona soltanto perché hai fatto questa
professione di fede, né devi credere che essa sia sufficiente per assicurarti la
salvezza, e che tu puoi vivere d`ora in avanti tranquillamente come se già
avessi compiuto tutto. Io potrei sicuramente, in quanto sono Figlio di Dio,
esimerti dal subire sciagure e prevenire tutti i pericoli cui sarai esposto, ma
non voglio farlo nel tuo stesso interesse, perché tu possa portare qualcosa di
tuo, contribuendo alla tua salvezza e procurandoti cosí maggior gloria. Se
qualcuno di coloro che presiedono ai giochi olimpici ha un amico atleta, non
vorrà certo proclamarlo vincitore solo per pura grazia e amicizia, ma piuttosto
per i suoi sforzi personali: e proprio per questo motivo si comporterà cosí, in
quanto è suo amico e gli vuol bene. Nello stesso modo agisce Cristo: quanto piú
ama un`anima, tanto piú vuole che essa contribuisca con le sue forze alla
propria gloria e non solo che l`ottenga grazie al suo aiuto.
 
 
 

 
[1] Esodo da odòs strada, ex = da, quindi è un uscita da un luogo d’esilio per una terra di libertà. Gli Ebrei ebbero il loro esodo dall’Egitto verso la Terra promessa. Il Figlio di Dio, disceso dal Cielo per salvarci, dalla terra è ritornato alla Casa del Padre camminando verso Gerusalemme, dove lo attendeva l’altare della Croce.
[2] Nel 1964  Jürgen Moltmann scrisse “La Teologia della Speranza”, opera che entrò in dialogo con le filosofie della Speranza, soprattutto con il pensiero di Ernst Bloch, autore di “Il Principio Speranza” (1954-1959).
***
Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione