Rito Romano
Gn 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
Il Vangelo della Trasfigurazione
Rito Ambrosiano
II Domenica di Quaresima della Samaritana
Dt 6a;11,18-28; Sal18; Gal 6,1-10; Gv 4,5-42
1) La via della Croce è trasfigurante.
Il Vangelo di oggi percorrere il cammino quaresimale, facendoci salire con Cristo sul Monte Tabor per partecipare alla sua trasfigurazione pregando. Per il cristiano pregare non è evadere dalla realtà e dalle responsabilità che essa comporta, ma assumerle fino in fondo, confidando nell’amore fedele e inesauribile del Signore. Per questo, la verifica della trasfigurazione è, in modo per noi assurdo, la “sfigurazione” di Gesù durante la passione. Nella passione ormai vicina, Gesù ne sperimenterà l’angoscia mortale e il suo volto sarà sfigurato, ma Lui e si affiderà alla volontà del Padre. Nelle ore dell’agonia, la preghiera del Redentore sarà pegno di salvezza per tutti noi. Cristo, infatti, supplicherà il Padre celeste di “liberarlo dalla morte” e, come scrive l’autore della lettera agli Ebrei, “fu esaudito per la sua pietà” (5,7). Di tale esaudimento è prova la Pasqua di risurrezione.
Nel cammino verso la Pasqua di Cristo e con Cristo, la liturgia romana della seconda domenica di quaresima ci fa salire sul monte Tabor, dove Cristo si trasfigurò davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Questi tre apostoli ebbero il dono di contemplare Gesù “trasfigurato” nello splendore della sua divinità, per poi poter reggere la vista del Maestro “sfigurato” dalla Passione, condizione ineliminabile della Resurrezione del Redentore, il cui amore appassionato ricrea e redime.
Tuttavia, secondo me, Gesù non vuole solo preparare i suoi seguaci alla passione che Lo attende e che loro stessi dovranno subire. La trasfigurazione di Cristo rivela ciò che Lui è già: il Figlio di Dio, per indicare una delle qualità più importanti per un discepolo: l’ascolto. Dio che in persona attesta che Gesù Cristo è suo Figlio: “Questi è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto” E conclude dicendo: “Ascoltatelo” (Lc 9, 35-36). Perché? Perché il discepolo che ascolta Gesù è trasfigurato, chi ascolta Cristo diventa come Cristo. L’ascolto di Gesù fa vivere di Gesù, fa vivere la vita del Figlio: la nostra vita è trasformata dall’ascolto della Parola in vita di figli di Dio. Quindi è indispensabile ascoltarlo nella sua Parola, custodita nella Sacra Scrittura e proposta dalla liturgia. In effetti ella “Liturgia della Parola, le pagine della Bibbia cessano di essere uno scritto per diventare parola viva, pronunciata da Dio stesso che, qui e ora, interpella noi che ascoltiamo con fede. Lo Spirito che ha parlato per mezzo dei profeti e ha ispirato gli autori sacri, fa sì che la Parola di Dio operi davvero nei cuori ciò che fa risuonare negli orecchi:” (Papa Francesco, 31 gennaio 2018).
Che questa Quaresima sia dedicata ad ascoltare Cristo per avere un cuore puro e una mente saggia, ad ascoltare Lui nella Sua Parola che quotidianamente viene annunciata e spezzata nelle nostre comunità. Se ascoltiamo Lui ci nutriamo di cibo sostanzioso per il nostro cammino verso la Pasqua del Risorto, che è Bellezza, Bontà e Verità. Dunque perseveriamo nell’essere “uditori della Parola” e non delle chiacchere e dei rumori. Ascoltiamo il Verbo di Dio attentamente, contempliamolo piamente, e poi portiamolo devotamente giù dal monte tra gli uomini. Il discepolo porta questa Parola trasfigurata di luce, che sul volto di Cristo è come il sole e su suoi abiti è bianca come neve (cfr Mt 17,2). Il Cristianesimo è la religione della luce. Il Verbo, che si è fatto carne, è luce che illumina ogni uomo. Luce mistica a Nazareth all’annunciazione. Luce a Betlemme con gli angeli e la stella. Luce al Giordano con la colomba dello Spirito. Luce sul Tabor. Luce di Pasqua: luce di eternità.
2) Non tre tende ma una sola.
La Chiesa con la scelta del Vangelo della Trasfigurazione ci invita oggi a ritemprare la nostra stanca e fragile fede nell’energia della luce. Dio offre un’anticipazione, ma poi bisogna fargli credito, senza limiti. Come ha fatto Abramo (prima lettura), che si è fidato della promessa di Dio giocando su di essa tutta la propria esistenza.
Noi assomigliamo molto a questi tre amici di Gesù, che Lui conforta dicendo a loro e a noi: “Coraggio, abbiate fiducia, alzatevi e non temete, io ho vinto il mondo” (cfr Gv16,33).
Noi come il Capo degli apostoli siamo confusi (Pietro “non sapeva quello che diceva”) e intimoriti (i tre apostoli “ebbero paura”), ma in silenzio (essi “tacquero”) udiamo la parola del Padre che anche a noi dà o l’imperativo amoroso: “Ascoltatelo”.
Noi come Pietro possiamo esclamare: “Signore, è bello stare qui, facciamo tre tende: una per Te, una per Mosé e una per Elia”, perché come questo apostolo vorremo prolungare la pace che viene dall’incontro con Cristo contemplato nella sua luce.
San Pietro fu affascinato da quella visione e, dicendo “bello stare qui”, lascia anche intuire le ragioni di una dimensione, forse troppo poco vissuta, della vita cristiana già in questo mondo: la contemplazione, cioè la preghiera fatta non per chiedere qualcosa a Dio ma per ammirare le sue meraviglie, per riconoscere la sua grandezza e la sua sconfinata bontà, per lodarlo e ringraziarlo di quanto ci ha donato e di quanto ci garantisce che ci donerà.
La contemplazione è la preghiera che diventa sguardo. Se diamo del tempo alla contemplazione di Cristo, il Padre con la sua luce ci investe e questa luce da noi si irradia anche sugli altri.
In breve, se vogliamo che l’esperienza di luce duri in noi, non dobbiamo fare delle tende per Cristo: dobbiamo diventare tende in cui lui può dimorare e trasfigurarci tramite la partecipazione alla sua Croce e Risurrezione: “E’ proprio necessario che tu gli sia compagno nella passione affinché dopo tu possa essere partecipe della sua gloria. Là egli stesso accoglierà te e tutti i suoi nelle tende eterne. Là, veramente, preparerai non tre tende, una per Cristo, una per Mosè e una per Ella, ma una sola tenda, per il Padre, per il Figlio e per lo Spinto Santo: e questa tenda sarai tu stesso. Allora “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28), quando, come leggiamo nell’Apocalisse: “La dimora di Dio sarà con gli uomini ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con- loro” (Ap 21,3).” (Pietro il Venerabile, abate di Cluny, Sermone sulla Trasfigurazione del Signore).
3) La Samaritana
La liturgia della Quaresima illumina la figura di Gesù, perché ogni cristiano sia messo davanti alla Sua presenza e lo segua. Il rito romano lo fa con la solennità della trasfigurazione, la liturgia ambrosiana propone la quotidianità della Samaritana, che va al pozzo -come ogni giorno- per attingere l’acqua. Domenica scorsa ci aveva invitato a meditare su “piccolezza” di Zaccheo.
Per incontrare questo pubblicano Cristo “dovette” passare da Gerico, per incontrare la Samaritana “dovette” passare dalla Samaria. Non era banalmente a causa della geografia fisica della Terra Santa, ma a causa della geografia della carità, che ha strade obbligate come la Via Crucis.
Per andare a Gerusalemme, dove lo aspettava la Croce, Gesù fu “obbligato” a passare per la regione che divideva la Galilea dalla Giudea, per una terra abitata da gente che gli altri Ebreo consideravano infedeli, traditori, perché non volevano sacrificare a Gerusalemme, essendosi costruiti un Tempio sul monte Garizim e non avendo accettato la riforma di Nehemia.
Ma Gesù amava i Samaritani: ne guarisce uno che era lebbroso e tra i dieci miracolati, solo questo samaritano torna a ringraziarlo. Samaritano è il passante che soccorre l’uomo derubato e ferito da dei ladri. Samaritana è la donna che Gesù attende al pozzo di Giacobbe. Samaritano è Gesù (per questo e i due brevi paragrafi precedenti cfr Primo Mazzolari, La Samaritana, Brescia 1943). In effetti, un giorno i suoi compatrioti Gli dissero: “Non diciamo noi bene che sei un Samaritano?» (Gv 8,53), è Gesù trasformò questa accusa in sinonimo di “uomo di carità”.
Ognuno di noi è dunque chiamato a vivere questa quaresima, annunciando il vangelo dell’amore con la concretezza del samaritano, buono perché solidale e disposto ad entrare in un rapporto fraterno con il bisognoso. Nell’amore che apre all’altro ogni uomo può trovare la piena realizzazione di sé e dare senso alla propria vita.
Questo vale in particolare per le Vergini Consacrate, che sono chiamate ad attingere dal cuore di Cristo l’amore vero e puro che disseta e trasfigura.
Le vergini consacrate da buone samaritane sono chiamate a trasfigurare la terra con la carità che non si può comperare, si può solo domandarla, riceverla e condividerla. Nella loro preghiera queste donne che si sono donate completamente a Cristo preghino: “Sposo di salvezza, speranza di quanti inneggiano a te, o Cristo Dio, concedi a noi oranti di trovare nelle nozze con te, come le vergini, senza macchia l’imperitura corona” (Romano il Melodo, Cantici, Torino 2002, pp. 318), da condividere nell’umile servizio al prossimo. Queste donne consacrate da una parte “manifestano l’amore della Chiesa Sposa per l’Eucaristia anche nella preghiera di adorazione del Corpo eucaristico del Signore”, d’altra parte, come buone samaritane “ attingono da Cristo la carità operosa verso le membra del suo Corpo mistico” (Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica, Istruzione sull’Ordo Virginum, Ecclesiae Sponsae Imago, n. 32).
Lettura Patristica
Dai «Trattati su Giovanni» di sant’Agostino d’Ippona
Trattato 15, 10-12. 16-17; CCl 36, 154-156)
Arrivò una donna di Samaria ad attingere acqua
«E arrivò intanto una donna» (Gv 4, 7): figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma ormai sul punto di esserlo. E’ questo il tema della conversione.
Viene senza sapere, trova Gesù che inizia il discorso con lei.
Vediamo su che cosa, vediamo perché «Venne una donna di Samaria ad attingere acqua». I samaritani non appartenevano al popolo giudeo: erano infatti degli stranieri. E’ significativo il fatto che questa donna, la quale era figura della Chiesa, provenisse da un popolo straniero. La Chiesa infatti sarebbe venuta dai pagani, che, per i giudei erano stranieri.
Riconosciamoci in lei, e in lei ringraziamo Dio per noi. Ella era una figura non la verità, perché anch’essa prima rappresentò la figura per diventare in seguito verità. Infatti credette in lui, che voleva fare di lei la nostra figura. «Venne, dunque, ad attingere acqua». Era semplicemente venuta ad attingere acqua, come sogliono fare uomini e donne.
«Gesù le disse: Dammi da bere. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani» (Gv 4, 7-9).
Vedete come erano stranieri tra di loro: i giudei non usavano neppure i recipienti dei samaritani. E siccome la donna portava con sé la brocca con cui attingere l’acqua, si meravigliò che un giudeo le domandasse da bere, cosa che i giudei non solevano mai fare. Colui però che domandava da bere, aveva sete della fede della samaritana.
Ascolta ora appunto chi è colui che domanda da bere. «Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10).
Domanda da bere e promette di dissetare. E’ bisognoso come uno che aspetta di ricevere, e abbonda come chi è in grado di saziare. «Se tu conoscessi», dice, «il dono di Dio». Il dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma Gesù parla alla dottrina in maniera ancora velata, e a poco a poco si apre una via al cuore di lei. Forse già la istruisce. Che c’è infatti di più dolce e di più affettuoso di questa esortazione: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva»?
Quale acqua, dunque, sta per darle, se non quella di cui è scritto: «E’ in te sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Infatti come potranno aver sete coloro che «Si saziano dell’abbondanza della tua casa»? (Sal 35, 9).
Prometteva una certa abbondanza e sazietà di Spirito Santo, ma quella non comprendeva ancora, e, non comprendendo, che cosa rispondeva? La donna gli dice: «Signore dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4, 15). Il bisogno la costringeva alla fatica, ma la sua debolezza non vi si adattava volentieri. Oh! se avesse sentito: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»! (Mt 11, 28).”
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.
Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano
Mons. Follo: La via della Croce come cammino di Trasfigurazione
II Domenica di Quaresima – Anno C – 17 marzo 2019