Udienza ai partecipanti alla Conferenza Internazionale "Religions and the Sustainable Development Goals (SDGs): Listening to the cry of the earth and of the poor" - Foto © Servizio Fotografico - Vatican Media

"Il principio cardine di tutte le religioni è l’amore per i nostri simili e la cura per il creato"

Udienza ai partecipanti alla Conferenza Internazionale “Religions and the Sustainable Development Goals (SDGs): Listening to the cry of the earth and of the poor”

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Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco riceve in Udienza i partecipanti alla Conferenza Internazionale “Religions and the Sustainable Development Goals (SDGs): Listening to the cry of the earth and of the poor”, promossa dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, in corso in Vaticano, nell’Aula nuova del Sinodo, dal 7 al 9 marzo. Riportiamo di seguito il Discorso che il Papa rivolge ai presenti:
Discorso del Santo Padre
Eminenze,
Eccellenze,
Cari responsabili delle tradizioni religiose mondiali,
Rappresentanti delle Organizzazioni Internazionali,
Illustri Signori e Signore,
Porgo il mio benvenuto a tutti voi, qui convenuti per questa Conferenza internazionale sulle Religioni e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Sostenibilità e inclusione
Quando parliamo di sostenibilità, non possiamo trascurare l’importanza dell’inclusione e dell’ascolto di tutte le voci, specialmente di quelle normalmente emarginate da questo tipo di discussioni, come quelle dei poveri, dei migranti, degli indigeni e dei giovani. Sono lieto di vedere una varietà di partecipanti a questa Conferenza, portatori di una molteplicità di voci, opinioni e proposte, che possono contribuire a nuovi percorsi di sviluppo costruttivo. È importante che l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile segua la loro effettiva natura originaria che si vuole inclusiva e partecipativa.
L’Agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, approvati da oltre 190 nazioni nel settembre 2015, sono stati un grande passo avanti per il dialogo globale, nel segno di una necessaria «nuova solidarietà universale» (Enc. Laudato si’, 14). Diverse tradizioni religiose, compresa quella cattolica, hanno accolto gli obiettivi di sviluppo sostenibile perché sono il risultato di processi partecipativi globali che, da un lato, riflettono i valori delle persone e, dall’altro, sono sostenuti da una visione integrale dello sviluppo.
Sviluppo integrale
Tuttavia, proporre un dialogo su uno sviluppo inclusivo e sostenibile richiede anche di riconoscere che “sviluppo” è un concetto complesso, spesso strumentalizzato. Quando parliamo di sviluppo dobbiamo sempre chiarire: sviluppo di cosa? Sviluppo per chi? Per troppo tempo l’idea convenzionale di sviluppo è stata quasi interamente limitata alla crescita economica. Gli indicatori di sviluppo nazionale si sono basati sugli indici del prodotto interno lordo (PIL). Ciò ha guidato il sistema economico moderno su un sentiero pericoloso, che ha valutato il progresso solo in termini di crescita materiale, per il quale siamo quasi obbligati a sfruttare irrazionalmente sia la natura sia gli esseri umani.
In realtà, come ha messo in risalto il mio predecessore San Paolo VI, parlare di sviluppo umano significa riferirsi a tutte le persone – non solo a pochi – e all’intera persona umana – non alla sola dimensione materiale – (cfr Enc. Populorum progressio, 14). Pertanto, una fruttuosa discussione sullo sviluppo dovrebbe offrire modelli praticabili di integrazione sociale e di conversione ecologica, perché non possiamo svilupparci come esseri umani fomentando crescenti disuguaglianze e il degrado dell’ambiente.1
Le denunce di modelli negativi e le proposte di percorsi alternativi non valgono solo per gli altri, ma anche per noi. In effetti, dovremmo tutti impegnarci a promuovere e attuare gli obiettivi di sviluppo che sono sostenuti dai nostri valori religiosi ed etici più profondi. Lo sviluppo umano non è solo una questione economica o che riguarda solo gli esperti, ma è prima di tutto una vocazione, una chiamata che richiede una risposta libera e responsabile (cfr BENEDETTO XVI, Enc. Caritas in veritate, 16-17).
Obiettivi (dialogo e impegni)
E le risposte sono ciò che auspico possa emergere in questa Conferenza: risposte concrete al grido della terra e al grido dei poveri. Impegni concreti per promuovere uno sviluppo reale in modo sostenibile attraverso processi aperti alla partecipazione delle persone. Proposte concrete per facilitare lo sviluppo di chi è nel bisogno, avvalendosi di quella che il Papa Benedetto XVI ha ravvisato come «la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto» (ibid., 42). Politiche economiche concrete che siano incentrate sulla persona e che possano promuovere un mercato ed una società più umani (cfr ibid., 45.47). Misure economiche concrete che prendano seriamente in considerazione la nostra casa comune. Impegni etici, civili e politici concreti per svilupparsi al fianco della nostra sorella terra, e non malgrado essa.
Tutto è connesso
Mi rallegra anche sapere che i partecipanti a questa Conferenza sono disposti ad ascoltare le voci religiose quando discutono sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. In effetti, tutti gli interlocutori di tale dialogo su questa complessa questione sono chiamati in qualche modo ad uscire dalla propria specializzazione per trovare risposte comuni al grido della terra e a quello dei poveri. Nel caso delle persone religiose, abbiamo bisogno di aprire i tesori delle nostre migliori tradizioni in ordine ad un dialogo vero e rispettoso sul modo in cui costruire il futuro del nostro pianeta. I racconti religiosi, sebbene antichi, sono normalmente densi di simbolismo e contengono «una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri» (Enc. Laudato si’, 70).
In questo senso, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite propone di integrare tutti gli obiettivi attraverso le cinque P : persone, pianeta, prosperità, pace e partnership.2 So che questa conferenza è anch’essa articolata attorno a queste cinque P. Accolgo con favore questa impostazione integrata degli obiettivi; essa può servire anche a preservare da una concezione della prosperità basata sul mito della crescita e del consumo illimitati (cfr Enc. Laudato si’, 106), per la cui sostenibilità dipenderemmo solo dal progresso tecnologico. Possiamo ancora trovare alcuni che sostengono ostinatamente questo mito, e dicono che i problemi sociali ed ecologici si risolvono semplicemente con l’applicazione di nuove tecnologie e senza considerazioni etiche né cambiamenti di fondo (cfr ibid., 60). Un approccio integrale ci insegna che questo non è vero. Se è certamente necessario puntare a una serie di obiettivi di sviluppo, questo non è però sufficiente per un ordine mondiale equo e sostenibile. Gli obiettivi economici e politici devono essere sostenuti da obiettivi etici, che presuppongono un cambiamento di atteggiamento, la Bibbia direbbe un cambiamento di cuore (cfr ibid., 2).
Già San Giovanni Paolo II parlò della necessità di «incoraggiare e sostenere una conversione ecologica» (Catechesi, 17 gennaio 2001). Qui le religioni hanno un ruolo chiave da svolgere. Per una corretta transizione verso un futuro sostenibile, occorre riconoscere «i propri errori, peccati, vizi o negligenze», occorre «pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro», per essere riconciliati con gli altri, con la creazione e con il Creatore (cfr Enc. Laudato si’, 218). Se vogliamo dare basi solide al lavoro dell’Agenda 2030, dobbiamo respingere la tentazione di cercare una risposta semplicemente tecnocratica alle sfide, essere disposti ad affrontare le cause profonde e le conseguenze a lungo termine.
Popolazioni indigene
Il principio cardine di tutte le religioni è l’amore per i nostri simili e la cura per il creato. Vorrei evidenziare un gruppo speciale di persone religiose, quello delle popolazioni indigene. Sebbene rappresentino solo il 5% della popolazione mondiale, esse si prendono cura di quasi il 22% della superficie terrestre. Vivendo in aree quali l’Amazzonia e l’Artico, aiutano a proteggere circa l’80% della biodiversità del pianeta. Secondo l’UNESCO: «Le popolazioni indigene sono custodi e specialisti di culture e relazioni uniche con l’ambiente naturale. Rappresentano una vasta gamma di diversità linguistiche e culturali nel cuore della nostra comune umanità».3 Aggiungerei che, in un mondo fortemente secolarizzato, tali popolazioni ricordano a tutti la sacralità della nostra terra. Per questi motivi, la loro voce e le loro preoccupazioni dovrebbero essere al centro dell’attuazione dell’Agenda 2030 e al centro della ricerca di nuove strade per un futuro sostenibile. Ne discuterò anche con i miei fratelli Vescovi al Sinodo della Regione Panamazzonica, alla fine di ottobre di quest’anno.
Conclusioni
Cari fratelli e sorelle, oggi, dopo tre anni e mezzo dall’adozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, dobbiamo renderci conto ancora più chiaramente dell’importanza di accelerare e adattare le nostre azioni per rispondere adeguatamente sia al grido della terra sia al grido dei poveri (cfr Enc. Laudato si’, 49). Le sfide sono complesse e hanno molteplici cause; la risposta pertanto non può che essere a sua volta complessa e articolata, rispettosa delle diverse ricchezze culturali dei popoli. Se siamo veramente preoccupati di sviluppare un’ecologia capace di rimediare al danno che abbiamo fatto, nessuna branca delle scienze e nessuna forma di saggezza dovrebbero essere tralasciate, e ciò include le religioni e i linguaggi ad esse peculiari (cfr ibid., 63). Le religioni possono aiutarci a camminare sulla via di un reale sviluppo integrale, che è il nuovo nome della pace (cfr PAOLO VI, Enc. Populorum progressio, 76-77).
Esprimo il mio sentito apprezzamento per i vostri sforzi nella cura per la nostra casa comune, al servizio della promozione di un futuro sostenibile inclusivo. So che a volte potrebbe sembrare un compito troppo arduo. Eppure gli «esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (Enc. Laudato si’, 205). Vi incoraggio a continuare a lottare per il cambiamento che le circostanze attuali richiedono, perché l’ingiustizia che fa piangere la terra e i poveri non è invincibile.
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1 Quando, ad esempio, a causa delle disuguaglianze nella distribuzione del potere, il peso di debiti immensi viene scaricato sulle spalle dei poveri e dei Paesi poveri, quando la disoccupazione è diffusa nonostante l’espansione dei commerci o quando le persone vengono semplicemente trattate come un mezzo per la crescita di altri, abbiamo bisogno di mettere completamente in discussione il modello di sviluppo di riferimento. Allo stesso modo, quando in nome del progresso distruggiamo la fonte dello sviluppo, la nostra casa comune, allora il modello dominante deve essere chiamato in causa. Mettendo in discussione tale modello e rivisitando l’economia mondiale, gli interlocutori di un dialogo sullo sviluppo dovrebbero essere in grado di trovare un sistema globale economico e politico alternativo. Tuttavia, affinché ciò accada, dobbiamo affrontare le cause della distorsione dello sviluppo, ossia ciò che nella dottrina sociale cattolica recente va sotto il nome di “peccati strutturali”. Denunciare tali peccati è già un buon contributo che le religioni danno alla discussione sullo sviluppo del mondo. Nondimeno, accanto alla denuncia, dobbiamo anche proporre alle persone e alle comunità delle vie praticabili di conversione. 2 Cfr UNITED NATIONS, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, 2015. 3 UNESCO, Message from Ms Irina Bokova, Director-General of UNESCO, on the occasion of the International Day of the World’s Indigenous Peoples, 9 August 2017.

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ZENIT Staff

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