Rito Romano:
Is 6, 1-2.3-8; Sal 137; 1Cor 15, 1-11; Lc 5, 1-11
Rito Ambrosiano
Sir 18,11-14; Sal 102; 2Cor 2,5-11; Lc 19,1-10
Ultima Domenica dopo l’Epifania detta «del perdono»
1) Da un incontro la vocazione.
Oggi le letture della Messa ci parlano di tre persone che hanno avuto un incontro vero, in cui è emersa la loro vocazione. Grazie all’incontro con Dio, Isaia si offrì di diventare Suo profeta, San Paolo accettò di esser il testimone del Vangelo a tutti i pagani e San Pietro aderì alla proposta di Cristo di diventare pescatore di uomini.
Per queste tre sante e vere persone quello del loro incontro con Dio non fu un giorno come un altro, per loro quel giorno fu come nessun altro: fu un avvenimento, che cambiò la loro vita e loro la misero a servizio di Dio.
E’ importante notare che in tutti e tre questi casi la vocazione fu per una missione di salvezza e che per Dio il peccato e la fragilità dei tre chiamati non furono un’obiezione alla chiamata che Lui faceva a loro. Li perdonò, li purificò e diede loro la forza per il compito a cui li invitava.
Tutti e tre ricevettero la pace del perdono e divennero missionari tra gli uomini, facendosi portavoce di Dio e del Suo Regno, che è regno di libertà, di giustizia, di verità, di pace e soprattutto di amore.
A Isaia che accolse il grido divino: «Chi manderò e chi andrà per noi?», il Signore cambiò il cuore perché potesse rispondere: «Ecco manda me». Questo grande profeta poté rispondere così perché il Serafino aveva purificato con il carbone incandescente le sue labbra. Ma questo gesto angelico è la conseguenza del fatto che Isaia aveva incontrato Dio ed aveva riconosciuto la sua condizione di peccatore.
A Paolo Cristo diede la sua grazia e gli disse “Ti sono apparso per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora.”(At. 26, 16b). Anche per l’Apostolo delle genti l’incontro con il Signore fu la condizione per cambiare il senso della vita e per viverla come missione. Da persecutore accanito Paolo divenne annunciatore infaticabile di Cristo.
A Pietro Gesù diede la forza salda come una pietra perché il primo degli apostoli lo seguisse senza cedimenti. Essendo stato co-protagonista della pesca miracolosa, Pietro disse a Gesù: “Signore, vattene via da me che sono peccatore. Non sono degno di avere un Santo nella mia barca” (cfr. Lc 5,8). Ma il Redentore gli rispose: “Non avere paura. Vieni con me, credi alla mia parola e ti farò pescatore di uomini” (cfr. Lc 5,10).E quell’umile pescatore di Galilea divenne colui che lavorò alla pesca degli uomini, tirandoli fuori dall’acqua avvelenata del peccato per metterli nell’acqua pura dell’amore di Cristo.
2) La vita come vocazione.
Lo stupore del miracolo, delle parole e soprattutto dell’incontro con Cristo non invase solo Pietro, ma tutti quelli che erano con lui per la pesca: in particolare Andrea, suo fratello, come pure Giacomo e Giovanni, soci di Pietro.
Gesù non era più solo. Quattro uomini, due coppie di fratelli che diventarono ancor più fratelli nella fede comune, lasciarono tutto, lavoro e famiglia, per diventare compagni di cammino di Cristo. Quattro poveri pescatori, quattro semplici uomini del lavoro, che non erano illetterati non erano certo laureati furono chiamati da Gesù per condividere la sua missione di salvatore della grande famiglia umana.
Ma perché questi pescatori lasciarono tutto per seguire quest’Uomo che non prometteva né soldi né onori e parlava “solamente” di amore, di perfezione, di povertà e di gioia: “Beati i poveri, perché di loro è il Regno dei Cieli” ?
Lasciarono tutto, perché Cristo era diventato il centro affettivo della loro vita e solo Lui aveva parole di vita eterna. Lui è Vita della vita. L’incontro con Cristo aveva travolto la loro nullità. La scoperta di Cristo come centro di tutto eliminò la paura. Sperimentarono che chi segue Gesù non cammina nelle tenebre e si misero a servizio del Regno di Dio. Seguirono Cristo e vissero in comunità con Lui, che descriveva se stesso con la parabola del Buon Pastore, in cui la carità si manifesta in tutta la sua capacità di iniziativa, creatività e forza (cfr Lc 15, 4-6).
In breve, gli Apostoli accettarono la vita come vocazione e la missione di Cristo divenne la loro vocazione.
3) La vocazione di Zaccheo.
La profonda disponibilità di mettere la loro vita al servizio dell’amore di Cristo fu essenziale per capire la loro personale vocazione. Ma non sembra il caso di Zaccheo, di cui ci parla il vangelo ambrosiano di oggi (Lc 19,1-10).
Zaccheo era solo curioso di vederlo, non aveva intenzione di andare vicino a Cristo, anche perché essendo un pubblicano era accomunato con i peccatori e quindi non poteva accostarsi a un santo. Non sapeva ancora che Gesù era venuto a “chiamare” i peccatori, a dare loro la vocazione, cioè la proposta di essergli vicino per condividere la sua vita e la sua missione. Dunque, nel giorno in cui Cristo passava da Gerico questo uomo, attaccato ai soldi, salì su un albero per vedere il Messia, senza avvicinarsi.
E quel giorno per lui non fu un giorno come un altro. Fu il giorno dell’incontro tra lui e Cristo, che guardandolo con amore (Cristo ama i peccatori, è venuto per loro, quindi per noi) gli disse: “Oggi vengo a casa tua”. Chissà se Cristo non si è ispirato a Zaccheo per la parabola del fariseo e pubblicano, che non aveva il coraggio neanche di alzare gli occhi, pareva si vergognasse di comparire davanti al Signore, Sospirava e si picchiava il petto e non diceva altre parole che queste: “Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Forse per Zaccheo la domanda di perdono era implicita nel desiderio di vedere Gesù. Il resto lo fece il Signore, il cui sguardo salva. Lo sguardo di Cristo va oltre le apparenze, vede il cuore di che anela risorgere. Non chiede a Zaccheo: “Cosa hai fatto?”, non gli rinfaccia il suo peccato. Lo chiama per chiedergli di essere ospitato in casa sua. E Zaccheo capisce che è una chiamata alla comunione con Gesù.
E’ naturale allora che quest’uomo si metta a disposizione dell’Uomo-Dio e della Sua missione messianica. Questo pubblicano “accolse Gesù con gioia” perché l’invito di Cristo aveva dato nuovo e vero senso alla sua vita. E imparò a guardare gli altri, come Gesù aveva guardato lui: fraternamente. Il prossimo non era più gente da sfruttare ma uomini con cui instaurare rapporti di giustizia, di perdono e, quindi, di fraternità vera.
4) La vocazione all’amore.
Questa nativa e fondamentale vocazione all’amore, propria di ogni uomo e di ogni donna, può realizzarsi pienamente nel matrimonio e nella verginità: essi sono «i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’alleanza di Dio con il popolo» (Familiaris Consortio, n 11).
Il matrimonio e la verginità non sono in contrapposizione tra loro; sono piuttosto due doni diversi e complementari che convergono nell’esprimere l’identico mistero sponsale dell’unione feconda e salvifica di Cristo con la Chiesa.
Ma è importante ricordare che la Verginità è nella Chiesa la vocazione più alta, essa è il vertice dell’amore, è la risposta piena alla predilezione di Cristo, dentro la quale si guarda alle persone come le ha guardate Cristo. Di questo amore di predilezione le Vergini sono chiamata ad essere martiri (parola greca che vuole dire =testimoni), spose e madri nello spirito, capaci di dare la vita con passione perché Cristo sia conosciuto e l’incontro con lui cambi la vita.
«Voi che siete vergini per Cristo – esorta il Vescovo secondo il Rito di consacrazione dell’Ordo Virginum – diventerete madri nello spirito, facendo la volontà del Padre, cooperando con amore, perché tanti figli siano generati o ricuperati alla vita della grazia» (CV 29); «Il Signore Gesù Cristo / […] renda feconda la vostra vita / con la forza della sua parola» (CV 56). «La Santa Madre Chiesa – si legge nell’omelia rituale – vi considera un’eletta porzione del gregge di Cristo; in voi fiorisce e fruttifica largamente la sua soprannaturale fecondità» (CV 29). In questo modo le Vergini consacrate collaborano alla pesca divina, generando e recuperando tanti figli e figlie alla vita di grazia e di amore portata da Cristo.
Lettura Patristica
DISCORSO 93
SULLE PAROLE DEL VANGELO DI MT 25, 1-13:
“IL REGNO DEI CIELI SARÀ SIMILE ALLE DIECI VERGINI”
il testo integrale è su:
http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_120_testo.htm
Ecco l’inizio:
Quali sono da intendere le dieci vergini della parabola.
- 1. Voi che ieri eravate presenti vi ricordate che vi abbiamo fatto una promessa; ebbene oggi sarà adempiuta, con l’aiuto di Dio, non solo per voi ma anche per gli altri numerosi fedeli che si sono qui riuniti. Non è facile indagare quali sono le dieci vergini, di cui cinque sono prudenti e cinque stolte. Tuttavia attenendoci al contenuto dello stesso passo, che ho voluto fosse letto anche oggi alla Carità vostra, per quanto il Signore si degna di farmi capire, non mi pare che questa parabola o similitudine si possa riferire alle sole vergini che si chiamano così nella Chiesa per la loro particolare e più alta santità e che, con un termine più comune, siamo abituati a chiamare “Santimoniali”, [ossia monache]; ma, se non vado errato, questa similitudine si riferisce a tutta quanta la Chiesa. D’altro canto, anche se intendessimo come vergini quelle sole che si chiamano “santimoniali”, sono forse soltanto dieci? Dio non voglia che una sì grande moltitudine di vergini sia ridotta a un numero così piccolo! Qualcuno forse potrebbe dire: “E che dire se molte sono tali di nome ma tanto poche lo sono realmente da trovarsene appena dieci?”. No, non è così. Poiché se il passo volesse farci intendere che solo dieci sono buone, non ci mostrerebbe tra esse cinque stolte. Se infatti sono molte quelle chiamate vergini, perché la porta del palazzo viene chiusa solo in faccia alle cinque stolte?
Le dieci vergini sono qualunque anima della Chiesa.
- 2. Dovremo dunque, carissimi, intendere che questa parabola si riferisce a noi tutti, cioè assolutamente a tutta quanta la Chiesa, non ai soli superiori, dei quali abbiamo parlato ieri, né ai soli fedeli laici, ma a tutti assolutamente. Ma perché allora cinque vergini sagge e cinque stolte? Queste vergini, cinque sagge e cinque stolte, sono assolutamente tutte le anime dei cristiani. Ma, per dirvi ciò che pensiamo per ispirazione di Dio, non sono le anime di qualsiasi specie, ma le anime che hanno la fede cattolica e si vedono praticare le opere buone nella Chiesa di Dio, eppure di esse cinque sono sagge e cinque stolte. Prima dunque vediamo perché sono indicate come cinque e come vergini e dopo consideriamo il resto. Ogni anima nel corpo è denotata col numero cinque perché fa uso dei cinque sensi. Noi infatti col corpo non percepiamo alcuna sensazione se non attraverso una porta di cinque sportelli: o con la vista, o con l’udito, o con l’odorato, o col palato, o col tatto. Orbene, chi si astiene dal vedere, dall’udire, dall’odorare, dal gustare o dal toccare cose illecite, riceve il nome di vergine.
Non basta né la verginità, né le opere buone.
- 2. Ma se è un bene astenersi dai moti illeciti dei sensi e perciò qualunque anima cristiana ha ricevuto il nome di vergine, per qual motivo cinque di esse vengono fatte entrare e cinque sono respinte? Sono vergini eppure sono respinte. Non basta che siano vergini, ma hanno anche le lampade. Sono vergini in quanto si astengono dalle sensazioni illecite, hanno le lampade in quanto fanno le opere buone. Di queste opere il Signore dice: La vostra luce risplenda davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre vostro ch’è nei cieli1. Ai discepoli dice ugualmente: Siate sempre pronti con la cintura ai fianchi e le lampade accese2. Nei fianchi legati con la cintura è denotata la verginità, nelle lampade accese le opere buone.
È vergine ogni anima cristiana.
- 3. È vero che non si è soliti parlare di verginità a proposito di persone coniugate, eppure anche nel matrimonio esiste la verginità della fedeltà, la quale produce la pudicizia coniugale. Mi spiego: perché la Santità vostra si convinca che ciascuno o ciascun’anima è chiamata, in modo non inopportuno, vergine in relazione ai sentimenti intimi e all’integrità della fede, con cui ci si astiene dalle cose illecite e si compiono le opere buone; [ricordatevi che] tutta la Chiesa, formata di ragazze e ragazzi, di donne maritate e di uomini ammogliati, è chiamata con il nome di vergine al singolare. Come proviamo quest’affermazione? Ascolta l’Apostolo che dice, non solo alle donne consacrate a Dio, ma assolutamente a tutta la Chiesa: Vi ho promessi in matrimonio a un solo sposo, a Cristo, per presentarvi a lui come una vergine pura3. E poiché bisogna tenersi lontani dal diavolo ch’è il corruttore di tale verginità, lo stesso Apostolo, dopo aver detto: Vi ho promessi in matrimonio a un solo sposo, a Cristo, per presentarvi a lui come una vergine pura, soggiunge subito e dice: Temo però che, come il serpente con la sua malizia ingannò Eva, così i vostri pensieri vengano traviati dalla purezza riguardo a Cristo4. Quanto al corpo sono pochi ad avere la verginità, ma tutti debbono averla nel cuore. Se dunque è cosa buona l’astensione dalle azioni illecite, e da ciò ha preso nome la verginità, e sono lodevoli le opere buone simboleggiate dalle lampade, perché mai sono fatte entrare solo cinque e le altre cinque sono respinte? Se uno è vergine e porta le lampade e tuttavia non vien fatto entrare, dove potrà veder se stesso chi non conserva la verginità astenendosi dalle cose illecite e, trascurando di praticare le opere buone, cammina nelle tenebre?
Oltre alla continenza e alle opere buone si richiede la carità.
- 4. Di costoro, dunque, fratelli miei, di costoro piuttosto cerchiamo di trattare. Chi non vuol vedere né udire ciò ch’è male, chi distoglie l’odorato dagli effluvi illeciti che esalano dai sacrifici pagani e il palato dagli illeciti cibi dei sacrifici, chi fugge l’amplesso con la donna d’altri, spezza il pane agli affamati, ospita in casa i forestieri, veste gl’ignudi, mette pace tra i litiganti, visita i malati, dà sepoltura ai morti: ecco chi è vergine, chi ha le lampade. Che cosa vogliamo di più? Desidero qualcosa di più. “Che cosa vuoi ancora?” si dirà. Desidero ancora qualcosa. Ha destato la mia attenzione il santo Vangelo. Le stesse vergini che portavano anche le lampade, alcune le chiama sagge, altre stolte. Ma come possiamo discernerle? da che cosa possiamo distinguerle? Dall’olio. L’olio è il simbolo di qualcosa di grande, di molto importante. Non è forse la carità? Questa che vi faccio è una domanda, anziché un’affermazione precipitosa. Vi dirò perché mi pare che l’olio sia simbolo della carità. L’Apostolo dice: Io v’indico una via più sublime5. Quale via più sublime addita? Se sapessi parlare le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come una campana che suona o un tamburo che rimbomba6. Ecco la via più sublime, cioè la carità, che a giusto titolo è simboleggiata dall’olio. L’olio infatti rimane al di sopra di tutti i liquidi. Se si mette dell’acqua in un vaso e vi si versa sopra dell’olio, l’olio rimane alla superficie. Se ci metti olio e vi versi sopra acqua, l’olio rimane a galla. Se lo lasci al suo posto naturale l’olio sta sempre al di sopra; se tu volessi cambiare la sua posizione naturale tornerebbe sempre a galla. La carità non cadrà mai 7.
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.