Rito Romano
Dn 12, 1-3; Sal 15/16; Eb 10, 11-14. 18; Mc 13,24-32
Rito Ambrosiano
Is 13,4-11; Sal 67; Ef 5,1-11a; Lc 21,5-28
I Domenica di Avvento
La venuta del Signore
- Un futuro segnato dalla certezza di un incontro definitivo.
L’anno liturgico sta per terminare. Domenica prossima celebreremo la solennità di Cristo Re e quella successiva sarà la I domenica d’Avvento che darà inizio al nuovo anno liturgico.
Oggi, la Chiesa ci invita a prestare la nostra attenzione, non tanto alla fine di questo anno liturgico, ma alla fine del mondo, che per noi coincide con fine la nostra vita terrena. È su questo ultimo punto che la Chiesa invita tutti a prestarvi la più grande attenzione possibile, perché dopo saremo sottoposti a giudizio.
La fine del mondo non è la distruzione di tutto, ma l’incontro di noi tutti con Dio, il Tutto che si incontra con noi definitivamente accogliendoci nella sua misericordia. Ci incontriamo con Cristo, il Volto buono del Destino, il Figlio dell’uomo. Lui è il Signore che perdona, lo Sposo che ci ama, il Signore del sabato: Lui è colui che si mette nelle nostre mani e tutto ci dona, fino a dare la vita per noi.
La fine del mondo è per noi un ladro che ci ruba tutto o l’incontro con lo Sposo che ci dà tutto? A questa domanda risponde il brano del discorso di Gesù, che è proposto dalla Liturgia di oggi, e che ha un linguaggio che gli esperti chiamano “apocalittico”. Questo aggettivo viene dal sostantivo “apocalisse”, che letteralmente vuol dire rivelazione. Tuttavia nel linguaggio comune il termine ha perso il significato originario di “rivelazione” e, soprattutto fuori dall’ambiente religioso, è passato a indicare qualsiasi evento di grande calamità o un succedersi di eventi disastrosi. Ciò è accaduto perché è un linguaggio ricco di immagini forti e spesso inquietanti, che hanno lo scopo di suscitare un ascolto rispettoso e attento perché venato di timore.
Infatti, nel Vangelo di oggi Gesù afferma: “Il sole e la luna si oscureranno e le stelle cadranno e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli (Gesù, il Figlio dell’uomo) manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” (Mc 13, 24-27).
Dunque, con le parole apocalittiche (letteralmente rivelatrici) dei vv 24-25 di Marco 13, il Cristo ci dice che il mondo e l’umanità che lo abita sono fragili: in quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo. Ma nei vv 26- 27, Gesù fa intuire che se c’è un mondo che muore, c’è anche un mondo nuovo che nasce per Lui e in Lui. Dunque non stiamo andando verso la fine, verso il nulla, ma ci prepariamo all’incontro definitivo con Cristo, il fine della vita, il compimento del mondo Noi implicitamente pensiamo che andiamo a finire male, per questo abbiamo paura e cerchiamo di non contare i nostri giorni perché poi dopo è la fine. Invece in questo racconto che è fondamentale per la fede cristiana, si presenta il termine della storia, di tutta quanta la storia e il termine della nostra vicenda personale come l’incontro con il Signore.
Il fine di tutta la storia è l’incontro con Lui e tutta la creazione è in cammino verso quest’incontro e tutta la vicenda umana nostra personale e dell’universo non è altro che l’andare avanti sempre più fino a quando traspare nel mondo la gloria del Figlio. Siamo figli, ciò che apparirà alla fine è la nostra gloria, allora vedranno il Figlio dell’uomo venire con molta potenza e gloria. Il senso della storia è la rivelazione del Figlio dell’uomo e in Lui di ogni uomo, nella potenza piena della vita e nella gloria stessa di Dio.
Quindi, il Messia non vuole tanto raccontare la fine del mondo, quanto rivelare il senso della storia. Lui ci dice ha la fine del mondo non è la distruzione di tutto, ma l’incontro di noi tutti con il Figlio dell’uomo. Egli è il Signore che perdona, lo Sposo che ci ama, il Signore del sabato: è colui che si mette nelle nostre mani e tutto ci dona, fino a dare la vita per noi. La fine del mondo non è come l’arrivo di un ladro che ci ruba tutto, ma l’incontro con lo Sposo che ci dà tutto, perché sulla croce di Gesù è già finito il mondo vecchio – si è oscurato il sole – ed è nato il mondo nuovo.
Come ogni essere umano, il cristiano sa che un giorno il sole si spegnerà, ma sa anche che la Luce di Dio risplenderà sempre. La fine del mondo non è la distruzione di tutto, ma l’incontro di noi tutti con il Figlio dell’uomo, con il Redentore dell’uomo e del mondo. Lui è il Signore che perdona. Lui è colui, che si mette nelle nostre mani e tutto ci dona, fino a dare la vita per noi. Insomma la fine del mondo non è un furto di un ladro che mi ruba tutto, è l’incontro con lo Sposo che ci dà tutto. Quindi, non è che andiamo verso il nulla, verso il vuoto, l’Apocalisse negli ultimi due capitoli rappresenta l’incontro proprio come quello della sposa con lo sposo. La Chiesa è la sposa che attende l’arrivo dello Sposo. Non dovremmo avere paura di incontrare l’Amore che viene da noi.
2) Non tanto quando, ma come.
La Chiesa continua a proclamare, in particolare al termine dell’anno liturgico, il fatto di questo incontro d’amore da vivere nell’attesa. Dando peso alle parole di Cristo: “Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13, 32), la Liturgia ricorda a noi fedeli che siamo chiamati ad essere sempre in attesa di Colui che è venuto secoli fa e che verrà alla fine dei tempi, ma che anche viene ogni giorno, nella nostra vita, nel nostro oggi. Per questo un inno del Breviario ci fa cantare “Notte, tenebre e nebbia,
fuggite: entra la luce,
viene Cristo Signore.
Il Sole di giustizia
trasfigura ed accende
l’universo in attesa” (Inno delle Lodi, II settimana, mercoledì).
In effetti, in questa trasfigurazione del mondo anche, e soprattutto, il nostro cuore è dilatato così che il Cielo vi trovi più spazio, così che abbia una più viva attenzione, nel senso più letterale del termine di tensione costante al Signore. Egli viene sempre, ma spesso l’incontro non avviene perché noi viviamo una vita superficiale sul piano spirituale, una certa dissipazione: le cose di quaggiù ci attraggono così tanto da rendere indisponibile l’anima a questo meraviglioso incontro. Solo raramente ci troviamo in condizioni spirituali tali da percepire questo “venire” di Dio. Di qui cosa ne viene? Non certo che cambi il Signore, Lui che sempre si fa presente, ma che cambi la nostra anima, in modo da vivere sempre un’attesa, una speranza.
La questione quindi non tanto sul “quando” (perché Dio ci raggiunge in ogni istante), quanto sul “come”. Quindi, oggi mi permetto di proporre come rispondere a questa domanda: “Come attendere la venuta definitiva del Regno?”
Due sono gli atteggiamenti possibili quello della paura e quello della speranza.
Se ci si ferma alla drammaticità di certe immagini del Vangelo di oggi, sembrerebbe che debba prevalere la paura. Ma Cristo aggiunge: “Imparate dalla pianta di fico: quando il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, voi sapete che ‘’estate è vicina” (Mc 13, 28). Se, da una parte, c’è la descrizione di distruzione, dall’altra, c’è la promessa di una vita tenera e nuova, simboleggiata dall’immagine della pianta di fico le cui nuove foglie insegnano che la morte dell’inverno è sconfitta è la vita dell’estate sta per fiorire e dare frutti di vita.
Paura e speranza si alternano sempre nella vita dell’uomo, anche del credente, tanto da formare una situazione ambigua e irrisolta.
La speranza umana è attesa di qualche cosa che deve venire ma non nessun essere umano può disporre del futuro.
La speranza ebraica attendeva il Messia che doveva venire.
La speranza cristiana già fa presente il regno di Dio in noi, già implica la presenza di Dio nel nostro cuore e la presenza di Dio in noi ci rende capaci della vita eterna. “Mediante la speranza noi siamo già in paradiso, anche se il nostro cuore ha ancora paura” (Divo Barsotti).
Per sconfiggere questa paura possiamo riandare ai tanti passi della Bibbia in cui c’è l’invito a non temere, a non avere paura. Per esempio, pensiamo a Pietro, che camminava sulle acque incontro a Gesù, ma poi cedette alla paura del vento e delle onde e affondò. E si ritrovò quella Mano tesa su di lui, che lo rialzò, lo perdonò e gli diede nuova forza.
Tutto questo ci spinge a coltivare la speranza e non la paura, la fiducia e non lo sconforto.
Un modo importantissimo per vivere questo “come”, questa speranza è quello delle Vergini Consacrate nel mondo. Queste donne si impegnano a vivere la verginità perché in questo modo non solo attendono Cristo con speranza piena. Innamorate di Cristo, come “spose” che da tempo non vedono lo Sposo, Lo attendono ogni giorno non solo con speranza, ma anche con ansia e con passione. Ogni giorno pregano per vederLo tornare, di incontrarLo per sempre. Queste donne consacrate vivono la verginità con dedizione completa perché la verginità mantiene l’anima desta e tesa a Cristo. Si dedicano alla preghiera frequente, fatta nel silenzio, per tenere il cuore vigilante. In questo modo ci testimoniano come tutta la nostra persona si debba protendere verso il Signore, che viene a noi, che si dona a noi e che rinascere le nostre persone.
Lettura patristica
San Cirillo di Gerusalemme
Catech., 15, 1-3
- Il ritorno di Cristo
Annunciamo la venuta di Cristo, non la prima solo, ma anche una seconda, molto più bella della prima. La prima fu una manifestazione di pazienza, la seconda porta il diadema della regalità divina. Tutto è per lo più duplice nel Signore nostro Gesù Cristo: doppia la nascita, una da Dio prima dei secoli, una dalla Vergine alla fine dei secoli; doppia la discesa: una oscura, come (rugiada) sul vello (cf. Jg 6,36-40 Ps 71,6), l’altra piena di splendore: quella che verrà. Nella prima venuta fu avvolto in panni nella mangiatoia, nella seconda è circondato di luce come d’un mantello. Nella prima subì la croce, subì disprezzi e vergogna; nella seconda viene sulle schiere degli angeli che l’accompagnano, pieno di gloria. Non fermiamoci dunque alla prima venuta solamente, ma aspettiamo anche la seconda. Nella prima abbiam detto: “Benedetto colui cbe viene nel nome del Signore” (Mt 21,9), e nella seconda lo ripeteremo ancora: insieme con gli angeli andremo incontro al Padrone, ci getteremo ai suoi piedi e diremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». Viene il Salvatore non per essere nuovamente giudicato, ma per chiamare in giudizio quelli che lo condannarono. Egli, che tacque la prima volta quando fu giudicato, lo ricorderà agli scellerati che osarono crocifiggerlo, dicendo: “Questo facesti, e tacqui” (Ps 49,21). Per la divina economia, venne allora ad ammaestrare gli uomini con la persuasione; ora invece per regnare su di loro a forza, anche se non lo vogliono.
Di queste due venute dice il profeta Malachia: “E subito verrà al suo tempio il Signore, che voi cercate” (Ml 3,1). Ecco la prima venuta. Invece della seconda venuta dice: “E l’angelo del testamento che voi cercate. Ecco, viene il Signore onnipotente: chi sosterrà il giorno della sua venuta, chi sopporterà la sua vista? Si appresserà infatti come il fuoco della fornace, come la soda dei lavandai, si siederà per fondere e pulire” (Ml 3,2s). E subito dopo il Salvatore stesso dice: “Vi verrò incontro per fare giustizia, e sarò un testimone pronto contro gli avvelenatori e gli adulteri, contro quelli che nel mio nome giurano il falso” (Ml 3,5). Già Paolo allude a queste due parusie scrivendo a Tito: “È apparsa la grazia di Dio, salvatore di tutti gli uomini, e ci ha insegnato a rinnegare l’empietà e le cupidigie mondane, e a vivere in questo mondo con temperanza, con giustizia e pietà, aspettando la beata speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e salvatore Gesù Cristo” (Tt 2,11-13). Per questo nella fede che a noi è annunciata anche oggi ci è tramandato di credere in colui «che è asceso al cielo, siede alla destra del Padre, e verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine».
Viene dunque il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli; viene nella gloria alla fine di questo mondo, nell’ultimo giorno; ci sarà infatti la fine di questo mondo e il mondo creato sarà rinnovato. Infatti la corruzione, il furto, l’adulterio e ogni specie di delitto si è effuso sulla terra e nel mondo si è mescolato sangue al sangue, affinché perciò questa mirabile dimora non resti oppressa dall’iniquità, se ne va questo mondo perché ne sia inaugurato uno migliore. Vuoi una dimostrazione di ciò dai detti scritturistici? Odi Is che dice: “Il cielo si avvolgerà come una pergamena e tutte le stelle cadranno come le foglie dalla vite, come cadono le foglie dal fico” (Is 34,4). E il Vangelo dice: “Il sole si oscurerà la luna non darà più il suo splendore e gli astri cadranno dal cielo” (Mt 24,29). Non affliggiamoci come se noi soli dovessimo finire: anche le stelle finiscono, ma forse di nuovo risorgeranno. Il Signore arrotola i cieli, non per distruggerli, ma per farli risorgere più belli. Ascolta il profeta David che dice: “In principio tu, Signore, hai fondato la terra, e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani” (Ps 101,26).
Ma qualcuno obietterà: «Però dice chiaramente che periranno». Ma ascolta in che senso dice «periranno»: è chiaro da ciò che segue: “E tutti invecchieranno come un vestito e tu li avvilupperai come un mantello: ed essi muteranno” (Ps 101,27). Si parla infatti come di una morte di un uomo, come sta scritto: “Vedete in che modo perisce il giusto, e nessuno se la prende a cuore” (Is 57,1), ma se ne aspetta la risurrezione; così aspettiamo quasi la risurrezione dei cieli. “Il sole si muterà in tenebre e la luna in sangue” (Jl 2,31 Ac 2,20). Notino questo i convertiti dal manicheismo: non attribuiscano più la divinità agli astri, né ritengano empiamente che questo sole, il quale si oscurerà, sia Cristo. E ascolta ancora il Signore che dice: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,25). Le parole del Signore non possono paragonarsi alle realtà create. Le realtà visibili passano e vengono le realtà che aspettiamo, più belle delle presenti: ma nessuno ne ricerchi curiosamente il tempo: “Non sta in voi” – è detto infatti – “conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato in suo potere” (Ac 1,7). Non osare dunque di stabilire il tempo in cui ciò avverrà; ma neppure, al contrario, non adagiarti supinamente: “Vigilate” – è detto infatti -, “perché nell’ora in cui non aspettate, il figlio dell’uomo verrà” (Mt 24,44).
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.