Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: L’unità della Pentecoste sconfigge la divisione di Babele

Pentecoste – anno B – 20 maggio 2018

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Rito Romano
At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-1
 
Rito Ambrosiano
At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
 

  • Dalla torre di Babele al Cenacolo di Pentecoste.

La prima lettura (At 2,1-11) di questa Domenica di Pentecoste è presa dagli Atti degli Apostoli, in cui si racconta il fatto della Pentecoste, tenendo sullo sfondo la storia della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9).
Cosa implica la narrazione della costruzione della Torre di Babele? Si tratta della descrizione di un regno, in cui gli uomini avevano acquisito così tanto potere da pensare di essere capaci di costruire da soli una via che portasse al cielo per aprirne le porte, mettendosi al posto di Dio. Ma proprio in questa situazione si verificò qualcosa di inatteso. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano lavorando l’uno contro l’altro. Mentre cercavano di essere come Dio senza l’aiuto di Dio, divennero meno uomini, rovinando il fatto di essere creati a immagine e somiglianza di Dio Comunione perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme.
Questo racconto del Vecchio Testamento contiene una perenne verità, che il Card. Henri de Lubac ha sintetizzato così: “Si può costruire una città senza Dio, ma sarà sempre contro l’uomo”.
Possiamo constatare la verità di questa affermazione di questo grande Gesuita, ripensando alla storia lontana e recente dell’umanità.  Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano.  In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di superato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma il caos e il male, che ne derivano, ci fanno accorgere che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele.
L’unità che gli uomini volevano costruire a Babele è un progetto di unità, deciso dall’uomo e che ha per scopo la gloria dell’uomo: “Venite – dicono i costruttori senza Dio –, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (Gn 11, 4).  E’ un progetto di unità, che nasce da volontà di potenza e di fama, cioè da superbia.
Invece, nella Pentecoste lo Spirito, con il dono delle lingue, mostra che la sua presenza unisce e trasforma la confusione in comunione. L’orgoglio e l’egoismo dell’uomo creano sempre divisioni, innalzano muri d’indifferenza, di odio e di violenza. Lo Spirito Santo, al contrario, rende i cuori capaci di comprendere le lingue di tutti, perché ristabilisce il ponte dell’autentica comunicazione fra la Terra e il Cielo. Lo Spirito Santo è l’Amore. Quindi la Chiesa, più che la nuova Babele, è l’anti-Babele, vivificata dal fuoco dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste.
Se vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza, dobbiamo mendicare dono dello Spirito Santo, mettendoci in umile e silenzioso ascolto della Parola di Dio e, magari, ripetendo spesso la giaculatoria “Vieni, Santo Spirito, Vieni per Maria”.
In questo giorno di Pentecoste, come la Vergine dobbiamo, aprirci totalmente a questo Dono di Dio, accoglierlo in noi, perché tutta la nostra umanità sia attratta, assunta dal Verbo, divenga un solo corpo col Cristo e, vivendo, in una sola vita con Cristo Signore, tutta la nostra vita sia trasfigurata, divenga puro amore: amore per Iddio e amore per i fratelli.
Perché la Pentecoste si rinnovi in noi oggi, dobbiamo essere meno “affannati” per le attività da fare e più dediti alla preghiera, perché più saremo uniti a Dio, più saremo uniti fra di noi nel cenacolo della Chiesa, la quale proclama che Cristo è il centro del mondo.
Se, con l’aiuto dello Spirito Santo, passiamo da Babele dell’egoismo a Pentecoste dell’Amore, ci “decentreremo da noi stessi e ricentrarci su Dio” (cfr. Pierre Teilhard de Chardin) e vivremo “aggregati[1]” in comunione lieta e forte.
Lo Spirito Santo con il suo dono compone in unità l’essere umano, come già insegnava sant’Ireneo: “L’uomo è sfuggito alle mani di Dio col peccato, ma ecco le mani di Dio riprendono l’uomo e lo plasmano nuovamente e le mani di Dio sono il Verbo e lo Spirito Santo”. Queste mani devono prendere anche ciascuno di noi per modellarci di nuovo secondo l’immagine di Dio, per ridonarci unità.  “Dispersi, divisi interiormente è per l’amore di Dio e nell’amore di Dio che saremo ricomposti in perfetta unità, sì che il nostro corpo risponda allo spirito, sì che la legge del nostro corpo non contrasti la legge del nostro spirito e tutto l’essere nostro consumi nella lode divina, nell’amore” (Divo Barsotti).
 
2) La Pentecoste di e con Maria.
San Luca descrive con cura il nucleo della prima comunità in attesa della Pentecoste: “Tutti questi (gli undici apostoli) erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, madre di Gesù, e con i fratelli di lui” (At 1,14). Dunque, quattro sono le  categorie di persone presenti nel Cenacolo il giorno di Pentecoste:
 

  • Gli apostoli, che sono le colonne portanti della Chiesa nascente. Loro, che hanno incontrato Gesù risorto in Galilea (cfr. Mc 14,27-28),  sono ritornati a Gerusalemme per attendere lo Spirito secondo la promessa di Gesù durante l’ultima cena (cfr. Lc 24,42-49; At 1,4-5).
  • Le donne. E’ probabile che si tratti delle donne nominate da San Luca nel Vangelo come presenti alla crocifissione, sepoltura e risurrezione di Gesù (Lc 8,1-3; 23,49.55; 24,10). Il gruppo delle pie donne non è stato meno sensibile del resto della prima Assemblea di Pentecoste, alla discesa di quel Dio che si è mostrato come fuoco. L’amore che le trattenne ai piedi della croce di Gesù e che le condusse, per prime, al Sepolcro nel mattino di Pasqua, si è acceso di nuovo ardore. La lingua di fuoco si è fermata sopra ciascuna ed esse pure saranno eloquenti nel parlare del Maestro agli Ebrei ed ai Pagani.
  • Mariaè la sola donna presentata con il suo nome e con la sua funzione: “Madre di Gesù”. Con la sua presenza, che testimonia la realtà storica dell’incarnazione, è l’elemento di continuità tra la nascita di Cristo e la nascita della Chiesa, ambedue opera dello Spirito.
  • fratelli di Gesù, cioè i suoi parenti, che sono passati da un’iniziale incredulità alla fede nel Risorto, soprattutto quando questi appare a Giacomo, come ricorda San Paolo (cfr. 1Cor 15,7). Allora il lutto familiare per la morte di Gesù si trasforma in gioia pasquale.

 
Ma è sulla presenza della Vergine Maria, Madre di Cristo, nel cenacolo il giorno della Pentecoste che vorrei condividere ulteriori, brevi riflessioni.
Immaginiamo di essere presenti nel Cenacolo e  Maria, più che mai “Piena di Grazia”. Come il giorno dell’Annunciazione è ricolma di Spirito Santo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” (Lc 1,35), così il giorno di Pentecoste lo Spirito Santo “stende la sua ombra” sulla Chiesa nascente, perché sotto il suo soffio essa riceva la forza di “annunziare le grandi opere di Dio” (cfr. At 2,11). Ciò che nell’incarnazione era avvenuto nel grembo di Maria, trova ora una sua nuova attuazione[2].
Una nuova missione inizia per la Madre di Cristo. Possiamo dire che in questo giorno :la Chiesa è generata da Lei. Da Maria nasce al mondo la Sposa del suo Figlio e nuovi doveri l’aspettano. Gesù è ormai asceso al Cielo ed ha lasciato sua Madre sulla terra, affinché prodigasse le sue cure materne alla Chiesa nascente, suo Corpo mistico. E’ commovente e consolante sapere che la Chiesa nascente è accolta nelle braccia di Maria, nutrita da lei, sostenuta dal suo appoggio già  dai primi passi nel mondo. La lingua di fuoco, che si è posata sul capo della Madonna, non la farà parlare in pubblico, ma la farà parlare agli Apostoli, guidandoli e consolandoli nella loro missione di evangelizzatori.
La Vergine Maria, Madre di Cristo e della Chiesa (il 3 marzo 2018 Papa Francesco ha stabilito che si celebri la memoria obbligatoria della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa ogni lunedì di Pentecoste), si dedica tutta a questa nuova, materna missione. La nuova festa liturgica voluta da Papa Francesco accresca la crescita del senso materno della Chiesa.
In questo contesto, ci siano di esempio le Vergini consacrate che con il completo dono di se stesse a Cristo e con una vita esemplare vivono una maternità spirituale nella gioia: “Gioite, vergini di Cristo: la madre di Cristo è vostra sorella. Non avete potuto essere madri di Cristo nella carne, ma non avete voluto essere madri per amore di Cristo. Colui che non è nato da voi è nato per voi. Tuttavia se ricordate le sue parole – e dovete ricordarle – anche voi siete madri sue, perché fate la volontà del Padre suo” (Sant’Agostino, Discorso 192).
E’ una maternità spirituale vissuta nel servizio di carità e nella preghiera, che è dialogo. In effetti, nel dialogo con Dio si aprono al dialogo con tutte le persone che loro incontrano e , nei delle quali sono madri, madri dei figli di Dio (cfr. Rito della Consacrazione delle Vergini, 29).
 
Lettura patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 – 4309
Sermo 267
La molteplicità delle lingue non è più necessaria
Che forse non c’è lo Spirito Santo? Chi pensa così non è degno di riceverlo. C’è e adesso. Perché, allora, nessuno parla tutte le lingue, come quella volta coloro che ne furono ripieni? Perché? Perché ciò che quel fatto voleva significare, ora si è compiuto. E che cosa è questo? La Chiesa allora era tutta in una sola casa, ricevette lo Spirito Santo: era solo in pochi uomini, ma era nelle lingue di tutto il mondo. Ecco che cosa voleva dire quel fatto. Che quella piccola Chiesa parlasse le lingue di tutte le genti; infatti, che cosa è se non questa realtà di questa nostra Chiesa, che da oriente a occidente parla con le lingue di tutti i popoli? Oggi si avvera ciò che allora si accennava. Sentimmo, vediamo. “Senti, figlia, e vedi” (Ps 44,11); fu detto: Ascolta la promessa, vedine l’adempimento. Il tuo Dio non ti ha ingannato, non ti ha ingannato il tuo Sposo, non ti ha ingannato colui che ti ha fatto la dote col suo sangue; non ti ha ingannato colui che da brutta ti ha fatto bella e da immonda ti ha fatto vergine immacolata. A te stessa tu sei stata promessa; promessa in pochi, adempita in molti.
San Girolamo (347 – 419/420)
Epist, 82, 2
 
La pace frutto della carità
Non è davvero una nobile impresa reclamare la pace a parole e distruggerla a fatti. Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l’effetto contrario! A parole si dice: andiamo d’accordo!, e di fatto, poi, si esige la sottomissione dell’altro.
La pace la voglio anch’io; e non solo la desidero, ma la imploro! Ma intendo la pace di Cristo, la pace autentica, una pace senza residui di ostilità, una pace che non covi in sé la guerra; non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia!
Perché diamo il nome di pace alla tirannia? Perché non rendiamo ad ogni cosa il suo nome appropriato? C’è odio? Allora diciamo che c’è ostilità! Solo dove c’è carità diciamo che c’è pace! Io la Chiesa non la lacero, no! E neppure mi taglio fuori dalla comunione dei Padri! Fin da quand’ero in fasce, se posso esprimermi così, sono stato nutrito col latte del cattolicesimo. E penso che nessuno appartiene di più alla Chiesa di chi non è mai stato eretico. Non conosco, però, una pace che possa fare a meno della carità, o una comunione che possa prescindere dalla pace. Nel Vangelo leggiamo: “Se stai offrendo la tua offerta all’altare e lì  ti viene in mente che un tuo fratello ha qualcosa contro di te lascia lì l’offerta, davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi ritorna pure a fare la tua offerta” (Mt 5,23-24).
Se quando non siamo in pace non possiamo fare la nostra offerta, pensa tu, a maggior ragione, se possiamo ricevere il Corpo di Cristo! Che razza di coscienza è la mia se rispondo “Amen” dopo aver ricevuto l’Eucaristia di Cristo, mentre invece dubito della carità di chi me la porge?
 
[1] In effetti, San Tommaso d’Aquino chiama l’amore di Dio aggregativo e quello di sé disgregativo. “L’amore di Dio è aggregante in quanto riporta il desiderio dell’uomo dalla molteplicità a un’unica cosa; l’amore di sé invece disperde, disgrega il desiderio umano nella molteplicità delle cose. Infatti l’uomo ama se stesso desiderando per sé i beni temporali che sono molti e diversi” (Summa Theologica, II-IIae, q. 73, a. 1, ad 3).
[2] Nell’Enciclica Redemptoris Mater al numero 24 San Giovanni Paolo II sottolinea il ruolo della Vergine Maria nella nascita della Chiesa e lascia intravedere una continuità della maternità di Maria: «Nell’economia della grazia, attuata sotto l’azione dello Spirito Santo, c’è una singolare corrispondenza tra il momento dell’incarnazione del Verbo e quello della nascita della Chiesa. La persona che unisce questi due momenti è Maria: Maria a Nazareth e Maria nel cenacolo di Gerusalemme. In entrambi i casi la sua presenza discreta, ma essenziale, indica la via della nascita dallo Spirito. Così colei che è presente nel mistero di Cristo come madre, diventa – per volontà del Figlio e per opera dello Spirito Santo – presente nel mistero della Chiesa

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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