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Di chi siete “icona”?, di Antonello Iapicca

Commento al Vangelo della XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) — 22 ottobre 2017

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Su quali “certezze” fondiamo la nostra vita? San Paolo ricorda ai Tessalonicesi e a ciascuno di noi di essere stati “eletti da Dio”, grazie al Vangelo che si è “diffuso”, letteralmente si potrebbe tradurre anche “ci ha generato”, attraverso la “parola, la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione”.
Quest’ultimo termine è fondamentale: esso deriva dalla radice greca che indica “pienezza”. Da essa nascono termini affini che possono significare anche “riempire un recipiente”, “compiere un dovere”, “completare o restituire un tributo o un salario”.
La “profonda convinzione”, dunque, è legata a un’esperienza: l’annuncio ricevuto con la predicazione si è rivelato autentico per la potenza dello Spirito Santo, che ha dato compimento e pienezza al Vangelo. Fatti reali, miracoli concreti nella propria vita “riempita” da Cristo, è questa la certezza dei cristiani.
Come gli altri pagani entrati nelle diverse comunità, anche i Tessalonicesi avevano l’esperienza della morte a causa dei loro peccati, “nei quali hanno vissuto alla maniera di questo mondo”; ma anche che “Dio, ricco di misericordia, per grazia, li ha fatti resuscitare e sedere nei cieli in Cristo Gesù”.
Il fondamento della loro fede era proprio la vita nuova che conducevano: non tradivano più la moglie, non abortivano e non abbandonavano i propri figli; non erano più schiavi delle concupiscenze, non servivano mammona, amavano i nemici. Era una vita celeste, propria di chi è stato “restituito” al Padre che è nei Cieli.
E così era stato: sepolti con Cristo nel battesimo, vi avevano lasciato l’immagine dell’uomo di terra, quella del primo Adamo caduto nel peccato; e riemersi dalle acque era rinati con Lui, il secondo Adamo, rivestiti dell’immagine dell’uomo celeste.
E tu, ed io? Guardiamoci allo specchio, e vediamo quale sia la nostra immagine. E’ la parte nascosta della risposta di Gesù ai “discepoli dei farisei e agli erodiani”: “mostratemi la moneta del tributo”.  E a noi dice: “mostratemi la vostra vita: di chi è l’immagine e l’iscrizione?”. Di chi siete “icona”, e che cosa annuncia la vostra condotta?
Sulla moneta del “tributo”, l’imposta “per testa” imposta da Roma, vi era l’immagine dell’imperatore Tiberio e l’iscrizione “Tiberio Cesare, augusto figlio del divino Augusto, pontefice massimo”.  E in noi, quale volto risplende? E di chi siamo figli?
Per rispondere occorre risalire all’origine del brano evangelico. E, nascosta, vi troviamo la grande questione posta dal figlio di Giuseppe il carpentiere: chi sono io per la gente? E per te? Per i farisei era un eretico, un impostore, addirittura un demonio. Ed era una certezza granitica, ma non era la “profonda convinzione” dei Tessalonicesi…
Per questo non potevano tollerare che Gesù si spacciasse per Figlio di Dio. Non poteva essere Lui il Messia. Si erano, infatti, già messi d’accordo tra loro e con gli erodiani, un gruppo legato a Erode e che, probabilmente, riconosceva in lui il Messia. Due fazioni opposte riunite dal rifiuto di Gesù e dall’obiettivo di toglierlo di mezzo.
Per questo inviano i loro “apostoli”: altri se stessi incaricati di mettere in trappola Gesù.  Sì, anche la “malizia” ha i suoi missionari; ma sono “ipocriti”, attori che recitano una parte che non corrisponde alla loro realtà. Allungano le frange, pregano ostentatamente, espongono l’immagine di Dio ma dentro sono pieni di rapina e malizia.
E Gesù si trova ad affrontare queste monete false. Ha davanti l’ipocrisia che tutti ci avvolge, come quando preghiamo o andiamo a messa e ci rivolgiamo a Lui, mentre il nostro cuore è lontanissimo, parcheggiato fuori della Chiesa, schiavo del mondo e della sua mentalità.
Ma l’ipocrisia si fa evidente nel modo in cui essi iniziano a rivolgersi al Signore: “sappiamo che insegni la via di Dio senza nascondere la verità, e non guardi in faccia a nessuno perché non guardi le apparenze”. Ed è vero, e lo sperimenteranno nella sua risposta. Ma nelle loro parole vi è un doppio senso terribile: tu non ti curi di nessun uomo.
E’ qui che nasce l’ipocrisia, da questa immagine falsa di Gesù che essi avevano. Non potevano specchiarsi nel suo volto come figli nel Figlio; non potevano aprirsi umilmente al suo amore, perché pensavano male di Lui. Come noi, che non vogliamo essere come Gesù, che la sua immagine sia impressa in noi. Ne siamo scandalizzati, perché oppressi dalla superbia.
Dubitiamo di Lui, come Adamo ed Eva furono indotti dal demonio a dubitare di Dio. Dietro la libertà di Gesù, dietro la sua parresia, non si nasconde forse l’indifferenza cinica verso i miei problemi? La Chiesa mi dice che dietro a questa storia difficile, di sofferenze e solitudine, a questo matrimonio che fa acqua, c’è la mano di Dio che resta spesso invisibile e misteriosa. Ma non sarà invece che Dio si disinteressa di me, mi lascia soffrire, perché non ha davvero a cuore le mie cose?
Risuona la stessa insinuazione del serpente: “tu che pensi, che opinione hai?” Non c’entra la fede, c’entrano i pensieri umani: pensa con la tua testa, non vedi che il frutto che Dio ti proibisce è bello, buono e può esaudire il tuo desiderio di essere come Lui? Si, non solo immagine e somiglianza di Dio, puoi diventare tu stesso dio… Come Augusto, come Tiberio, come Erode…
Per questo chiedono a Gesù se “è lecito pagare il tributo”, che in greco può anche significare “c’è il potere, l’autorità?”. Ah, allora la questione è davvero seria! E’ in gioco l’identità e l’autorità di Gesù, che è la stessa di Dio. E’ in gioco lo Shemà, il cuore della fede di Israele. E’ come se chiedessero a Gesù: chi ha autorità assoluta sulla nostra vita? Chi amare con tutto il cuore, la mente e le forze? Ma non per essere illuminati davvero, solo per trovare un pretesto contro di Lui. Avevano già scelto il loro Re, e non era Dio.
La stessa domanda risuona oggi nelle nostre chiese per provare l’intenzione dei nostri cuori e la certezza della nostra fede: chi conduce la nostra storia? Chi può dirci che cosa “è lecito” e cosa non lo è? Perché per comprendere quale immagine portiamo, occorre sapere a chi apparteniamo: a Dio che ci ha scelti da sempre, o a Cesare, cioè al demonio, che invece scegliamo noi?
Scriveva Sant’Ilario che chi sceglie l’immagine di Cesare sarà poi obbligato a versargli i tributi, mentre chi sceglie l’immagine di Dio è libero, non deve nulla al mondo. Il demonio, infatti, esige da noi la tassa su ogni pensiero, parola, gesto. I peccati, con cui lo dobbiamo servire. Non sono essi l’immagine che riflettiamo in famiglia, al lavoro, ovunque?
Ma Dio è geloso di noi. E viene ancora con la sua Chiesa a cercarci per strapparci di dosso l’immagine ipocrita che non si addice ai figli di Dio. Davvero vuoi la certezza dei Tessalonicesi? Davvero vuoi accogliere Dio come l’unico tuo Signore, e lasciarlo condurre la tua storia come ha fatto con Israele? Vedrai “Ciro”, immagine degli eventi impensabili e incomprensibili, chiamato da Dio perché tutto concorra al tuo bene. Sperimentare questo è la pienezza della fede, l’unica che ci fa “restituire a Dio quello che suo”, cioè tutto noi stessi.
Allora lasciati ammaestrare dalla Chiesa, porgi l’orecchio alla predicazione, accostati alla confessione e lascia a Cristo i tuoi peccati; mangia il suo Corpo e bevi il suo Sangue per risorgere con Lui ed essere trasformato nella sua stessa immagine, figlio nel Figlio, luce per il mondo.

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Antonello Iapicca

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