Santa Marta, 5 ottobre 2017 / © PHOTO.VA - OSSERVATORE ROMANO

Santa Marta: “Senza le radici non si può vivere”

Omelia del Papa nella Messa mattutina di giovedì 5 ottobre 2017

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“Senza le radici non si può vivere”, ha detto papa Francesco giovedì 5 ottobre 2017 nella Messa mattutina a Santa Marta. Anzi, “un popolo senza radici o che lascia perdere le radici, è un popolo ammalato”, così ha aggiunto il Pontefice, le cui parole sono state riportate dal programma italiano di Radio Vaticana.
Questo vale anche per ciascuno di noi. “Una persona senza radici, che ha dimenticato le proprie radici, è ammalata”, ha proseguito infatti il Papa, il quale ha esortato quindi tutti a “ritrovare, riscoprire le proprie radici e prendere la forza per andare avanti, la forza per dare frutto e, come dice il poeta, ‘la forza per fiorire perché – dice – quello che l’albero ha di fiorito viene da quello che ha di sotterrato’”.
Su questa strada non mancano però le resistenze o ostacoli. “Le resistenze sono di quelli che preferiscono l’esilio, e quando non c’è l’esilio fisico, l’esilio psicologico”, anzi “l’auto-esilio dalla comunità, dalla società, quelli che preferiscono essere popolo sradicato, senza radici”. Si tratta — ha spiegato il Santo Padre — di una “malattia”, quella “dell’auto-esilio psicologico”, che “fa tanto male”, poiché “ci toglie le radici”, “ci toglie l’appartenenza”.
Per la sua meditazione, il Pontefice si è basato sulla Prima lettura di oggi, presa dal Libro di Neemia (Ne 8,1-4.5-6.7-12), che racconta come il popolo tornato dall’esilio babilonese si raduna davanti alla porta delle Acque a Gerusalemme per “ripristinare le radici”, cioè ascoltare la Parola di Dio, perché durante l’esilio le radici “si erano indebolite”.
E — così osserva il Papa — il popolo piangeva, ma a differenza del tempo dell’esilio questa volta era un pianto di gioia, quello “dell’incontro con le proprie radici, l’incontro con la propria appartenenza”.
Dopo la lettura, il popolo — così racconta il Libro di Neemia — fa festa. Si tratta di un dettaglio molto significativo, poiché l’uomo e la donna che riscoprono le proprie radici, che sono fedeli alla propria appartenenza, “sono un uomo e una donna in gioia, di gioia e questa gioia è la loro forza”, così ha osservato il Pontefice.
Per questo motivo, Jorge Bergoglio ha esortato i presenti a leggere l’ottavo capitolo del Libro di Neemia e a chiedersi se non si lasci “cadere il ricordo del Signore”, per avviare infine quel cammino che porta alla riscoperta delle proprie radici.
Ricordando poi che chi ha “paura di piangere”,  avrà anche “paura di ridere”, il Papa ha proposto di chiedere al Signore la grazia del “pianto pentito”, “triste per i nostri peccati” — altro elemento chiave della spiritualità ignaziana: il dono di “piangere molto” sui propri peccati — , ma anche del pianto della gioia perché il Signore “ci ha perdonato e ha fatto nella nostra vita quello che ha fatto con il suo popolo”.
Nel corso della sua omelia, papa Francesco ha fatto un riferimento alla “nostalgia dei migranti”, coloro che “sono lontani dalla Patria e vogliono tornare”, e ha ricordato in particolare il gesto del coro che alla fine della Messa conclusiva della sua visita pastorale a Genova ha eseguito in genovese la canzone “Ma se ghe penso” (“Ma se ci penso”, in italiano).
Scritta nel 1925, essa racconta infatti la storia di un genovese costretto a emigrare in America Latina in cerca di una vita migliore, un elemento che tocca la propria storia personale del Pontefice, nato in Argentina da genitori piemontesi imbarcatisi al porto di Genova con destinazione il Nuovo Mondo.

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Paul De Maeyer

Schoten, Belgio (1958). Laurea in Storia antica / Baccalaureato in Filosofia / Baccalaureato in Storia e Letteratura di Bisanzio e delle Chiese Orientali.

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