Oltre 100mila profughi accolti in una diocesi di appena 30mila cattolici battezzati. È questa la straordinaria situazione di Erbil, in Iraq, descritta oggi presso la Stampa Estera dal suo arcivescovo, mons. Bashar Warda.
Il presule ha incontrato i giornalisti su iniziativa di Aiuto alla Chiesa che Soffre, la quale opera nel nord dell’Iraq – di concerto con la diocesi di Erbil – per sostenere i cristiani del Paese fuggiti dalla piana di Ninive e da Mosul a seguito dell’occupazione da parte dell’Isis, nel giugno 2014.
Tra agosto 2014 e settembre 2016, Acs ha donato 13milioni di euro alla diocesi di Erbil. E ad oggi la Fondazione di diritto pontificio paga l’affitto per 1.600 famiglie cristiane, ma l’obiettivo è arrivare a quota 5mila.
Per poter sviluppare un maggior volume di aiuti, Alessandro Monteduro, direttore di Acs Italia, ha espresso l’auspicio che venga attuato un “Piano Marshall”, coinvolgendo altre associazioni di carità, Chiese locali e Governo iracheno.
In attesa che una riviviscenza del piano post-bellico americano del 1948 sia messa in pratica, mons. Warda ha offerto uno scenario della realtà di Erbil ancora pieno di incognite, nonostante tutti i villaggi della regione siano stati liberati, così come la zona orientale di Mosul. “Dei 125mila fuggiti, oggi a Erbil ne sono rimasti 110mila – ha spiegato -, moltissimi vorrebbero tornare ma non ci sono garanzie per la loro sicurezza”.
L’arcivescovo ha sottolineato che i terroristi dell’Isis hanno fatto terra bruciata di case, chiese ed infrastrutture. Ciò che più ha squarciato l’animo della popolazione, tuttavia, è l’aver perso la speranza.
Del resto non sarà facile ricostruire un clima di convivenza pacifica ad Erbil e nella piana di Ninive. Il presule ha confermato quanto detto a ZENIT da mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo emerito di Mosul: spesso i primi a tradire i cristiani, a far campagna di delazione presso i terroristi se non addirittura a fiancheggiarli durante le loro operazioni, sono stati i loro vicini musulmani.
“Sarà un lavoro duro quello di ricostruire dialogo e fiducia”, ha chiosato mons Warda. Il quale ha lasciato intendere che in tal senso sarà fondamentale l’impegno delle autorità. Perciò “serve sapere chi garantirà la sicurezza dei cristiani sfollati”, ha spiegato.
“L’esercito iracheno? I peshmerga curdi?”, si chiede l’arcivescovo. Domande che attualmente restano senza risposta. Lo sguardo di mons. Warda si sposta allora verso la comunità internazionale, a cui chiede un contributo per il futuro pacifico del suo Paese.
Inevitabile soffermarsi sugli Stati Uniti, che con l’invasione dell’Iraq nel 2003 sono stati tra i maggiori artefici dell’attuale crisi. L’arcivescovo di Erbil ha commentato il cosiddetto “muslim ban”, un recente ordine esecutivo della Casa Bianca che predispone il bando dei profughi provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica, tra i quali l’Iraq.
Secondo il presule, Trump “ha il diritto di assumere tutte le decisioni che vuole per il suo Paese”. Tuttavia, sulla falsariga di quanto affermato nelle scorse ore dal Patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, l’arcivescovo di Erbil ha fatto presente che questa discriminazione da parte degli Stati Uniti potrebbe rivelarsi controproducente per i cristiani. “Qualcuno – ha sottolineato mons. Warda riferendosi ai musulmani in Medio Oriente – potrebbe pensare che noi cristiani siamo assimilati all’Occidente”.
Piuttosto, mons. Warda ha rilevato che bisogna adoperarsi per proteggere nell’area non soltanto gli interessi dei cristiani, ma di tutta la popolazione a prescindere dall’appartenenza religiosa. Ecco allora che saluterebbe con favore un intervento statunitense in Iraq per arginare il terrorismo. “Il Medio Oriente soffre da troppo tempo per guerre e violenze – ha osservato – se Trump desidera contribuire per ripristinare pace e giustizia e per fermare la guerra, noi ne saremo felici”.
monsignor Bashar Warda - ZENIT FC
Mons. Warda: "Bene Trump, se porterà pace in Medio Oriente"
L’arcivescovo di Erbil traccia un quadro dell’Iraq ancora pieno di incognite. Critico sulla scelta statunitense di accogliere solo profughi cristiani, auspica piuttosto un intervento “per fermare la guerra”