Frate Francesco d’Assisi nel 1226, pochi mesi prima di morire, volle scrivere il suo Testamento. Naturalmente non aveva nessun bene da lasciare in eredità essendo stato costretto dal padre, Pietro di Bernardone, a restituirgli tutto in pubblica piazza nel 1206 circa, ossia vent’anni prima. Ma era altro ciò che premeva all’Assisiate trasmettere ai posteri ossia la sua esperienza cristiana, cominciando dal momento del suo cambiamento di vita in cui passò dall’ideologia cavalleresca – cioè dall’ostentare un comportamento da nobile pur essendo in realtà figlio di un mercante che sa leggere, scrivere e far di conto – alla vita secondo la forma del Vangelo. E in questo indica che il fare misericordia con i lebbrosi fu ciò che “convertì” l’amaro in dolcezza. Ecco di seguito la narrazione da lui stesso fatta con qualche nota esplicativa del padre Carlo Paolazzi.
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Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così (1): quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia (2). E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo (3). E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo.
(1) In apertura del Testamento «frate Francesco» (la firma è già un programma di vita) offre subito le chiavi essenziali di lettura della sua esperienza evangelica: dove primo protagonista è il Signore con la sua grazia, il fare penitenza è un «incominciare» che esige perseveranza nel ricominciare, mentre il così dell’inizio dice implicitamente due cose: che la conversione nasce da un modo nuovo di «vedere» la realtà, e che nessuno può convertirsi all’amore del Dio che non vede, se non ama il fratello che vede (cf. 1Gv 4,20).
(2) Francesco sembra rileggere l’incontro con i lebbrosi attraverso il filtro della parabola del buon samaritano: il quale, dopo il «vedere» infastidito del sacerdote e del levita, passando accanto al ferito «usò misericordia con lui» (fecit misericordiam in illum, Lc 10,37; feci misericordiam cum illis, riecheggia Francesco).
(3) L’intera persona di Francesco, compreso «frate corpo» (2Cel 211), incomincia a fare esperienza del Dio che è «tutta la nostra dolcezza» (LodAl 7).
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Circa le fonti della storia del francescanesimo da ora disponibili anche in traduzione italiana: cfr. http://www.assisiofm.it/viii-centenario-della-nascita-di-san-bonaventura-72901-1.html
I lebbrosi tra miseria e misericordia: l’esempio di Francesco d’Assisi
Il santo patrono d’Italia cambiò vita seguendo l’esempio evangelico del Buon Samaritano