Card. Turkson: “Contro la lebbra c’è ancora molto da fare”

In occasione della 64° Giornata Mondiale della lotta al morbo di Hansen, il porporato denuncia il pregiudizio e la paura che spesso ancora grava sui malati e sui guariti

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Contro la lebbra nell’ultimo trentennio, i progressi sono stati notevoli: se nel 1985, le persone affette dal morbo di Hansen erano oltre 5 milioni, oggi siamo scesi a circa 200mila, tuttavia “c’è ancora molto, moltissimo da fare”. Lo sottolinea il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, nel suo messaggio alla vigilia della 64° Giornata Mondiale di Lotta alla Lebbra, che si celebra domani.
Rievocando i temi discussi nel Simposio dello scorso giugno – organizzato dal poi disciolto Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari – Turkson ha rilevato come “ogni nuovo caso di malattia di Hansen è di troppo, lo è anche ogni forma residua di stigma per questa malattia. Di troppo – ha aggiunto – è ogni legge discriminante i malati affetti dal morbo di Hansen, così come ogni tipo di indifferenza”.
Il porporato ghanese ha quindi auspicato un impegno di “tutti e a tutti i livelli perché, in tutti i Paesi, vengano modificate le politiche familiari, lavorative, scolastiche, sportive e di ogni altro genere che discriminano direttamente o indirettamente queste persone; perché i Governi mettano a punto piani attuativi che coinvolgano le persone malate”.
Segnatamente, il cardinale Turkson ha indicato la necessità di un rafforzamento della ricerca scientifica per “sviluppare nuovi farmaci”, oltre che della assistenza ai malati anche nelle “aree più remote”.
Altro obiettivo da perseguire: il reinserimento della persona guarita “nel tessuto sociale originario: nella famiglia, nella comunità, nella scuola o nell’ambiente di lavoro”; a tale scopo, il capodicastero ha incoraggiato “l’associazionismo tra gli ex-malati” e a “diffusione delle comunità” che promuovano “un’autentica fratellanza”.
Menzionando il Vangelo della guarigione del lebbroso (Mc 1,40-45), Turkson indica l’esempio di Gesù che “non solamente sana la persona nella sua interezza ma sollecita l’uomo da Lui guarito a presentarsi a colui che poteva decretarne il pieno reinserimento nella società, la riammissione nel ‘consorzio umano’”.
Per il lebbroso di oggi, “le disabilità, i segni inconfondibili lasciati dalla malattia sono ancora oggi simili a dei marchi a fuoco”, mentre “la paura del Morbo, tra i più temuti nella storia umana, vince sulla ragione, la mancanza di conoscenza della patologia da parte della comunità esclude i guariti che, a loro volta, a causa della sofferenza e delle discriminazioni subite hanno perso il senso della dignità che gli è propria, inalienabile anche se il corpo presenta mutilazioni”, ha proseguito il cardinale, esortando in conclusione a un rinnovato impegno collettivo affinché le vittime della lebbra possano trovare “accoglienza, solidarietà, giustizia”.

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ZENIT Staff

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