Omosessualità, droga, suicidi, violenze d’ogni tipo, perfino necrofilia. È quanto rappresentato in Bent, la piéce di Martin Sherman, che denuncia i crimini del nazismo contro i gay, in scena giovedì scorso al Teatro Verdi a Pisa. Già i contenuti si prestano alla facile definizione di “espliciti” ma il lato più inquietante legato a quest’opera, è nel coinvolgimento di studenti del biennio delle scuole superiori come progetto formativo, legato alla Giornata della Memoria per le vittime dell’olocausto, celebratasi ieri.
Davvero troppo per il gruppo di genitori che giovedì sono andati ad assistere alla performance, uscendone sconvolti, per poi andare a reclamare presso le scuole dei figli. Già in precedenza, alcuni di loro, leggendo le recensioni del progetto, ne avevano colto le criticità e si erano rivolti all’Associazione Non si Tocca la Famiglia, chiedendo di approfondire l’indagine su questo controverso percorso formativo.
“Abbiamo fatto presente ai genitori che lo spettacolo andava presentato quantomeno con una scheda tecnica – spiega a ZENIT Giusy D’Amico, presidente di Non si Tocca la Famiglia -. Da parte nostra, noi li abbiamo sollecitati a vigilare sull’organizzazione e sui programmi scolastici. Quando poi i percorsi sono critici, com’è il caso di Bent, è bene che i ragazzi non solo ne vengano esonerati ma sia indicata loro l’attività alternativa”.
Secondo la D’Amico, rimane sacrosanto che le scuole partecipino alla Giornata della Memoria e sensibilizzino gli studenti contro l’odio razziale, attraverso la conoscenza della storia. La crudezza e la scabrosità di immagini e situazioni proposte in Bent si è però subito manifestata come assolutamente gratuita, tanto più se diretta a ragazzi di 14-15 anni.
“Riteniamo giusto si parli della Shoah – prosegue la presidente di Non si Tocca la Famiglia – tuttavia pensiamo che trattare temi delicati come la sessualità e l’affettività non spetti alla scuola. Si può parlare anche dell’odio con cui il nazismo puniva anche le persone omosessuali, senza però scendere in particolari così delicati, su cui la famiglia deve essere il riferimento di traduzione, in termini di affettività e di sessualità per i propri figli”.
Non solo Bent evoca le raccapriccianti immagini di atti necrofili sulla salma di una bambina di 13 anni (sebbene compiuti dal protagonista solo per dimostrare, in un momento in cui la sua vita era minacciata, che ce l’avrebbe fatta a possedere una donna…), ma pare anche trasmettere l’idea che i dispiaceri della vita possano essere vinti con l’assunzione di cocaina: “Se un messaggio del genere viene veicolato dalle scuole, potrebbe anche avallare la liceità di questo comportamento”, ha commentato Giusy D’Amico.
Vi sono poi scene in cui due prigionieri omosessuali in un lager, non potendo fisicamente amarsi, immaginano e descrivono con particolari molto espliciti il loro amplesso.
Lo spettacolo finisce quindi con il messaggio “love is love”, che non bisogna vergognarsi di se stessi, né mentire al mondo e che per l’amore – anche omosessuale – bisogna essere disposti a morire pur di non dissimularlo.
Contro la rappresentazione di Bent, cui hanno assistito circa 250 liceali, provenienti da sei scuole pisane, si era schierato la sezione locale del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, che aveva rivendicato il primato educativo da parte dei genitori, mentre centinaia di firme erano state raccolte per la sospensione dello spettacolo, sulla piattaforma civica online CitizenGo.
YouTube
“Bent”: l’amore omosessuale mostrato ai liceali
Non si placano le polemiche a Pisa dopo la rappresentazione di una pièce a scopo formativo scolastico, per sensibilizzare gli studenti sulla persecuzione dei gay da parte del nazismo