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Francesco e il “potere dell’amore”

La forza del perdono in un mondo martoriato

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Su quali scenari si apre l’anno che inizia? Verso quali mete è auspicabile che possa avanzare? È a queste due domande che vorrei provare a rispondere in quest’alba del diciottesimo anno del Terzo Millennio. Gli scenari che caratterizzano il “villaggio globale” sono stati richiamati da Papa Francesco con lucido realismo nel messaggio che ha preceduto la benedizione natalizia “Urbi et orbi”: soffermandosi sul “potere dell’amore”, che si rivela nella piccolezza del Bambino della mangiatoia, Francesco ha affermato che l’annuncio di un tale potere “vuole raggiungere tutti i popoli, specialmente quelli feriti dalla guerra e da aspri conflitti e che sentono più forte il desiderio della pace”.
Il Papa ha fatto l’elenco doloroso e drammatico di queste umanità ferite: la “martoriata Siria, dove troppo sangue è stato sparso, soprattutto nella città di Aleppo, teatro nelle ultime settimane di una delle battaglie più atroci”; “l’amata Terra Santa, scelta e prediletta da Dio”, dove Israeliani e Palestinesi sono chiamati ad avere “il coraggio e la determinazione di scrivere una nuova pagina della storia, in cui odio e vendetta cedano il posto alla volontà di costruire insieme un futuro di reciproca comprensione e armonia”; i tanti Paesi segnati dalla guerra, spesso fratricida, come l’Iraq, la Libia, lo Yemen, varie regioni dell’Africa, particolarmente la Nigeria, “dove il terrorismo fondamentalista sfrutta anche i bambini per perpetrare orrore e morte”, il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo, dove urge promuovere “la cultura del dialogo”, sostituendola alla logica dello scontro; l’Ucraina orientale, “dove è urgente una comune volontà nel recare sollievo alla popolazione e dare attuazione agli impegni assunti”; la situazione del “popolo colombiano, che ambisce a compiere un nuovo e coraggioso cammino di dialogo e di riconciliazione”, e quella del Venezuela, dove urge  “intraprendere i passi necessari per porre fine alle attuali tensioni ed edificare insieme un avvenire di speranza per tutta la popolazione”; il Myanmar, chiamato a “consolidare gli sforzi per favorire la pacifica convivenza e, con l’aiuto della comunità internazionale, prestare la necessaria protezione e assistenza umanitaria a quanti ne hanno grave e urgente necessità”; la penisola coreana, attraversata da molteplici tensioni.
Papa Francesco ha voluto anche ricordare “chi è stato ferito o ha perso una persona cara a causa di efferati atti di terrorismo, che hanno seminato paura e morte nel cuore di tanti Paesi e città”, e i tanti “abbandonati ed esclusi, che soffrono la fame e sono vittime di violenze, i profughi, i migranti e i rifugiati, come quanti oggi sono oggetto della tratta delle persone”.
Alla radice di tutti questi mali il Papa vede – e denuncia – “le ambizioni economiche di pochi e l’avida ingordigia del dio denaro che porta alla schiavitù”, mentre invoca la “pace per chi è segnato dal disagio sociale ed economico e patisce le conseguenze dei terremoti o di altre catastrofi naturali”. A conclusione di questo sguardo sul mondo attuale, Francesco si sofferma sui “bambini, in questo giorno speciale in cui Dio si fa bambino, soprattutto su quelli privati delle gioie dell’infanzia a causa della fame, delle guerre e dell’egoismo degli adulti”.
Davanti a questo scenario complesso e drammatico, Papa Francesco non esita a far sua la proposta sconvolgente del Natale: «un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». Lui solo è il «Principe della pace»: il mondo non sarà salvato da una forza che s’imponga su ogni altra per superiorità di grandezza e di potenza, ma dalla debolezza di quel bambino venuto a instaurare fra gli uomini il potere dell’amore. È questo il solo potere che “rigenera la vita, perdona le colpe, riconcilia i nemici, trasforma il male in bene”: il potere di Dio e del “servizio, che instaura nel mondo il regno di Dio”.
Questo potere dell’amore è in grado di riconciliare i conflitti perché pone alla base di ogni relazione fra gli uomini il primato del perdono, richiesto ed offerto, ricevuto e donato. Solo il perdono toglie ragioni alla vendetta e all’offesa e rende umani i cuori induriti, riuscendo a sciogliere tensioni altrimenti insuperabili: è il perdono l’anima di quella “non violenza” che – come recita il tema della Giornata Mondiale della Pace, scelto da Papa Francesco per questo 1 Gennaio 2017 – è l’indispensabile “stile di una politica per la pace”. Dono senza riserve, il perdono è pieno, autentico e fecondo solo quando nasce da una scelta libera, gratuita e senza ritorno.
Educarsi ed educare al perdono è allora la prima e fondamentale via per contribuire alla pace e alla giustizia fra i singoli, i gruppi, i popoli e le nazioni: perché, quando è sincero, il perdono risulta inseparabile dalla riparazione dei torti inflitti e dal ristabilimento della giustizia. Solo chi sa amare sa perdonare, e solo l’amore ricevuto e donato rende capaci di domandare perdono e di offrirlo a chi ce lo chiede. Nei rapporti fra le persone il perdono sconvolge la logica del “do ut des” e svuota di senso ogni sopraffazione e violenza, per far pendere la bilancia sempre dalla parte dell’eccesso del bene e dell’impegno per la crescita di tutti. Nelle relazioni sociali e politiche, il perdono guarda alle persone che sono in gioco accogliendole e desiderandone il bene al di là di ogni merito o di possibile contraccambio.
Il perdono fa amare l’avversario come si ama se stessi e svuota la necessità della lotta, privilegiando sempre e in ogni caso la via del dialogo e della giusta intesa. Nel perdono il potere dell’amore produce i suoi frutti più belli e fecondi: se l’amore che vince il male è la bellezza che salverà il mondo, il perdono, che di questo amore è l’espressione, è la via della bellezza di cui la terra intera ha bisogno, dalle relazioni personali a quelle sociali, dal rapporto all’ambiente a quello fra i popoli, le società e le nazioni. Solo il perdono cambierà il mondo e renderà abitabile e godibile per tutti la casa comune e l’ambiente in cui essa si va edificando.
Perdonare, però, è spesso tutt’altro che facile: il perdono richiede una forza interiore e un’audacia nell’amare, che abitano in cuori aperti, in spiriti grandi. Solo chi si riconosce perdonato nel modo più profondo e ricco d’amore, saprà anche perdonare. Sulla via del perdono non è difficile perciò incontrare Dio, avvertendo il bisogno della forza che il Suo amore può darci. Che il nuovo anno sia per tutti un tempo di perdono e ciascuno vi cooperi con spirito e cuore in tutti gli ambiti in cui gli sarà dato di poterlo fare. E che questa piccola apologia del perdono, tradotta in gesti di vita, sostenuti dalla forza che viene dall’alto, alimenti giorni nuovi di pace per tutti.
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Fonte: Il Sole 24 Ore, domenica 8 gennaio 2017, pp. 1 e 14

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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