Un Re che “non umilia, non schiavizza, non imprigiona”, ma anzi “rialza, perdona, guarisce”. Un Re che non è nato in uno di quei palazzi “segno di potere, di successo, di vita riuscita”. Un Re nel cui sguardo trovano posto “i feriti, gli affaticati, i maltrattati e gli abbandonati”. È il “Re neonato” che i tre Magi sono andati ad adorare, partendo da terre lontane, mossi da quella “santa nostalgia” che anima “tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore”.
Papa Francesco, nella Messa in San Pietro per la Solennità dell’Epifania, traccia il percorso fisico e spirituale dei tre Sapienti d’Oriente fino all’arrivo in quell’umile greppia di Betlemme che distava pochi chilometri dal palazzo di un altro Re, Erode. Un Re che, “seduto sulla sua ricchezza”, non riuscì a vedere oltre e rendersi conto di ciò che stava succedendo. “Mentre i Magi camminavano, Gerusalemme dormiva”, sottolinea il Papa. “Dormiva in combutta con un Erode che, invece di essere in ricerca, pure dormiva” sotto “l’anestesia di una coscienza cauterizzata”. Rimase quindi “sconcertato”, ebbe “paura”, “si chiude in sé stesso, nei suoi risultati, nelle sue conoscenze, nei suoi successi”.
È “lo sconcerto” provocato dalla “novità che rivoluziona la storia”. Lo sconcerto “di chi sta seduto sulla sua ricchezza senza riuscire a vedere oltre. Uno sconcerto che nasce nel cuore di chi vuole controllare tutto e tutti. È lo sconcerto di chi è immerso nella cultura del vincere a tutti i costi; in quella cultura dove c’è spazio solo per i ‘vincitori’ e a qualunque prezzo”. Sentimenti suscitati “dal timore davanti a ciò che ci interroga e mette a rischio le nostre sicurezze e verità, i nostri modi di attaccarci al mondo e alla vita”. In preda alla paura, Erode cercò sicurezza nel crimine: «Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde. Uccidi i bambini nel cuore, perché a te ti uccide la paura nel cuore».
A far da contrappeso a questo “sconcerto”, c’è invece la “nostalgia” dei Re Magi, che, “abituati, assuefatti e stanchi degli Erode del loro tempo”, sentivano il bisogno di un cambiamento. “Non volevano più le solite cose” e “lì, a Betlemme, c’era una promessa di novità, una promessa di gratuità. Lì stava accadendo qualcosa di nuovo”.
“Questi uomini hanno visto una stella che li ha messi in movimento”, rammenta il Papa. “Non era una stella che brillò in modo esclusivo per loro né avevano un Dna speciale per scoprirla”. Come affermava San Giovanni Crisostomo, essi “non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino”. Avevano, cioè, “il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità”.
In tal senso, i tre sapienti d’Oriente “esprimono il ritratto dell’uomo credente, dell’uomo che ha nostalgia di Dio, di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste”, evidenzia il Papa. Il credente “sa che il Vangelo non è un avvenimento del passato ma del presente”. E “la santa nostalgia di Dio ci permette di tenere gli occhi aperti davanti a tutti i tentativi di ridurre e di impoverire la vita. La santa nostalgia di Dio è la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura. Questa nostalgia è quella che mantiene viva la speranza della comunità credente che, di settimana in settimana, implora dicendo: «Vieni, Signore Gesù!»”.
È la stessa nostalgia che spinse l’anziano Simeone ad andare al tempio, “sapendo con certezza che la sua vita non sarebbe terminata senza poter tenere in braccio il Salvatore”. La nostalgia che spinse il figliol prodigo a tornare nelle braccia di suo padre, il pastore a lasciare le 99 pecore per cercare quella smarrita, la Maddalena ad andare di corsa al sepolcro e incontrare il Maestro risorto.
“La nostalgia di Dio ci tira fuori dai nostri recinti deterministici, quelli che ci inducono a pensare che nulla può cambiare”, rimarca il Santo Padre. “La nostalgia di Dio è l’atteggiamento che rompe i noiosi conformismi e spinge ad impegnarci per quel cambiamento a cui aneliamo e di cui abbiamo bisogno. La nostalgia di Dio ha le sue radici nel passato ma non si ferma lì: va in cerca del futuro”.
Come i Magi, “il credente ‘nostalgioso’, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio”, e lo fa anche “nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il suo Signore”. “Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare”.
Con questi sentimenti, i tre Magi si presentano in un Palazzo, pensando che è lì che si trovasse il “Era il luogo idoneo, perché è proprio di un Re nascere in un palazzo, e avere la sua corte e i suoi sudditi. È segno di potere, di successo, di vita riuscita”, commenta Francesco. “E ci si può attendere che il re sia venerato, temuto e adulato, sì; ma non necessariamente amato. Questi sono gli schemi mondani, i piccoli idoli a cui rendiamo culto: il culto del potere, dell’apparenza e della superiorità. Idoli che promettono solo tristezza, schiavitù, paura”.
In quel Palazzo inizia il cammino più lungo dei Magi. “Lì cominciò l’audacia più difficile e complicata. Scoprire che ciò che cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale – afferma Bergoglio -. Lì non vedevano la stella che li conduceva a scoprire un Dio che vuole essere amato, e ciò è possibile solamente sotto il segno della libertà e non della tirannia; scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona”.
“Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo”, prosegue il Santo Padre. “Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati e gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia”.
“Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!”, esclama il Papa. “Erode non può adorare perché non ha voluto né potuto cambiare il suo sguardo. Non ha voluto smettere di rendere culto a sé stesso credendo che tutto cominciava e finiva con lui. Non ha potuto adorare perché il suo scopo era che adorassero lui”. E nemmeno tanti sacerdoti hanno potuto adorare “perché sapevano molto, conoscevano le profezie, ma non erano disposti né a camminare né a cambiare”. Invece i Magi “poterono adorare perché ebbero il coraggio di camminare” e si prostrarono davanti al piccolo, al povero, all’indifeso, all’insolito e sconosciuto Bambino di Betlemme. E così “scoprirono la Gloria di Dio”.