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Il Papa ai terremotati: "Ricostruire i cuori prima delle case. Serve speranza, non ottimismo"

Udienza di Francesco alle popolazioni del Centro Italia colpite dal sisma

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La scena è differente rispetto a quella del 4 ottobre 2016, quando Papa Francesco, in silenzio e a capo chino, passeggiava nella zona rossa di Amatrice in mezzo alle macerie e ai palazzi sventrati da cui sporgevano materassi, mobili e altri oggetti di vita quotidiana.

In Aula Paolo VI, dove oggi incontra famiglie e gruppi di terremotati del centro Italia accompagnati da vescovi e parroci, Bergoglio entra sorridente perché è questa stessa gente a sorridergli per prima, accogliendolo con canti e applausi e chiedendo di benedire i loro bambini o bambinelli. Un incontro di gioia seppur nella tristezza di un Natale e un Capodanno trascorsi fuori dalla propria casa, senza i familiari morti dopo le terribili scosse. 

Il Papa, nel suo discorso tutto a braccio, parla di “ricostruire i cuori, ancor prima di ricostruire le case”, prendendo spunto dalla testimonianza di Raffaele venuto con la moglie Jole e i due figli a raccontare la dura esperienza della notte del 24 agosto. “La casa dei nostri sogni è stata distrutta ma abbiamo la vita salva. Dobbiamo ricostruire i cuori prima delle case”, ha detto l’uomo.

Una espressione che il Pontefice ripete più e più volte, perché – sottolinea – “queste cose mi hanno toccato il cuore. Per questo ho voluto prendere le vostre parole e farle mie, perché nella vostra situazione il peggio che si può fare è fare un sermone”.

Il peggio è anche limitarsi ad un mero ottimismo. No, sottolinea Francesco, “quello che serve a voi oggi è la speranza”. “L’ottimismo è un atteggiamento che serve per un momento ti porta avanti ma non ha sostanza. Ricostruire i cuori non è un ‘ma domani sarà meglio’, non c’è posto per l’ottimismo, sì per la speranza”.

Papa Bergoglio si riallaccia quindi alla seconda testimonianza, quella di don Luciano Avenati, da oltre 40 anni parroco della diocesi di Spoleto-Norcia, che si è detto orgoglioso delle “virtù” della sua gente in questo dramma: forza d’animo, coraggio, tenacia, pazienza, solidarietà. “Questo si chiama essere ‘bien nacido’, ’ben nati’”, commenta il Santo Padre e si dice anch’egli “orgoglioso” soprattutto “dei parroci che non hanno lasciato la terra”. “Questo è buono, avere pastori che quando vedono il lupo non fuggono”.

A loro, il Vescovo di Roma esprime tutta la propria gratitudine, come pure ai Vigili del Fuoco – “tanto bravi” – ai volontari, ai gendarmi, ai sindaci. Poi ripete il “ritornello” della giornata: “Ricostruire…”. “Ricostruire il tessuto sociale e umano, la comunità ecclesiale… Mi viene in mente quell’uomo che ho trovato, non ricordo in quale dei paesi visitati, che mi ha detto: ‘Per la terza volta comincerò a costruire la mia casa. Ricominciare, non lasciare stare, dire: ‘Ho perso tutto’, amareggiarsi…”.

“Il dolore è grande”, aggiunge il Pontefice, “le ferite del cuore ci sono” e la vita non sarà più la stessa. “È vero siamo usciti salvi ma abbiamo perso tante cose”, dice il Papa citando ancora le parole di Raffaele. “Salvi ma sconfitti. È una cosa nuova questa strada di vita. Le ferite guariranno, ma le cicatrici rimarranno per tutta la vita e saranno il ricordo di questo momento di dolore. Sarà una vita con una cicatrice in più, non la stessa di prima”. 

Accanto al dolore, però, resteranno le tante esperienze positive. Come quelle di riconciliazione sorte tra le macerie raccontate da don Luciano: “Abbiamo perso, sì, abbiamo perso tante cose ma siamo diventati una grande famiglia”. “Si lasciano da parte antiche storie, ci ritroviamo insieme in un’altra situazione”, annota il Santo Padre, “ritrovarsi… col bacio, con l’abbraccio, con l’aiuto mutuo. Anche con il pianto: piangere da soli fa bene, è una espressione davanti a noi stessi e a Dio, ma piangere insieme è meglio, ci ritroviamo piangendo insieme”.

La “vicinanza” è dunque fondamentale: “Ci fa più umani, più persone di bene, più coraggiosi. Una cosa è andare solo sulla strada della vita, una cosa è andare per mano di un altro. E questa vicinanza l’avete sperimentata”, dice Francesco.

Essa è simboleggiata dalle “mani”. Le “mani” di Raffaele che ha preso i figli per tirarli fuori dalla casa che sta per crollare, per poi lasciarli nella “mani” di chissà chi per aiutare familiari e vicini a liberarsi dai calcinacci. Le mani dei Vigili, dei volontari, di chi ha scavato, di chi ha detto: “Dò il mio meglio”, di chi “ha fatto in modo di aiutare la gente ad uscire da questo incubo”. Le mani di infermieri e medici che hanno guarito. Le mani di Dio che “come un artigiano ha fatto il mondo”.

“Per ricostruire ci vogliono il cuore e le mani, le mani di tutti”, sottolinea Papa Francesco. In altre parole, servono gesti concreti e non parole vacue. “Non ferire di più quello che è ferito e non ferire con parole vuote, tante volte, o con notizie che non hanno rispetto, la tenerezza davanti al dolore”, raccomanda infatti Bergoglio. Meglio “il silenzio, le carezze, la tenerezza del cuore”: questo “ci aiuta a non ferire e a fare miracoli anche nei momenti di dolore”.

Il Papa conclude l’udienza – alla quale era presente la grande croce della Gmg portata a spalla da alcuni giovani – con una nota personale. “Quella mattina, appena sveglio, ho trovato un biglietto dove si parlava delle due scosse. E ho sentito due cose: la prima, è che ‘ci devo andare’; poi ho sentito dolore, molto dolore, e con questo dolore sono andato a celebrare la Messa quel giorno”.

“Grazie per essere venuti. Oggi e nelle udienze degli ultimi mesi”, aggiunge, “grazie per tutto quello che avete fatto per ricostruire i cuori, le case, il tessuto sociale, anche per ricostruire col vostro esempio l’egoismo nel nostro cuore che non abbiamo sofferto questo”. 

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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