Una violenta rivolta è scoppiata ieri notte nel Centro di prima accoglienza di Cona, in provincia di Venezia. Alcuni richiedenti asilo hanno scatenato la loro rabbia dando mobili e oggetti alle fiamme e bloccando per ore 25 operatori all’interno della struttura, in segno di protesta per la morte di una ragazza di 25 anni della Costa d’Avorio. Secondo gli ospiti del Centro, alla giovane – morta durante il trasporto in ospedale per cause naturali – non erano stati forniti soccorsi adeguati.

Sul posto è intervenuta la polizia. Al termine di una mediazione e di costanti contatti telefonici con l’interno del centro, intorno all’una di notte, gli operatori, che non sono mai stati in pericolo di vita, sono stati fatti uscire. La rivolta si è conclusa quindi pacificamente e, al momento, non c’è alcuna denuncia o fermo.

Sull’accaduto è intervenuto monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della CEI, il quale ha dichiarato al Sir che la rivolta dimostra come le realtà che accolgono grandi numeri di migranti rischiano di diventare “luoghi ingestibili e quindi esplosivi”. Essi sono pertanto un campanello di allarme per un cambiamento di rotta verso “una accoglienza diffusa su tutto il territorio, con numeri ridotti, accompagnata e affidata a realtà qualificate e con il controllo delle comunità locali, cioè i comuni”.

“È evidente – ha detto Perego – l’esasperazione da parte degli ospiti del centro che, come si sa, vivono in una condizione di abbandono molto grave che ha portato a un gesto sicuramente da condannare – la rivolta e la distruzione -, ma che certamente ha dei fondamenti non di poco conto a cui si è aggiunto, come elemento scatenante, il fatto che solo dopo 5 ore è arrivata l’ambulanza per una donna, che si trovava in una situazione di pericolo di vita . Si tratta quindi di una inadempienza grave”.

Secondo il direttore di Migrantes, “occorre ripetere che i Cas, i centri di accoglienza straordinaria, non vengano affidati a realtà senza esperienza e che ci sia un controllo sulla gestione. Ma soprattutto diciamo che questo ultimo fatto indica in maniera molto chiara l’urgenza che si passi dai grandi centri che possono diventare ingestibili ed esplosivi, come è avvenuto in queste ore nel centro veneziano, ad una accoglienza diffusa, con pochi numeri”.

È quanto la Fondazione chiede da tempo e cioè un impegno a “essere responsabili nella accoglienza”, che significa mettere in atto “una accoglienza diffusa che abbia al centro la tutela della dignità della persona. “Una esperienza – aggiunge mons. Perego – che premia anche dal punto di vista della sicurezza del territorio e di un accompagnamento che non crei disagi gravi che sempre sono avvenuti nei grandi centri”.