"Vieni e vedrai. I giovani, la fede e il discernimento vocazionale"

La lettera pastorale del vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, monsignor Massimo Camisasca

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Il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, monsignor Massimo Camisasca, nella sua lettera pastorale “Vieni e vedrai. I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, del 4 novembre 2016, propone delle riflessioni  e considerazioni che affrontano un tema centrale per la vita ecclesiale tanto da essere stato scelto da Papa come tema del prossimo Sinodo dei vescovi. La particolarità di tale testo è che Camisasca da anni guida giovani alla scoperta che la vita è vocazione e quindi scrive per esperienza e riflessione su quanti ha accompagnato per decenni. Di seguito alcune espressioni della lettera pastorale offerte come invito a leggerla integralmente.
Le diverse vocazioni nella Chiesa hanno un unico scopo: delineare il nostro volto personale e, nello stesso tempo, indicare la modalità concreta con cui ciascuno di noi partecipa alla costruzione dell’unico Corpo di Cristo.
Ma la voce di Dio, non avendo di per sé bisogno di alcuna mediazione umana per arrivare a noi, ha scelto come via ordinaria di raggiungerci attraverso altri uomini. La sua proposta arriva al ragazzo, all’adolescente, al giovane, attraverso la sua famiglia, attraverso la vita e la testimonianza di altri sacerdoti, attraverso altri giovani, amici, compagni di strada. Una vocazione matura in tanti incontri e rivela spesso la vivacità o l’aridità di una comunità cristiana.
La riduzione delle vocazioni al presbiterato chiama dunque in causa la vita cristiana delle famiglie, delle comunità giovanili parrocchiali, delle associazioni e dei movimenti e il metodo della loro trasmissione della fede.
Sono sicuro che una vocazione nasce quando la persona comincia a percepire un significato unitario per tutta la sua vita. Qual è, dunque, il più grande ostacolo, una delle maggiori difficoltà per lo sviluppo di un’autentica vocazione cristiana? È il cristianesimo presentato in modo parziale e individualistico.
Una visione settoriale del cristianesimo, ridotto a finalità di preghiera, osservanza di comandamenti, finalità sociali o altro, impedisce alla persona di scoprire e di gustare il cambiamento nelle vita operato dall’incontro con Gesù e rende impossibile al fondo una vera donazione di sé. È dall’interno della vita che emerge la voce di Dio che chiama, Per questo è necessario aiutare i ragazzi a vivere con profondità le loro esperienze, a verificare dentro le occasioni della loro esistenza la convenienza umana della sequela di Gesù.
Il rapporto personale non è sufficiente e non è neppure il punto di partenza. Il ragazzo, il giovane, deve scoprire una comunità. Non un luogo che lo allontani dalla vita, dove trovi soltanto discorsi o attività, ma una comunione di persone nata attorno ad adulti innamorati di Gesù, dove i ragazzi possano scoprire e verificare personalmente la visione della vita portata dalla fede cristiana. Dove possano imparare la carità, strada fondamentale della conoscenza di sé stessi e di Dio, dove possano scoprire la preghiera e il silenzio, la gioia della missione e della testimonianza a Cristo, ma anche la bellezza della musica, dell’arte, della cultura, della storia… strade che ci portano a Cristo e che da lui ci portano all’uomo.
L’avventura che abbiamo descritto consiste innanzitutto nell’aiutare i ragazzi a scoprire il senso religioso nella propria vita. In ogni incontro, in ogni persona, in ogni cosa possiamo vivere un’apertura verso l’Infinito, verso quel volto e quella voce da cui vengono il mondo e la storia. In questo modo, accenderemo nei nostri interlocutori quello stupore e quello sguardo che sanno riconoscere dietro le cose la Presenza che chiama. La Presenza che si fa strada attraverso i desideri che lei stessa ha posto nel nostro cuore, attraverso tanti incontri, attraverso i bisogni della gente e della Chiesa. Fondamentale, ancora una volta, è la presenza di adulti che aiutino i ragazzi a scoprire l’unità della loro vita.
È necessaria un’autorità esterna a sé con cui guardare alla propria esistenza, affrancandosi dalla volubilità dei propri stati d’animo. Anche l’oggettività della liturgia e dei sacramenti aiuterà i giovani in un tale cammino. La vita ordinaria acquista così una straordinarietà che non deriva dalla grandezza delle cose che accadono o si fanno, ma da Colui che abita le nostre ore.

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ZENIT Staff

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