La politica: “Manca la grande politica, è degradata in piccola politica”. Le critiche dei gesuiti: “Anche il peggiore dei malintenzionati può fare una critica che mi aiuta”. La pace: “Oggi il mondo in guerra, non siamo ingenui”. La teologia: “Va fatta in ginocchio”. La Chiesa: “Povera per i poveri, perché la povertà genera vita di santità”. La Amoris Laetitia: “La morale usata è tomista, non quella della scolastica decadente”. Le vocazioni: “Non promuovere vocazioni locali è una legatura delle tube ecclesiali”.
Sono tanti e vari i temi che Papa Bergoglio affronta nel colloquio con i gesuiti incontrati lo scorso 24 ottobre, nel corso dei lavori della 36° Congregazione generale che ha eletto il nuovo ‘Papa nero’. Un dialogo “in famiglia”, oggi riportato integralmente su La Civiltà Cattolica e sul suo sito internet, nel quale il Pontefice invita i confratelli ad “avere l’audacia profetica di non avere paura”.
Bergoglio risponde all’impronta ai diversi quesiti, come quello sulla funzione della politica oggi, in un momento storico in cui – afferma – “mancano quei grandi politici che erano capaci di mettersi sul serio in gioco per i loro ideali e non temevano né il dialogo né la lotta, ma andavano avanti con intelligenza e con il carisma proprio della politica. In generale, l’opinione che sento è che i politici sono caduti in basso”, dice il Pontefice.
E denuncia un altro, triste, fenomeno: “Quando si esauriscono i periodi costituzionali di mandato, subito si cerca di riformare la Costituzione per restare ancora. È un frutto della corruzione”. “Credo che la politica in generale, la grande politica, si sia sempre più degradata nella piccola politica – osserva – non soltanto nella politica partitica di ogni Paese, ma nelle politiche settoriali dentro uno stesso continente”.
A tal riguardo, Francesco cita una dichiarazione diffusa una ventina di anni fa dalla Chiesa francese dal titolo Réhabiliter la politique. “Quella dichiarazione ha fatto epoca”, commenta, “ha dato forza alla politica, alla politica come lavoro artigianale per costruire l’unità dei popoli e l’unità di un popolo in tutte le diversità che ci sono all’interno”. “La politica è una delle forme più alte della carità”, sottolinea Bergoglio, “e su questo credo che le polarizzazioni non aiutino: invece ciò che aiuta, nella politica, è il dialogo”.
Esso aiuta nella politica, come pure nella Chiesa. In proposito, il Papa si sofferma sulle critiche che gli vengono rivolte dai suoi stessi confratelli gesuiti: “Mi è un po’ difficile rispondere, perché bisogna vedere da dove vengono le critiche. È difficile perché, nella mia situazione e nell’ambiente in cui mi muovo, le critiche alla Compagnia hanno in prevalenza un sapore di tipo restaurazionista. Vale a dire, sono critiche che sognano una restaurazione, quella di una Compagnia che magari una volta attraeva, perché quelli erano i suoi tempi, ma che non è desiderabile ai nostri giorni, perché il tempo di Dio per la Compagnia oggi non è più quello. Dietro alle critiche c’è questo tipo di ragionamento”, risponde il Pontefice.
Tuttavia, soggiunge, “a volte perfino il peggiore dei malintenzionati possa fare una critica che mi aiuta. Bisogna ascoltarle tutte e discernerle. E non bisogna chiudere la porta a nessuna critica, perché corriamo il rischio di abituarci a chiudere porte. E questo non va bene. Dopo un discernimento, si può dire: questa critica non ha alcun fondamento, e scartarla. Ma dobbiamo sottoporre ogni critica che sentiamo a un discernimento, direi, quotidiano, domestico, ma sempre con buona volontà, con apertura di cuore e davanti al Signore”.
A proposito di critiche, Bergoglio sembra quasi voler replicare durante il colloquio ai ‘dubia’ avanzati recentemente da alcuni cardinali circa la sua esortazione apostolica Amoris laetitia. “La morale usata in Amoris laetitia è tomista, ma quella del grande san Tommaso, non quella dell’autore dei puncta inflata”, spiega il Papa (il riferimento è alle teorie degli di inizio ‘600 in cui erano coinvolti anche gesuiti quali Rodrigo de Arriaga, ndr). “È evidente – aggiunge – che in campo morale bisogna procedere con rigore scientifico, e con amore per la Chiesa e discernimento. Ci sono certi punti della morale su cui soltanto nella preghiera si può avere la luce sufficiente per riuscire a procedere riflettendo teologicamente. E quanto a questo, mi permetto di ripeterlo, si deve fare ‘teologia in ginocchio’. Non si può fare teologia senza preghiera. È un punto chiave e bisogna fare così”.
“Il metodo scolastico – dice Francesco – ha la sua validità. È il metodo morale che ha usato il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ed è il metodo che si è utilizzato nell’ultima esortazione apostolica, Amoris laetitia, dopo il discernimento fatto da tutta la Chiesa attraverso i due Sinodi”.
Nel dialogo coi delegati della Congregazione generale tornano poi i temi-cardine del magistero bergogliano: l’ecologia, alla luce della Laudato Si’, enciclica “sociale e non verde”, e il desiderio di una Chiesa “povera per i poveri” che trae origine dall’insegnamento di Sant’Ignazio che affermava che “la povertà è madre e muro. La povertà genera, è madre, genera vita spirituale, vita di santità, vita apostolica. Ed è muro, difende”. “Quanti disastri ecclesiali sono cominciati per mancanza di povertà”, esclama il Papa.
Che volge lo sguardo anche ai drammi nel mondo, in questa “guerra mondiale a pezzi”. “Adesso i pezzetti vanno riunendosi sempre di più. Siamo in guerra”, avverte il Vescovo di Roma, “non bisogna essere ingenui. Il mondo è in guerra, e ne pagano lo scotto alcuni Paesi. Pensiamo al Medio Oriente, all’Africa: là c’è una situazione di guerra continua. Guerre che derivano da tutta una storia di colonizzazione e di sfruttamento”. Allora è “urgente” lavorare per la pace: “Con gli atteggiamenti cristiani che il Signore ci indica nel Vangelo, si può fare molto e si fa molto, e si va avanti. A volte lo si paga a carissimo prezzo, in prima persona. Ebbene, si va avanti comunque. Il martirio fa parte della nostra vocazione”, sottolinea Papa Francesco.
Parla poi in difesa dei giovani, oppressi dalla disoccupazione provocata dalla “liquidità dell’economia e del lavoro”, e in difesa delle culture indigene, vittime nel passato di un certo “centralismo romano” che ha bloccato pionieri dell’evangelizzazione. Infine, ricorda il momento della sua elezione sul Soglio di Pietro, il 13 marzo 2013. “A farmi entrare in questo ballo non è stata una convergenza di voti, ma c’entra Lui (lo Spirito Santo). Questo mi consola molto”, confida Francesco. “Io – prosegue – sono piuttosto pessimista, sempre! Non dico di essere depressivo, perché non è vero. Però è vero che tendo sempre a guardare la parte che non ha funzionato. E quindi per me la consolazione è il migliore anti-depressivo che io abbia trovato!”.
Questa consolazione, il Papa dice di trovarla ponendosi davanti al Signore e lasciando “che Lui manifesti ciò che ha fatto durante la giornata”. “Quando, alla fine della giornata, mi rendo conto che vengo guidato, quando mi rendo conto che, malgrado la mia resistenza, c’e’ stata una guida, come un’onda che mi ha spinto avanti, allora questo mi consola”, racconta, “è come sentire: ‘Lui è qui’. E quando noto le volte in cui hanno vinto le mie resistenze, ci resto male, e questo mi porta a chiedere perdono. Ed è un fatto abbastanza frequente… E mi fa bene”.