Card. Luis Antonio Tagle

Card. Luis Antonio Tagle - Foto © ZENIT FC

Card. Tagle: "Dove nascono bambini, lì la Chiesa ha futuro"

L’Arcivescovo di Manila ha presentato il suo libro alla vigilia della chiusura del Giubileo, la cui eredità consiste nel vedere “le porte che continuano a restare aperte”, ossia “le ferite del prossimo”

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“È stato difficile per me accettare la proposta di questo libro, perché sono una persona riservata, che non ama esporsi”. Così il card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas International, rispondendo ieri presso la sede de La Civiltà Cattolica alle domande di Paolo Ruffini, direttore di Tv2000, a proposito del suo libro-intervista Ho imparato dagli ultimi – La mia vita, le mie speranze, edito da Emi e curato da Gerolamo e Lorenzo Fazzini.
L’affermazione del porporato filippino non è esercizio di falsa modestia, del resto il suo stile autentico e semplice trapela da uno sguardo costantemente gioioso e da un amabile eloquio. Nel corso della presentazione, introdotta da padre Antonio Spadaro sj, direttore de La Civiltà Cattolica, non ha lesinato momenti di leggerezza e battute divertenti.
Lui stesso ha lasciato intendere a più ripreso che questo suo atteggiamento affonda le radici nella sua storia personale, di un uomo del popolo, cresciuto in una famiglia fervente cattolica e abituato a confrontarsi con le persone lasciando da parte ogni formalismo di sorta.
Ogni giorno, nella caotica Manila, il card. Tagle si immerge in una realtà umana variegata e ne trae insegnamento spirituale. Infatti – spiega – “quando prendiamo sul serio la Parola del Signore e il suo esempio, noi come Chiesa diventiamo più umani, e l’incontro con Gesù diventa anche un incontro con gli esseri umani”.
La povertà materiale è diffusa nelle Filippine, dove tuttavia si celano delle ricchezze che lasciano intravedere una luce di speranza nel futuro. L’Arcivescovo di Manila sottolinea che la risorsa della Chiesa in Asia risiede proprio nella “sofferenza dei tanti martiri asiatici, della gente semplice che conosce in maniera misteriosa la fortezza che solo il Signore sa dare”. E aggiunge: “Purtroppo, in una Chiesa abituata a grandi numeri, c’è fede ma c’è anche la tentazione di dipendere dai privilegi. Mentre in una Chiesa di minoranza, c’è solo il Signore”.
Ma Tagle individua anche un’altra buona ragione per sperare nell’avvenire della Chiesa asiatica: “La presenza di tanti figli, la popolazione mediamente giovane”. Egli fa l’esempio delle Filippine, nelle cui Chiese “ci sono tanti e tanti ragazzi”. E “dove ci sono bambini e ragazzi, c’è futuro!” esclama.
Speranza per il futuro sì, ma anche idoli che costantemente minacciano l’uomo moderno. Il porporato li individua in “ricchezza, onore, ambizione, sesso, lusso”, ma anche nel “desiderio di preservare i nostri interessi personali e promuovere solo il benessere della mia famiglia, del mio gruppo del mio Paese”. Anche l’individualismo – sottolinea – “è una forma di idolatria”.
Nessuno di noi – ammette – è immune al richiamo degli idoli. Perciò è importante fare un esame di coscienza quotidiano per “scoprire quali sono stati i miei idoli, che cosa mi hanno comandato, a che cosa ho obbedito”.
Ogni giorno, inoltre, è per lui foriero di “una sorpresa”, perché – riflette umilmente il cardinale – quasi “non credo che il Signore abbia chiamato una persona come me a fare il prete, il vescovo e adesso il cardinale”. Però “nel mistero di questa vocazione, sono anche sicuro che non le mie mani lavorano, bensì quelle del Signore”.
Una figura di un santo che costantemente “indica la strada” al card. Tagle nel suo ministero è quella di San Giuseppe. “È un santo silenzioso, un uomo ordinario, lavoratore, fidanzato, il cui progetto di vita viene interrotto da questo intervento dall’alto – dice il porporato -. È un uomo giusto, ma anche di fede profonda. Nessuna sua parola è preservata nella Bibbia, però lui ha preservato in sé la Parola del Signore”.
Altra figura biblica a cui è profondamente legato è il centurione, colui che “piano piano, guardando Gesù, lo ha portato a concludere: ‘questo uomo è innocente, è veramente il Figlio di Dio’”. Il card. Tagle rileva che “tutti noi abbiano sperimentato la fatica della contemplazione”, però – aggiunge – la pazienza del centurione allieta questa fatica. “Una conversione di cui io ho molto bisogno”, spiega.
L’Arcivescovo di Manila parla poi delle distrazioni di un mondo sempre più digitalizzato. Egli ritiene che la Chiesa debba saper usare i social media per comunicare ed evangelizzare, ricordando però che quando “diventa solo strategia non è più comunicazione ma tentazione di manipolare anziché desiderio di creare comunione”.
Altro tema di stringente attualità è l’ambiente, cui Papa Francesco ha dedicato l’enciclica Laudato Si’. La sua esperienza personale lo porta a preoccuparsi dei cambiamenti climatici. “Quando ero giovane – racconta, a proposito delle Filippine – il grado più potente dei tifoni era il terzo, ora è il quinto, con venti a 250 km orari”.
Il card. Tagle reputa proficua la collaborazione con gruppi ecologisti, dei quali apprezza l’impegno, tuttavia rileva che “manca qualcosa, la spiritualità”. Egli ricorda ai cristiani – sulla scorta dell’insegnamento biblico – che “creazione è un concetto diverso da natura, poiché implica un rapporto tra un Creatore e le sue creature”. Di qui l’importanza di impegnarsi sui temi ecologici non da militanti politici bensì da “custodi del creato”.
Una riflessione l’Arcivescovo di Manila la dedica anche al rapporto tra verità e libertà. “Vince sempre l’amore”, spiega. E, riferendosi al cammino di formazione dei sacerdoti, aggiunge: “Quando una persona si sente accettata con amore e rispetto diventa capace di accettare la verità su se stesso e magari la libertà di riconoscere di non avere la vocazione alla vita religiosa”. L’appello è dunque a privilegiare la “tenerezza” al “timore” per affermare l’amore cristiano.
A questo compito contribuisce l’eredità del Giubileo della Misericordia: “Vedere le porte che continuano ad essere aperte”, ossia “le ferite del prossimo, dei poveri, attraverso le quali vediamo le ferite del cuore di Gesù risorto”.

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Federico Cenci

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