Foto: Tomas Castelazo - Commons Wikimedia

Il muro non va bene, ma non è un'invenzione di Trump

I problemi seri alla base dei fenomeni di emigrazione non possono essere risolti dall’erezione di un muro già esistente

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Il muro che separa gli Stati Uniti dal Messico non è una invenzione di Trump; c’è già ed è una barriera di sicurezza costruita a partire dal 1994 dal presidente Bill Clinton, secondo l’ottica di un triplice progetto antimmigrazione: il progetto Gatekeeper in California, il progetto Hold-the-Line in Texas ed il progetto Safeguard in Arizona.
La barriera, quella finora in piedi, è fatta di lamiera metallica sagomata, alta dai due ai quattro metri, e si snoda per chilometri lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego. A ricordarcelo c’è anche una canzone di Manu Chao: “Benvenuti a Tijuana, qui con il coyote si salta la dogana“.
Essa è situata nelle sezioni urbane del confine, le aree che in passato hanno visto il maggior numero di attraversamenti clandestini. Altri tratti di barriera si trovano in Arizona, Nuovo Messico e Texas.
Tuttavia, il confine tra i due paese, lungo è  lungo 3.140 km ed  attraversa territori di diversa conformazione, aree urbane, appunto, ma anche montane e desertiche, ed è continuamente violato, tanto da diventare un luogo-simbolo di uno dei fenomeni più rilevanti del nostro  tempo.
Si calcola che ogni anno varchino clandestinamente la frontiera circa 500 mila migranti l’anno, proveniente da tutta l’America latina.
L’emigrazione è naturalmente mossa dalle marcate differenze nelle condizioni di vita tra il sud ed il nord e dalla prospettiva per l’emigrante di  guadagnare  negli USA fino a 10 volte di più. Le statistiche ufficiali, poi, contano che dal 1998 al 2004, siano morte nel tentativo di superare il confine un numero impressionante di persone.
Sembra oltre 1.954, molte delle quali nell’attraversamento del deserto di Sonora, o valicando il monte Baboquivari, in Arizona, segno che la costruzione del muro nelle aree urbane ha avuto, in effetti, il risultato di spingere le migrazioni verso i territori desertici e montuosi.  Anche il numero degli arresti effettuati è impressionante, cosi come le spese che vengono sostenute per presidiarlo.
Tra il 1° ottobre 2003 ed il 30 aprile 2004, oltre 660.000 persone sono state arrestate dalla polizia di confine statunitense mentre cercavano di attraversare illegalmente il confine.
Se confrontiamo i dati citati con quelli di attraversamento del muro di Berlino, altro confine storico, abbiamo almeno 138 vittime, secondo il Centro di Ricerca sulla Storia Contemporanea (245, per l’associazione del museo Checkpoint Charlie).
Un confronto macabro, ma idoneo a comprendere la portata del problema che si palesa ai governi dei due Paesi.
La gravità delle questioni ha convinto il parlamentare californiano Duncan Hunter  a proporre al Senato la costruzione di un muro di 1.123 km.
Ottenuta in breve tempo l’approvazione del Congresso nell’ottobre 2006, il presidente George W. Bush ha firmato la risoluzione per l’ampliamento della barriera.
Tuttavia, le istanze dei proprietari terrieri e della piccola manifattura che, con l’immigrazione messicana profittano di manodopera a bassissimo costo, unita al problema degli alti costi della barriera ed alla crisi economica in atto, ha spinto l’amministrazione Obama a sospendere i finanziamenti per la costruzione del muro.
Il problema però è ancora in piedi ed i clandestini sono bersaglio di tutti: dai polleros (i trafficanti di morte) ai predoni senza scrupoli. Da un po’ di tempo si sono organizzate anche ronde armate che pattugliano il confine alla ricerca di clandestini. Hanno anche un sito dove illustrano la loro attività.
Spesso i morti non vengono nemmeno identificati: prima di cremarli, la polizia li classifica con un numero e la sigla “John Doe”.
Insomma, le cose sono sempre un po’ più complicate di come appaiono, rimane il dramma che aggiunge dolore al dolore, per chi finisce in schiavitù o ucciso ed i suoi organi venduti al mercato.
 
 
 
 
 

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Enea Franza

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