Mgr Jozef De Kesel © Wikimedia Commons (Paul Van Welden)

Belgio. Card. Jozef de Kesel: “Questioni etiche? Riguardano anche poveri e rifugiati”

L’arcivescovo di Malines-Bruxelles, che il 19 novembre riceverà la berretta rossa in Vaticano, auspica una Chiesa solidale ed aperta al mondo

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“Una Chiesa viva, aperta al mondo” e che sia “solidale”. È questo il desiderio di monsignor Josef De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles, che sarà creato cardinale da papa Francesco nel concistoro del prossimo 19 novembre. Intervistato da ZENIT, il cardinale designato ritiene che i cristiani debbano “accettare con tutto il cuore la cultura nella quale dobbiamo compiere la nostra missione: una cultura pluralista, una società secolarizzata. Questa cultura rappresenta anche una chance”, perché permette di “scoprire la libertà della fede”, aggiunge monsignor De Kesel, rigettando i discorsi anti-moderni.
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Eminenza, si aspettava questa nomina?
Non me l’aspettavo affatto. Ero a Monaco per la riunione dei presidenti delle Conferenze Episcopali Europee. È stato alla fine di quell’appuntamento, la domenica dopo la messa. Ero già sul pullman diretto all’aeroporto, quando, d’un tratto, alcuni vescovi mi sono venuti incontro per felicitarsi. Io stesso non sapevo che il Papa avesse intenzione di annunciare la lista dei nuovi cardinali. Non ci potevo credere, non l’avrei mai pensato…
Come vede questa sua nuova missione?
La “creazione” cardinalizia avrà luogo il 19 novembre. Vedrò cosa ci si aspetta da me a Roma. Forse potrei diventare consultore in qualche congregazione vaticana ma per il momento non so ancora nulla. Questa nomina è un segno di fiducia da parte della Santa Sede, non solo nei miei confronti ma anche verso la nostra Chiesa belga, che vive determinate difficoltà nel confronto con la cultura secolarizzata.
Quali sono i suoi desideri come arcivescovo della sua diocesi?
La mia preoccupazione è quella di rivitalizzare un po’ la Chiesa. Penso che dobbiamo accettare con tutto il cuore la cultura in cui dobbiamo compiere le nostra missione: una cultura pluralista, una società secolarizzata. È una mia convinzione profonda. Questa cultura rappresenta anche una chance, una grazia per la Chiesa. In effetti, i cristiani sono già stati messi alla porta dalla società stessa. Non è questo il caso ma la nuova situazione permette di riscoprire la libertà della fede. Come pastore, vorrei incoraggiare le nostre comunità cristiane, non voglio fare un discorso antimoderno. È la nostra società ed è nella nostra società che noi siamo chiamati a compiere la nostra missione. Vogliamo una Chiesa viva, aperta al mondo, una Chiesa che sia solidale, a costo di ritrovarsi più piccola che in passato. Le gioie, le pene e le angosce degli uomini d’oggi sono anche le gioie, le pene e le angosce dei discepoli di Cristo. Io auspico una Chiesa che accetti la cultura in cui vive e che si apra al mondo, restando fedele al tesoro che ha ricevuto dal Signore nel Vangelo.
Quali sono le sue priorità nella pastorale delle vocazioni?
La questione delle vocazioni è anche una questione di rivitalizzazione delle nostre comunità. È quando ci sono dei cristiani che possono sorgere delle vocazioni. La pastorale giovanile è anche, implicitamente, un polo di vocazioni, è evidente, ma la questione delle vocazioni è la medesima delle nostre comunità in generale.
Bruxelles è anche un crocevia per l’Europa: ritiene che questa città conferisca un connotato speciale alla sua missione?
Certamente. Forse è stato questo ad aver inciso nella scelta del Santo Padre di nominarmi cardinale. Qui a Bruxelles c’è la sede della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (Comece). Penso che, come cardinale, avrò una certa missione da svolgere in quella sede.
Qual è la sua visione sull’Europa?
L’Europa è in crisi e questa crisi è anche “spirituale”. L’Europa non è soltanto un mercato comune. Negli anni ’50, ciò che ispirò i padri fondatori fu qualcosa di molto più profondo, di molto più vasto: era in gioco la questione della pace, della giustizia. Oggi è lo stesso progetto europeo ad essere in discussione, in particolare con l’ascesa dei nazionalismi. Credo però che questo progetto debba continuare, credo sia molto importante. Abbiamo una ricca tradizione, l’Europa è qualcosa da donare al mondo intero.
In che modo la Chiesa belga interverrà sulle questioni etiche?
Viviamo in una società democratica, vi sono delle leggi e a stabilirle non sono né il Vangelo, né la Sharia, né la Torah. La Chiesa, però, è presente e partecipa al dibattito nella società. Essa appartiene alla società civile e, per questo, deve far sentire la sua voce. In Belgio non è facile per noi in merito alle questioni etiche. Da una parte c’è la società democratica che decide e fa le leggi, dall’altra c’è la coscienza del cristiano. Attraverso i cristiani impegnati in politica, possiamo far sentire la nostra voce, essere presenti e partecipare, per rendere la società più umana, più fraterna. A mio avviso, l’etica ingloba anche la questione dei poveri, la questione dei rifugiati.
Ha già incontrato il Papa?
Sono già stato a Roma lo scorso 29 giugno per ricevere il pallio, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo. Ho potuto parlare con lui, il Papa conosceva il mio nome ed è stato molto amichevole.

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Anne Kurian-Montabone

Laurea in Teologia (2008) alla Facoltà di teologia presso l'Ecole cathedrale di Parigi. Ha lavorato 8 anni per il giornale settimanale francese France Catholique" e participato per 6 mese al giornale "Vocation" del servizio vocazionale delle chiesa di Parigi. Co-autore di un libro sulla preghiera al Sacro Cuore. Dall'ottobre 2011 è Collaboratrice della redazione francese di Zenit."

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