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Le politiche pro-vita funzionano: drastico calo d'aborti in Ungheria

Non solo ripresa economica e diminuzione dei disoccupati, le misure a sostegno delle famiglie hanno prodotto un calo del 23% di interruzioni di gravidanza tra il 2010 e il 2015

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Stavolta si può dire. L’ascesa del Governo di Viktor Orbán in Ungheria ha subito una battuta d’arresto. Si tratta della prima vera delusione dopo il parziale successo del referendum del 2 ottobre sulla ripartizione dei migranti, che pur non raggiungendo il quorum aveva comunque sancito una sorta di plebiscito (98%, ossia 3 milioni e 300 mila voti su 9 milioni e 800 mila abitanti) a favore del Governo.
Ma nelle scorse ore il Parlamento di Budapest ha fatto uno sgambetto all’Esecutivo. Chiamati a votare sulla riforma costituzionale voluta da Orbán per impedire l’applicazione delle quote previste da Bruxelles per la spartizione di migranti, dei 199 parlamentari magiari, 131 hanno votato a favore della modifica a fronte dei 133 necessari.
La crisi sul tema dei migranti non offusca tuttavia i risultati positivi ottenuti dal Governo Orbán in questi anni. Giova ricordare a tal proposito che nel 2014 il Pil ungherese è cresciuto del 3,6%, il valore più alto di tutti i Paesi Ue. Secondo l’Ocse la crescita proseguirà, su valori più contenuti, anche nel 2016: intorno al 2,2%. Diminuita anche la disoccupazione, che nel 2011 si attestava all’11% e lo scorso anno è scesa al 7,3%.
A seguito della riforma costituzionale varata nel 2011, che protegge la vita dell’embrione e del feto fin dal concepimento e promuove la famiglia come unione tra un uomo e una donna, segnali di lenta ma incoraggiante risalita si registrano anche sul fronte demografico.
Nel 2014 sono nati in Ungheria più bambini che nei cinque anni precedenti. Il tasso di fecondità è ancora basso, all’1,41%, ma ha registrato una notevole crescita rispetto agli 1,25 figli per donna del 2010.
Del resto alla riforma costituzionale è seguita una lungimirante politica di aiuti economici e sociali alle famiglie e alle donne in difficoltà. Stanziati 32mila euro e un prestito dello stesso importo per le famiglie con tre figli, erogato quando l’ultimo nato ha compiuto tre mesi. Il periodo di maternità della donna, a seguito del parto, può arrivare fino a tre anni. E ancora: lo Stato copre anche il pagamento dell’affitto di casa per un anno e mezzo dalla nascita di un figlio. Inoltre, nei piccoli centri abitati, se almeno tre coppie ne fanno richiesta, lo Stato e le istituzioni locali si impegnano a costruire un asilo nido entro un anno.
Questo pacchetto di misure, oltre a far lentamente registrare segnali di ripresa demografica, sta producendo un drastico calo delle interruzioni volontarie di gravidanza. Tra il 2010 e il 2015 il tasso di aborti è sceso del 23%, e nel primo trimestre del 2016 – come ha riferito il segretario di Stato e portavoce governativo, Zoltan Kovacs, al quotidiano Magyar Hirlap – vi è stato un ulteriore calo del 4%.
Effetto – il calo degli aborti – non di una modifica in senso restrittivo dell’attuale legge sull’aborto, bensì di una campagna mediatica del Governo del 2011 a favore della natalità, corredata da manifesti con l’immagine di un bambino nel grembo materno e la frase “capisco che non sei ancora pronta per me… ma dammi in adozione, lasciami vivere!”.
L’iniziativa ungherese suscitò però le ire dell’Unione Europea. L’allora commissario per i diritti umani, Viviane Reding, affermò che “tale campagna va contro i valori europei”, ipotizzando persino la restituzione dei fondi europei da parte di Budapest. Le rispose il sottosegretario per la Famiglie e la Gioventù ungherese, Miklós Soltész, sottolineando che la campagna era finalizzata a promuovere “l’importanza della vita”. Un valore per l’Ungheria, forse non per l’Unione Europea.

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Federico Cenci

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