Contro ogni pronostico, nella notte, Donald Trump è diventato il 45° presidente degli Stati Uniti d’America. Uno spoglio delle schede al fotofinish e un testa a testa con Hillary Clinton durato svariate ore, poi dopo la conquista dell’Ohio e della Florida, per il tycoon newyorkese, la strada è stata tutta in discesa. La conquista della Casa Bianca è stata accompagnata dalla conferma della maggioranza repubblicana alla Camera e al Senato.
Mentre per quasi tutta la campagna elettorale, i sondaggi erano stati – ad eccezione dell’ultima settimana – sempre favorevoli alla Clinton, con punte del +16%, la rimonta di Trump a favore sull’ex Segretario di Stato è stata imprevedibile e imprevista, permettendo al candidato repubblicano di conquistare non solo alcuni swing states, come la Carolina del Nord o l’Indiana ma perfino roccaforti democratiche come il Wisconsin, il Michigan o la Pennsylvania.
Da parte sua, l’ex first lady è prevalsa, oltre che negli stati a forte tradizione democratica della West Coast e del New England, in alcuni swing states occidentali, come il Nevada, il Colorado e il New Mexico, ed orientali, come la Virginia.
Trump ha conquistato 306 grandi elettori contro i 232 della Clinton, mentre ben più ridotto è il vantaggio del candidato repubblicano in termini di voti popolari complessivi: 47,8% contro il 47,4% della candidata democratica.
La corsa del tycoon newyorkese era stata ritenuta senza speranze, anche per l’ostilità dell’establishment del Partito Repubblicano, al punto che la famiglia Bush aveva addirittura annunciato l’endorsment per la Clinton (sebbene poi George W. Bush, presidente dal 2001 al 2009, avesse dichiarato di aver votato scheda bianca). Senza contare le accuse di razzismo, sessismo, molestie sessuali ed evasione fiscale che, tuttavia, a conti fatti, non hanno ostacolato più di tanto la corsa del neoeletto presidente.
Su Trump aveva pesato anche un altro forte dubbio da parte degli analisti e degli osservatori, riguardo alla sua tendenza a restringere la ricerca del consenso verso i settori della popolazione tradizionalmente repubblicani, ovvero i maschi, i wasp e la classe media, laddove, a partire da Reagan e, ancor più, da Bush jr, i repubblicani avevano conquistato fasce consistenti dell’elettorato delle minoranze, neri e ispanici in particolare.
L’elemento che ha probabilmente fatto la differenza sono state la working class del midwest e della provincia, la classe media e i piccoli imprenditori ancora penalizzati dalle conseguenze della crisi finanziaria del 2008. Molti di costoro, insoddisfatti del welfare di Obama, hanno votato Trump. Non è un caso che due importanti affermazioni repubblicane alle elezioni presidenziali di ieri siano avvenute proprio in Ohio e in Michigan, stati con una lunga tradizione industriale che più di altri patiscono le trasformazioni economiche degli ultimi anni.
Meno credibile è l’ipotesi di una “autodifesa” dell’elettorato wasp e conservatore nei confronti dell’avanzata dei migranti – in special modo ispanici – e della loro emancipazione sociale.
Su Hillary Clinton hanno invece pesato gli errori in politica estera, durante il quadriennio da Segretario di Stato (2009-2013), in particolare in Medio Oriente e in Libia, e, in misura minore, il recente scandalo delle e-mail, risalenti agli stessi anni.
Si apre dunque una nuova stagione nella storia politica statunitense, dove alla certezza dei cambiamenti imminenti, si accompagnano le incognite sulla natura delle novità stesse.
Se da un lato, come in tutte le amministrazioni repubblicane, si assisterà ad una prevedibile diminuzione dell’imposizione fiscale, in particolare per le classi medie, uno dei risvolti più delicati riguarda l’integrazione degli immigrati e i rapporti tra bianchi e minoranze, che negli ultimi tempi sono stati segnati da inquietanti recrudescenze di tensioni razziali, come forse non si vedevano dagli anni ‘60. In questo contesto, servirà capire se le affermazioni colorite ed ‘estreme’ di Trump in campagna elettorale siano a sfondo ideologico o soltanto delle boutade per conquistare consensi.
La più grossa novità riguarderà però la politica estera: un’America isolazionista e finalmente amica della Russia potrà davvero mettere sotto scacco il terrorismo islamico e compromettere definitivamente l’avanzata dell’Isis in Medio Oriente? Si tratta del punto più delicato e meno facilmente decifrabile della politica trumpiana, nella quale potranno prevalere l’ideologia oppure il pragmatismo o ancora la legge del compromesso, come del resto è quasi sempre avvenuto nella storia americana.
Foto: Gage Skidmore - Commons Wikimedia CC 2.0
Donald Trump: un presidente “a sorpresa”
Smentendo tutti i sondaggi, il tycoon newyorkese conquista la Casa Bianca. Un successo inaspettato che affonda le sue radici nel malcontento della classe media e che potrebbe riservare novità epocali in politica estera