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La società al tempo dei robot

L’avvento della robotica suscita un grande interrogativo: sarà al servizio dell’umanità o contro l’umanità?

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Torna di moda la Sociologia. Dopo un lungo periodo in cui sembrava che il centro dell’interesse si rivolgesse all’individuo, oggi si ripresentano fenomeni eminentemente sociali. Da ciò il ritorno della Sociologia. Migrazioni, scontri e incontri delle religioni, disfatta e insorgenza degli Stati nazionali, mutamenti radicali nei sistemi produttivi, con la finanziarizzazione, gli spostamenti degli investimenti e dei capitali, la concorrenzialità planetaria, l’avvento della robotica e dell’intelligenza artificiale, la problematica ambientale…
Di queste novità drammatiche non sempre e non tutti sono consapevoli, e, a quanto pare, la classe politica, economica, intellettuale, insomma la classe dirigente, non sembra in condizioni – o almeno non lo è stata finora – di risolvere tanta complessità. Del resto, è difficilissimo risolverla giacché materia contraddittoria per se stessa.
Inoltre, come avviene, si formano delle ideologie, le quali ritengono di incarnare la soluzione, spesso non curandosi dei possibili effetti perversi anche in presenza delle migliori intenzioni. Di certo vi è che intelligenza artificiale, informatica, robotica muteranno radicalmente i sistemi produttivi. Nella Prima Rivoluzione Industriale l’uomo inventò le macchine e le usò direttamente. Nella Seconda Rivoluzione Industriale l’uomo inventa macchine che dirigono altre macchine. È un cambiamento radicale.
Taluni affermano che, poiché saranno pur sempre gli uomini a gestire le invenzioni, non vi saranno problemi di disoccupazione. I timori della sostituzione dell’uomo con le macchine sarebbero errati come lo furono, durante la Prima Rivoluzione Industriale, i timori dei luddisti, i quali distruggevano le macchine che sopprimevano il lavoro artigianale, il quale – è vero – fu in gran parte eliminato, ma creando un’occupazione alternativa nelle fabbriche.
Di fatto, i paesi più avanzati dominano il mercato mondiale e, attraverso tale dominio, creano occupazione. Tutto risolto? Non è sicuro. Da qualche tempo si fa pressante la problematica dell’innovazione tecnologica. Ne fa cenno Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’, giudicando un danno sociale preferire l’uso delle tecnologie al posto dell’occupazione degli uomini; ne scrivono sociologi e divulgatori scientifici; ne scrivono anche gli organi di stampa. Qualche mese fa la diffusa rivista tedesca Der Spiegel ha svolto l’argomento in toni drammatici.
Insomma, la “robotica” è una questione dominante. Spesso trattata con empirismo riduttivo: una conta delle attività che verrebbero a cessare nel futuro. Cesserebbero gli autisti perché le macchine si guiderebbero da sé, le famiglie affiderebbero ai robot le pulizie di casa e la preparazione dei cibi, i vecchi avrebbero un robot di sostegno, i bambini sarebbero accompagnati a scuola dai robot… per non parlare dei robot nel campo produttivo: il robot pompiere che non teme il calore, il robot che non patisce le vernici… e ancora: la collaborazione tra robotica e corpo umano, o comunque parti meccaniche del corpo umano (ad esempio: sensori che danno l’impressione di possedere un arto mancante), ed inoltrandoci: sostanze che potenziano la mente, ritrovati tecnici che ci traducono all’istante lingue straniere, fusione nucleare, viaggi di colonizzazione spaziale…
La Seconda Rivoluzione Industriale sarà strabiliante. Avremo una intersecazione universalistica di popoli, connessa al mercato mondiale e alla potenza produttiva planetaria. E in antitesi, forme di difesa, di argini, specie da parte dei paesi più deboli che temono di soccombere all’invasione dei paesi più forti o più disperati, e quindi forti dell’esplosione demografica emigrativa. Temi da valutare punto per punto.
Torniamo ai robot. Siamo in presenza di un fenomeno mai verificatosi, occorre ripeterlo perché è decisivo: l’avvento di macchine che dirigono altre macchine, di macchine “interne” all’uomo, paraumane, di entità artificiali intelligenti, aggiuntive ma anche sostitutive dell’intelligenza umana. Al dunque: una società di macchine, con una forza fisica centuplicata rispetto all’uomo e una capacità mentale parallela alla nostra, seppure “disumana” e non autocosciente al modo umano.
L’evento suscita enormi problematiche. A quali scopi condurre queste potentissime entità? Al servizio dell’umanità, ad esempio eliminando la pesantezza del lavoro, oppure contro l’umanità eliminando lavoro e lavoratori? Al riguardo molti sono pessimisti. Luca Cifoni su Il Messaggero scrive che l’immissione dei robot nel ciclo produttivo ha creato due milioni di posti e falciato cinque milioni di lavoratori. A un livello più vasto, Der Spiegel si inoltra in una possibile società senza lavoro umano.
Attenueremo nell’uomo la voglia di pensare delegandola alle macchine persino nella creazione artistica? Si possono stabilire connessioni strabilianti, anche combinatorie di suoni… Creeremo straordinarie macchine che guidano macchine o nefaste macchine sostitutive dell’uomo? L’auspicio è che la “società al tempo dei robot” non sia un’epoca priva dell’uomo! E non si ritengano le invenzioni tecnologiche una imprescindibile forma di evoluzione. È inutile ripetere: i robot li crea l’uomo. Infatti, l’uomo può creare la sua negazione. Sta a noi non distruggerci.
In ogni caso, il robot è destinato ad essere un nostro compagno futuro: amico o nemico, non sappiamo. Dipende da noi, ma dipende anche da “lui”, giacché gli sviluppi di quel che creiamo non sempre vanno nella direzione voluta. Non controlliamo tutto ciò che realizziamo. Abbiamo suscitato una entità fenomenale. A maggior ragione occorre fronteggiarla con una decisa idea dell’uomo che vogliamo essere.

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Antonio Sacca

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