Sono venuti dalle periferie urbane, rurali e industriali dei cinque continenti. In totale rappresentano 60 diversi paesi, da Uganda e Senegal a Guatemala e Uruguay, da Brasile e Argentina al Kurdistan iracheno. Per la terza volta, dopo Roma e la Bolivia, i campesinhos, cartoneros e lavoratori dei Movimenti Popolari incontrano Papa Francesco, a conclusione del III Incontro mondiale, e ancora una volta esprimono la stessa sete di giustizia e lo stesso grido: “Terra, casa e lavoro per tutti”.
“Poeti sociali”, li definisce Francesco, “seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo”. Come in una poesia, appunto. Il Pontefice esorta a guardare avanti, a pensare, discutere, proporre, agire, lottare e aprire strade per realizzare “un progetto di vita che respinga il consumismo e recuperi la solidarietà e il rispetto per la natura”. Quindi ricorda i tre “compiti imprescindibili” elencati nell’incontro a Santa Cruz de la Sierra nel 2015: mettere l’economia al servizio dei popoli; costruire pace e giustizia; difendere la Terra.
Una germinazione “lenta”, come in tutte le gestazioni, che però è “minacciata dalla velocità di un meccanismo distruttivo che opera in senso contrario”, avverte il Papa. “Ci sono forze potenti che possono neutralizzare questo processo di maturazione di un cambiamento che sia in grado di spostare il primato del denaro e mettere nuovamente al centro l’essere umano”.
È un “filo invisibile” che collega tutte le esclusioni e che “può consolidarsi e trasformarsi in una frusta esistenziale” che “rende schiavi, ruba la libertà, colpisce senza misericordia alcuni e minaccia costantemente altri, per abbattere tutti come bestiame fin dove vuole il denaro divinizzato”, mette in guardia il Pontefice. Il denaro usa questa “frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare” per generare sempre più violenza “in una spirale discendente che sembra non finire mai”.
Di base c’è “un terrorismo”, sottolinea Francesco, che “deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità”. Da esso si alimentano “i terrorismi derivati”: narco-terrorismo, terrorismo di stato o il terrorismo definito erroneamente etnico e religioso. Erroneamente perché “nessun popolo, nessuna religione è terrorista”, assicura il Papa. “È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro”.
Contro questa deriva, la Dottrina sociale della Chiesa e il magistero dei Papi del passato si sono scagliati con parole “dure ma giuste” che però “scrutarono il futuro”. Pio XI, ad esempio, che già cent’anni prima prevedeva l’affermarsi di una dittatura economica globale, o Paolo VI che denunciò “la nuova forma abusiva di dominio economico sul piano sociale, culturale e anche politico”.
Tutti si sono ribellati “contro l’idolo denaro che regna invece di servire, tiranneggia e terrorizza l’umanità”, afferma Bergoglio. Proprio sul terrore si basa la tirannia: “Nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure. E quando questo terrore, che è stato seminato nelle periferie con massacri, saccheggi, oppressione e ingiustizia, esplode nei centri con diverse forme di violenza, persino con attentati odiosi e vili, i cittadini che ancora conservano alcuni diritti sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali”.
Muri che “rinchiudono alcuni” ed “esiliano altri”: cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, dall’altro. “È questa la vita che Dio nostro Padre vuole per i suoi figli?”, domanda il Papa. “La paura viene alimentata, manipolata – rimarca – perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli”.
C’è qualcosa di innaturale, infatti, “quando sentiamo che si festeggia la morte di un giovane che forse ha sbagliato strada, quando vediamo che si preferisce la guerra alla pace, quando vediamo che si diffonde la xenofobia, quando constatiamo che guadagnano terreno le proposte intolleranti”.
“Dietro questa crudeltà che sembra massificarsi c’è il freddo soffio della paura” denuncia il Santo Padre, proponendo come antidoto la misericordia che “non è facile”, che “richiede coraggio”, ma che sconfigge la paura “molto meglio degli antidepressivi e degli ansiolitici” ed è “più efficace dei muri, delle inferriate, degli allarmi e delle armi”. Soprattutto la misericordia “è gratis”, perché “è un dono di Dio”.
“Affrontiamo il terrore con l’amore”, incoraggia allora Francesco. E fa suo il grido delle 3-T (tierra, techo, trabajo) che, dice, è “progetto-ponte dei popoli” di fronte al “progetto-muro” del denaro. Un progetto, cioè, “che mira allo sviluppo umano integrale” in un mondo oggi affetto da “atrofia morale” in grado di fornire “protesi cosmetiche che non sono vero sviluppo”: crescita economica, progressi tecnologici, efficienza per produrre cose che si comprano, si usano e si buttano e che “ingloba tutti in una vertiginosa dinamica dello scarto”.
In tal contesto, Papa Francesco inquadra il dramma dei migranti che definisce “una situazione obbrobriosa che posso solo descrivere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna”. Tale fenomeno è causato da “un sistema socio-economico ingiusto e di guerre” che queste persone “non hanno cercato”, né “hanno creato coloro che oggi soffrono il doloroso sradicamento dalla loro patria, ma piuttosto molti di coloro che si rifiutano di riceverli”, afferma.
Questa tragedia del nostro tempo è “la bancarotta dell’umanità”, aggiunge il Santo Padre citando le parole del patriarca greco Hyeronimos a Lesbo. E mentre nel mondo, “quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla”, se avviene questa bancarotta dell’umanità “non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto”. Così “il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente”.
Il problema è sempre la paura che “indurisce il cuore e si trasforma in crudeltà cieca che si rifiuta di vedere il sangue, il dolore, il volto dell’altro”. Per questo Francesco chiede ai Movimenti Popolari di entrare coraggiosamente nelle “grandi discussioni” della politica, quella “con la P maiuscola”, facendo però attenzione a non lasciarsi “incasellare” o “corrompere”.
Incasellare nel senso di mantenersi in quella nicchia delle ‘politiche sociali’ senza mai “mettere in discussione la politica economica”, “le macrorelazioni”. In quel modo “vi si tollera”, osserva il Papa, invece “quando strillate, quando gridate, quando pretendete di indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera più tanto” perché “vi state mettendo sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste”.
Così, però, “la democrazia si atrofizza”, diventa un “nominalismo”, “va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino”. Allora non bisogna cadere nella tentazione della “casella” che “vi riduce ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente”, sollecita Bergoglio. Anzi, “in questi tempi di paralisi, disorientamento e proposte distruttive, la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, che vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria”.
In agguato, però, c’è sempre il pericolo della corruzione che “non èr un vizio esclusivo della politica” ma si ritrova nelle imprese, nei mezzi di comunicazione, nelle chiese e anche nelle organizzazioni sociali e nei movimenti popolari. “Quanti hanno scelto una vita di servizio hanno un obbligo ulteriore che si aggiunge all’onestà con cui qualunque persona deve agire nella vita”, evidenzia Papa Francesco. Pertanto, “a qualsiasi persona che sia troppo attaccata alle cose materiali o allo specchio, a chi ama il denaro, i banchetti esuberanti, le case sontuose, gli abiti raffinati, le auto di lusso, consiglierei di capire che cosa sta succedendo nel suo cuore e di pregare Dio di liberarlo da questi lacci”. E colui che è “affezionato” a tutte queste cose – aggiunge citando le parole di José Pepe Mujica, presente in Aula Paolo VI – meglio “che non si metta in politica, in un’organizzazione sociale o in un movimento popolare, perché farebbe molto danno a sé stesso e al prossimo e sporcherebbe la nobile causa che ha intrapreso”.
Per Francesco, il miglior rimedio alla corruzione è “praticare l’austerità è, in più, predicare con l’esempio”. Esso “ha più forza di mille parole, di mille volantini, di mille ‘mi piace’, di mille retweets, di mille video su youtube”, sottolinea, “l’esempio di una vita austera al servizio del prossimo è il modo migliore per promuovere il bene comune e il progetto-ponte delle 3-T”.
L’importante, conclude il Papa richiamando il pensiero di Martin Luther King, è “continuare a contrastare la paura con una vita di servizio, solidarietà e umiltà in favore dei popoli e specialmente di quelli che soffrono”. “Potrete sbagliare tante volte, tutti sbagliamo, ma se perseveriamo in questo cammino, presto o tardi, vedremo i frutti”, assicura. Frutti di amore che “contro il terrore” è “il miglior rimedio”.