“Dov’è Dio, se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’è Dio, quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre? Dov’è Dio, quando malattie spietate rompono legami di vita e di affetto? O quando i bambini vengono sfruttati, umiliati, e anch’essi soffrono a causa di gravi patologie? Dov’è Dio, di fronte all’inquietudine dei dubbiosi e degli afflitti nell’anima?”.
Il dolore accumulato oggi nella visita al lager di Auschwitz-Birkenau esplode questa sera nelle parole pronunciate dal Papa durante la Via Crucis al Parco Jordan di Blonia. Quattordici stazioni tutte incentrate sulle sette opere di misericordia spirituali e le sette corporali, durante le quali la Croce in legno della Gmg viene trasportata da un gruppo di giovani di Sant’Egidio che include anche alcuni rifugiati siriani.
Dopo tre ore di preghiere, video-installazioni ed esibizioni recitate e danzate della Passione, il Papa mette al muro il circa mezzo milione di giovani presenti ponendo quelle domande “per le quali non ci sono risposte umane…”. “Possiamo solo guardare a Gesù, e domandare a Lui”, dice. Ma Cristo offrirebbe solo una risposta: “Dio è in loro”. “Gesù è in loro, soffre in loro, profondamente identificato con ciascuno”, sottolinea Francesco, “Egli è così unito ad essi, quasi da formare ‘un solo corpo’”.
“Gesù stesso – rimarca il Papa – ha scelto di identificarsi in questi nostri fratelli e sorelle provati dal dolore e dalle angosce, accettando di percorrere la via dolorosa verso il calvario. Egli, morendo in croce, si consegna nelle mani del Padre e porta su di sé e in sé, con amore che si dona, le piaghe fisiche, morali e spirituali dell’umanità intera”.
Con quell’abbraccio al legno della croce, Cristo “abbraccia la nudità e la fame, la sete e la solitudine, il dolore e la morte degli uomini e delle donne di tutti i tempi”. E “questa sera Gesù, e noi insieme a Lui, abbraccia con speciale amore i nostri fratelli siriani, fuggiti dalla guerra. Li salutiamo e li accogliamo con affetto fraterno e con simpatia”, dice il Pontefice.
Elenca allora le sette opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire chi è nudo, dare alloggio ai pellegrini, visitare gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti, per ricordare che: “Siamo chiamati a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, a toccare la sua carne benedetta in chi è escluso, ha fame, ha sete, è nudo, carcerato, ammalato, disoccupato, perseguitato, profugo, migrante”.
È lì che “troviamo il nostro Dio, lì tocchiamo il Signore”, aggiunge il Papa. Ce l’ha detto Gesù stesso, “spiegando quale sarà il ‘protocollo’ in base al quale saremo giudicati: ogni volta che avremo fatto questo al più piccolo dei nostri fratelli, l’avremo fatto a Lui”.
Alle opere di misericordia corporale seguono quelle spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. “Nell’accoglienza dell’emarginato che è ferito nel corpo, e nell’accoglienza del peccatore che è ferito nell’anima, si gioca la nostra credibilità come cristiani, non nelle idee”, è il monito del Papa.
Che, come ieri nella cerimonia di accoglienza a Blonia, ribadisce che: “Oggi l’umanità ha bisogno di uomini e di donne, e in modo particolare di giovani come voi, che non vogliono vivere la propria vita ‘a metà’, giovani pronti a spendere la vita nel servizio gratuito ai fratelli più poveri e più deboli, a imitazione di Cristo”.
E proprio perché si imita Cristo “di fronte al male, alla sofferenza, al peccato, l’unica risposta possibile è il dono di sé, anche della vita”. “Cari giovani – incoraggia pertanto Papa Francesco – il Signore vi rinnova l’invito a diventare protagonisti nel servizio; vuole fare di voi una risposta concreta ai bisogni e alle sofferenze dell’umanità; vuole che siate un segno del suo amore misericordioso per il nostro tempo!”.
Per compiere questa “missione” la via da seguire è “la via della croce”, cioè “dell’impegno personale” e “del sacrificio di voi stessi”. Dunque “la via della felicità di seguire Cristo fino in fondo, nelle circostanze spesso drammatiche del vivere quotidiano”; la via “che non teme insuccessi, emarginazioni o solitudini, perché riempie il cuore dell’uomo della pienezza di Gesù”. “La Via della croce è la via della vita e dello stile di Dio, che Gesù fa percorrere anche attraverso i sentieri di una società a volte divisa, ingiusta e corrotta”, rimarca Bergoglio. “La Via della croce non è un’abitudine sadomasochista”, ma “l’unica che sconfigge il peccato, il male, la morte, perché sfocia nella luce radiosa della Resurrezione di Cristo aprendo gli orizzonti della vita, della speranza e del futuro”.
“Chi la percorre con generosità e con fede dona speranza al futuro e all’umanità. Chi la percorre con generosità e con fede semina speranza”. “E io – conclude a braccio il Papa – vorrei che voi foste seminatori di speranza”, perché “il mondo vi guarda”.
[Dal nostro inviato a Cracovia]