Baby and Doll

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“Le bambine giocano con le bambole”. C’è bisogno di dimostrare l'ovvio contro il gender

Uno studio della rivista accademica “Infant and Child Development” dimostra che la differenza sessuale emerge anche nella scelta dei giochi da parte dei più piccoli

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Profetico fu lo scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton. “Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”, scriveva nel 1905. Oltre un secolo di distanza dopo, non le armi ma gli studi scientifici vengono propinati per dimostrare l’ovvio.
Le bambine hanno una predilezione per il gioco delle bambole. Non bastano più il buon senso e la ragione per condividere questo assunto. Tale e capillare è l’ottenebramento ideologico della decostruzione dell’identità sessuale, per cui debbono scendere in campo fior di psichiatri per dimostrare che la scelta dei bambini nel gioco è spontanea, non dettata dalle imposizioni di adulti imbevuti di “cultura patriarcale”.
Su Infant and Child Development, autorevole rivista accademica che si occupa dello sviluppo cognitivo nel periodo dell’infanzia, è uscito un articolo della dott.ssa Brenda K. Todd, docente e ricercatrice presso la City University di Londra.
Studiando bambini molto piccoli, dai 9 ai 32 mesi, la ricercatrice è giunta a confermare che le differenze tra maschi e femmine si manifestano anche nella scelta dei giochi fin dalle prime fasi dello sviluppo della persona.
La Todd ha preso in esame 101 piccoli maschi e altrettante femminucce, osservandoli mentre si trovavano, da soli, in una stanza con dei giocattoli a disposizione. Ebbene, ha potuto rilevare che la grande maggioranza delle bambine prediligeva una bambola, un orsacchiotto rosa e un pentolino di plastica; mentre quasi tutti i bambini hanno scelto una macchinina, un orsacchiotto azzurro, una piccola scavatrice e una palla.
Senza ricevere condizionamenti, pertanto, i piccoli hanno autonomamente deciso di divertirsi con il giocattolo pensato per la propria identità sessuale. L’esperimento della Todd è sulla falsa riga di quello del prof. Trond Diseth, dell’Oslo University Hospital, il quale ha dimostrato che le differenze dei cervelli femminile e maschile sono innate proprio servendosi della libera volontà di alcuni bimbi di pochi mesi nello scegliersi i giocattoli.
La testimonianza del prof. Diseth, insieme a quelle di altri studiosi, è raccolta nel documentario sul “paradosso norvegese”, che dimostra l’inconsistenza scientifica dell’ideologia gender e racconta come la società scandinava, malgrado la forte influenza di alcuni gruppi di pressione, vi si stia ribellando.
Anche se non la cita esplicitamente, anche la Todd demolisce l’ideologia gender. Il suo approccio di studio è stato molto accademico. “Storicamente – spiega – c’è sempre stata incertezza sulle origini delle preferenze per il gioco da parte dei bambini di sesso diverso. Per questo abbiamo deciso di scoprire questo aspetto e di verificare in che età si sviluppa”.
La psicologa inglese afferma che le differenze biologiche si riverberano in attitudini mentali differenti tra i due sessi. I maschi hanno una spiccata ispirazione nell’ambito numerico e spaziale, mentre le femmine sono più portate per l’interazione e per la manipolazione degli oggetti. “Quando abbiamo studiato le preferenze nei giocattoli in un ambiente in cui non erano presenti i genitori, abbiamo constatato che le differenze tra maschi e femmine erano coerenti con queste attitudini”, dice la Todd.
Posto che esistono sempre delle variabili che possono incidere sullo sviluppo di un bambino, la maggior parte degli individui rientra dunque in quelli che i fautori di innovative ideologie definiscono “stereotipi di genere”.
“La palla – ha concluso l’autrice della ricerca – è stato il gioco preferito dai bambini maschi”. E quella delle bambine? “La pentola per cuocere”. Quest’ultima risposta potrebbe suggerire a qualche fautrice del “gender equality” di accusare la Todd di fomentare la subordinazione sociale delle donne. Peccato per costoro che non la studiosa inglese, bensì la biologia umana è nemica del femminismo radicale.

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Federico Cenci

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