“Un valido aiuto per rinnovare la vita e la missione” dei monasteri delle suore contemplative nella Chiesa e nel mondo, affinché possano essere “fari” che “illuminano il cammino degli uomini e delle donne del nostro tempo” e rendano il mondo “più umano ed evangelico”. Si potrebbe sintetizzare così la Costituzione apostolica «Vultum Dei quaerere» (La ricerca del volto di Dio) di Papa Francesco, pubblicata oggi ma firmata lo scorso 29 giugno.
Un documento che – in 38 punti e 14 articoli – abroga norme in materia risalenti ai tempi di Pio XII e mira a configurare meglio il carisma delle consacrate, offrendo indicazioni pratiche su ambiti anche giuridici e amministrativi, nonché spirituali. Il tutto tenendo conto “dell’intenso e fecondo cammino percorso dalla Chiesa stessa negli ultimi decenni” e “alla luce degli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, sia delle mutate condizioni socio-culturali”.
Il testo del Pontefice abbraccia, quindi, temi come la scelta e la cura delle vocazioni, in un momento in cui nell’attuale contesto socio-culturale e religioso ne rileva la forte “crisi”. Per questo Francesco invita ad un attento “discernimento vocazionale e spirituale” e mette in guardia dalla “tentazione del numero e della efficienza” che porta spesso al “reclutamento di candidate da altri Paesi con l’unico fine di salvaguardare la sopravvivenza del monastero”.
Anzi, il Papa propone “la chiusura” di un istituto “qualora non sussistano i requisiti per una reale autonomia di un monastero”. In alternativa c’è una “rivitalizzazione” dello stesso attraverso un “processo di accompagnamento” posto in essere da una commissione formata ad hoc dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. “All’autonomia giuridica deve corrispondere una reale autonomia di vita” precisa infatti il Pontefice; ciò “significa: un numero anche minimo di sorelle, purché la maggior parte non sia di età avanzata; la necessaria vitalità nel vivere e trasmettere il carisma; la reale capacità formativa e di governo; la dignità e la qualità della vita liturgica, fraterna e spirituale; la significatività e l’inserimento nella Chiesa locale; la possibilità di sussistenza; un’adeguata struttura dell’edificio monastico”.
Tra le vie da percorrere, Papa Bergoglio indica anche il rafforzamento delle Federazioni. “Inizialmente tutti i monasteri dovranno far parte di una federazione”, stabilisce il documento. “Se per ragioni speciali un monastero non potrà essere federato, con il voto del capitolo, si chieda il permesso alla Santa Sede, alla quale compete fare l’adeguato discernimento, per consentire al monastero di non appartenere ad una federazione”. Lo scopo principale “è promuovere la vita contemplativa nei monasteri che ne fanno parte, secondo le esigenze del proprio carisma, e garantire l’aiuto nella formazione permanente e iniziale, nonché nelle necessità concrete, attraverso lo scambio di monache e la condivisione dei beni materiali”. Tale processo – si legge nel testo – “potrebbe prevedere anche l’affiliazione ad un altro monastero o l’affidamento alla Presidente della federazione, se il monastero è federato, con il suo Consiglio”.
Nella Costituzione apostolica vengono poi messi a fuoco “i dodici temi della vita consacrata in generale e, in particolare, della tradizione monastica”. Quindi: “Formazione, preghiera, Parola di Dio, Eucaristia e Riconciliazione, vita fraterna in comunità, autonomia, federazioni, clausura, lavoro, silenzio, mezzi di comunicazione e ascesi”.
Prima però il Papa fa una premessa che riguarda i nuovi mezzi di comunicazione e i social network che – osserva – “possono essere strumenti utili per la formazione e la comunicazione”, ma rendono necessario “un prudente discernimento affinché siano al servizio della formazione alla vita contemplativa e delle comunicazioni necessarie”. Guai quindi a rendere le nuove tecnologie “occasione di dissipazione o di evasione dalla vita fraterna in comunità” o ancora peggio “danno per la vostra vocazione” o “ostacolo per la vostra vita interamente dedita alla contemplazione”.
Per questo il Santo Padre chiede alle monache di vivere una dimensione ascetica, che, tradotto, significa “liberarsi da tutto quello che è proprio della ‘mondanità’ per vivere la logica del Vangelo che è logica di dono”. Ciò implica “sobrietà, distacco dalle cose, consegna di sé stessi nell’obbedienza, trasparenza nelle relazioni”. “Tutto per voi – scrive Francesco – è reso più radicale ed esigente dalla scelta di rinuncia anche allo spazio, ai contatti, a tanti beni del creato, come modo particolare di donare il ‘corpo’. L’aver scelto una vita di stabilità – prosegue – diventa segno eloquente di fedeltà per il nostro mondo globalizzato e abituato a spostamenti sempre più rapidi e facili, con il rischio di non mettere mai radici”.
In tal senso, la vita claustrale rende “più esigente” anche il campo delle “relazioni fraterne”, imponendo nelle comunità “relazioni continue e ravvicinate”. “Voi potete essere di esempio e aiuto al popolo di Dio e all’umanità di oggi, segnata e a volte lacerata da tante divisioni, a restare accanto al fratello e alla sorella anche là dove vi sono diversità da comporre, tensioni e conflitti da gestire, fragilità da accogliere”, assicura Bergoglio.
“Non è facile – scrive in un altro punto – che questo mondo, per lo meno quella larga parte di esso che obbedisce a logiche di potere, economiche e consumistiche, comprenda la vostra speciale vocazione e la vostra missione nascosta, eppure ne ha immensamente bisogno”. Ne ha bisogno “come il marinaio in alto mare ha bisogno del faro che indichi la rotta per giungere al porto”.
“Siate fari, per i vicini e soprattutto per i lontani” è l’esortazione del Papa argentino, “siate fiaccole che accompagnano il cammino degli uomini e delle donne nella notte oscura del tempo” e “sentinelle del mattino” che non hanno “timore di vivere la gioia della vita evangelica” secondo il proprio carisma.
Su questa scia, il Papa richiama ad un maggior impegno verso poveri e sofferenti e rammenta il valore del lavoro che – dice alle monache – “vi mette in stretta relazione con quanti lavorano con responsabilità per vivere del frutto delle proprie mani; vi fa essere solidali con i poveri che non possono vivere senza lavorare e che spesso, pur lavorando, hanno bisogno del provvidenziale aiuto dei fratelli”.
“Il frutto del lavoro non abbia soltanto lo scopo di assicurare un sostentamento dignitoso ma anche, quando possibile, di sovvenire alle necessità dei poveri e dei monasteri bisognosi”, afferma infatti Papa Francesco. Perciò “anche se alcune comunità monastiche possono avere delle rendite, in accordo con il diritto proprio, non si esimano comunque dal dovere di lavorare”. Il lavoro, tuttavia, non deve estinguere lo spirito di contemplazione, ma va compiuto “con devozione e fedeltà, senza lasciarsi condizionare dalla mentalità efficientistica e dall’attivismo della cultura contemporanea”. Il motto è dunque quello della tradizione benedettina: “Ora et labora”.
Oltre che dal lavoro, il ritmo giornaliero di ogni monastero deve prevedere “opportuni momenti di silenzio, così che venga favorito il clima di preghiera e di contemplazione”, si legge nella Costituzione apostolica. Il silenzio è infatti “spazio necessario di ascolto e ruminatio della Parola”; “la vostra vita integralmente contemplativa richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare Dio e il grido dell’umanità”, afferma il Papa. “Taccia dunque la lingua della carne e parli quella dello Spirito, mossa dall’amore che ognuna di voi ha per il suo Signore”.
Su un piano più specificamente spirituale, il Papa mette in guardia le contemplative da alcune tentazioni, tra le quali individua come “una delle più insidiose” quella che i Padri del deserto chiamavano “demonio meridiano”. Ovvero “la tentazione che sfocia nell’apatia, nella routine, nella demotivazione, nell’accidia paralizzante”. Questo – dice il Santo Padre cita la Evangelii gaudium – “porta lentamente alla “psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come ‘il più prezioso degli elisir del demonio”.
Invece la missione delle monache è tutt’altra, e cioè essere “scala” come Maria “attraverso la quale Dio scende per incontrare l’uomo e l’uomo sale per incontrare Dio”. Al documento seguirà una Istruzione che la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata emanerà prossimamente sugli stessi temi.