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"Trieste redenta": via l'anticattolicesimo e l'ideologia gender

Il neo-sindaco Dipiazza ha ripristinato il Crocifisso dalle aule comunali e ha cancellato con una delibera il “Gioco del rispetto” che inculca ai bimbi della materna il gender

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Se non fosse che su Trieste da sempre soffia la peculiare bora, si potrebbe dire che nella città giuliana il vento è cambiato.
Lo scorso 19 giugno, con il 52,63% dei voti, Roberto Dipiazza ha vinto al ballottaggio sul suo avversario nonché primo cittadino in carica Roberto Consolini. Il candidato di centro-destra si è ripreso così la fascia tricolore, che aveva già indossato al Comune di Trieste per due mandati, dal 2001 al 2011.
Fin qui la fredda cronaca di un’alternanza politica i cui effetti solo saltuariamente vengono recepiti dai cittadini. A Trieste, tuttavia, il cambio di Giunta amministrativa ha davvero sortito qualche significativa inversione di rotta.
Il neo-sindaco Dipiazza ha voluto da subito impugnare lo scalpello per togliere all’antica “città redenta del suo carattere italiano” quell’impronta ideologica che le aveva dato il suo predecessore di centro-sinistra.
Appena rientrato nelle stanze del Municipio, Dipiazza si è personalmente reso protagonista di un gesto molto semplice, ma altrettanto esplicativo.
Ha riaperto un cassetto impolverato nel quale la precedente Giunta aveva deciso di ammassare i Crocifissi in legno, ed uno ad uno li ha appesi di nuovo laddove si trovavano prima che penetrasse in Comune la moda dell’anticattolicesimo travestito da “rispetto per i diversi”.
Solo dopo aver collocato i Crocifissi al loro posto, Dipiazza si è dedicato ai primi incontri con i dirigenti e con gli assessori per prendere i primi provvedimenti ufficiali.
Già nel 2009, a seguito della decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di redarguire l’Italia per la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche, Dipiazza annunciò che non avrebbe lasciato i chiodi dalle pareti orfani della Croce. Egli definì quella di Strasburgo “un’imposizione che si scontra contro i valori e le tradizioni che appartengono alla storia millenaria del nostro Paese”.
Interpretò inoltre la decisione come “segnale di debolezza dell’Europa, perché la svendita dei nostri valori non può essere adottata come forma di rispetto nei confronti di chi è portatore di un’altra religione”. Secondo Dipiazza, del resto, “è chi viene da fuori che deve adeguarsi alle nostre leggi e rispettare i simboli della nostra fede”.
A sette anni da quelle parole, Dipiazza si è trovato costretto a dover intervenire per ripristinare la condizione di normalità che aveva strenuamente difeso. Ma non solo. Il primo cittadino triestino ha dovuto tutelare, oltre alle “tradizioni del nostro Paese”, anche il diritto dei genitori ad educare i figli secondo le proprie convinzioni e quello dei bambini a crescere serenamente.
Nei giorni scorsi, infatti, una delibera della Giunta Dipiazza ha depennato dai programmi formativi per le scuole del Comune di Trieste il cosiddetto “Gioco del rispetto”.
Si tratta di un’iniziativa dedicata ai bambini dell’asilo che suscitò roventi polemiche nella città giuliana. Ai genitori non andò giù che questo “gioco” prevedesse che i loro figli si scambiassero i vestiti (i maschietti con abiti da femminucce e viceversa) e che “esplorassero” i corpi dei compagni, persino “nominando senza timore i genitali”, come spiegato nel kit che era stato distribuito alle insegnanti delle materne triestine.
L’opposizione di un nutrito nugolo di genitori attirò l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale su Trieste, ma non servì a dissuadere la Giunta di centro-sinistra dal proposito di trasformare le aule delle scuole materne in laboratori dell’ideologia gender.
Ora però i fautori dell’indifferentismo sessuale dovranno accomodarsi fuori dalle scuole. “I bambini sono sacri, devono poter giocare liberamente ed avere garantita un’infanzia serena”, ha detto Dipiazza dopo la delibera. Ad illustrarla, in Giunta, gli assessori all’Educazione Angela Brandi e alle Pari opportunità Serena Tonel.
“Oltre alle numerose proteste per questa sperimentazione, arrivate da parte di tanti genitori che hanno fortemente contestato sia l’opportunità che il metodo – hanno affermato le due esponenti del nuovo esecutivo comunale -, questo progetto sperimentale è costato oltre 8 mila euro e su un totale di 29 scuole appena cinque lo hanno attivato”. Rispettare il Crocifisso e il candore dei bambini, invece, non costa nulla. Solo un po’ di buon senso.

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Federico Cenci

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