È ancora in stallo il processo di canonizzazione del beato Oscar Romero, sebbene l’arcivescovo di San Salvador sia universalmente riconosciuto come testimone di fede. Si attende infatti di individuare un miracolo che possa essere riconosciuto come avvenuto per intercessione del Beato. Al contrario, procede spedito, seppur per ora a livello diocesano, il processo di beatificazione sempre come martire di un altro prelato salvadoregno: il gesuita Rutilio Grande Garcìa che fu collaboratore e stretto amico di Romero quando era arcivescovo di San Salvador.
A fornire queste dettagliate informazioni è mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia e postulatore della causa di Romero, al noto blog di Alver Metalli Terre d’America. “Non c’è dubbio che Romero sia testimone di un cristianesimo forte, popolare nel senso profondo del termine, anche nei nostri giorni”, sottolinea Paglia, “lo aveva intuito la Chiesa anglicana quando nel 2000 pose Romero tra i 10 santi martiri del Novecento; l’hanno intuito le Nazioni unite che hanno fatto del 24 marzo [data della sua morte] il giorno della difesa della libertà e dei diritti; lo avevano intuito i milioni di cristiani che ovunque nel mondo lo hanno ritenuto il santo martire contemporaneo”.
“Romero è il segno di un Vangelo per i nostri giorni che è intriso di martirio” afferma il presule, egli “è il primo dei nuovi martiri perché ha mostrato la via del Vangelo che è quella di dare tutto sé stesso per il bene del popolo. In questo senso Romero è senza dubbio una figura universale, pienamente salvadoregna”.
Alla domanda se il processo di canonizzazione registrerà dei passi avanti il prossimo anno, in occasione del centenario della nascita dell’arcivescovo, il presidente del Dicastero per la famiglia spiega che “già il processo per la beatificazione è stato un miracolo. È stato molto arduo superare le obiezioni, le più diversificate e tutte convergenti nell’impedire il processo. Papa Francesco è giunto a dire che Romero è stato martirizzato anche dopo morto. Ha vinto la verità dell’amore, ha vinto la testimonianza di un uomo che non si è risparmiato in nulla per il bene del suo popolo e che con semplicità, certo non scontatezza, ha mostrato cosa vuole dire essere vescovo, discepolo di Gesù e uomo fino in fondo”.
Il problema rimane tuttavia quello del miracolo, anche perché Romero è stato beatificato in virtù del suo martirio. “Abbiamo esaminato alcune proposte di guarigioni ma non sono proponibili, per cui non le ho neppure presentate: abbiamo ritenuto opportuno evitare bocciature”, racconta il postulatore.
Che invece si dice sicuro di “andare avanti più sollecitamente con il processo di padre Rutilio Grande”, di cui ora è stata avviata la fase diocesana. Grande amico di Romero, professore universitario che scelse di abitare con i campesinos in un villaggio, anch’egli subì il martirio in odium fidei sulla linea dell’arcivescovo di San Salvador. Fu assassinato il 12 marzo del 1977, tre anni prima di Romero, mentre si recava alla sua parrocchia per celebrare la Messa. Rutilio Grande – conclude Paglia – “è certamente fra i testimoni che hanno toccato il cuore dell’arcivescovo di San Salvador. Mi verrebbe da dire che la figura di Romero, la sua passione per i poveri è il miracolo più grande”.