Le violenze dei giorni scorsi hanno lasciato decine di migliaia di vittime sul terreno e provocato una grande massa di profughi: si parla di 36 mila sfollati e oltre 30 mila civili attualmente rifugiati nel compound delle Nazioni Unite. A loro, in questo momento, sono rivolte le preoccupazioni delle comunità religiose del Paese che hanno lanciato appelli senza sosta per una immediata fine delle ostilità.
In prima linea, in questo senso, ci sono la Chiesa cattolica, la Comunione anglicana e il South Sudan Council of Churches che, in una nota, chiede alla comunità internazionale un pronto intervento anche con la forza, prima che sia troppo tardi. Nel comunicato viene espresso poi “cordoglio e solidarietà a tutte le vittime del conflitto e ai loro familiari”, insieme alla preghiera “affinché ritorni un clima più sereno”.
“Le fazioni vogliono eliminarsi a vicenda e i colpi di mortaio sono caduti in mezzo ai civili”, dichiarano al Sir i missionari da anni a Juba, capitale del Sud Sudan. “Il ponte sul Nilo è bloccato e l’aeroporto è stato chiuso, rendendo impossibile anche l’evacuazione del personale delle ambasciate straniere”. Secondo le fonti, “i non sud sudanesi” sono stati autorizzati a lasciare il Paese attraverso il valico di frontiera con l’Uganda. Muoversi, però, significa rischiare la vita. “I civili sono rintanati nelle case e chi si avventura fuori lo fa solo perché costretto dalla fame o perché spera di raggiungere un riparo”.