La cultura costruisce ponti e innalza l’umanità

Mons. Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, è convinto che la ‘diplomazia’ della cultura possa arrivare fin dove hanno fallito fior di ambasciatori e risolvere intricate crisi internazionali

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Mons. Jean Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, non ha dubbi. E’ convinto che la diplomazia del libro e della cultura, come ama definirla lui, possa riuscire ad arrivare fin dove hanno fallito fior di ambasciatori e risolvere intricate crisi internazionali: “La cultura, in alcuni casi difficili, è l’unico strumento per costruire ponti. Soprattutto dopo che le diverse attività della mente umana hanno generato frontiere, separazioni, opposizioni”. E cita, con orgoglio, gli accordi di cooperazione tra la Biblioteca Vaticana e quelle di Stati come Serbia, Cuba e Cina: “A Pechino, per il 2017, abbiamo organizzato una mostra di nostri manoscritti rari dell’ultima Dinastia. Chissà se questa potrà essere la prima tappa di un mutuo riconoscimento proprio con la Santa Sede”.  
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Ultima sua missione, in ordine di tempo, è stata quella in Turchia. Paese travagliato, soprattutto in questo periodo…
“Appena nominato, il nuovo ambasciatore della Turchia è venuto a farmi visita con una proposta: recarmi nella sua terra per far conoscere la Biblioteca Vaticana e l’Archivio Segreto. Ho accettato. Sapendo però una cosa: l’opinione pubblica turca ha una visione negativa della Santa Sede e dell’Archivio Segreto. Perché? Semplice: si crede che in questo archivio si custodiscano chissà quali misteri che la Chiesa vorrebbe nascondere. Una volta arrivato ad Istanbul, nella straordinaria università delle Belle Arti, mi sono trovato davanti quattrocento studenti ai quali ho detto: la Biblioteca Vaticana e l’Archivio Segreto sono aperti a tutti gli studiosi, anche a quelli turchi. Se volete potete lavorare con noi. Ho ricevuto una risposta molto positiva”.    
La diplomazia sperimenta le vie della cultura e del dialogo intellettuale?
“Certamente. Facendo questo viaggio in un Paese la cui opinione pubblica è contraria alla Santa Sede, ho voluto dimostrare l’apertura della Chiesa proprio utilizzando il canale della cultura. E’ stato un piccolo successo. Adesso stiamo pensando ad una mostra e alla creazione di un centro speciale per studiare la memoria della Turchia grazie ai manoscritti custoditi nella Biblioteca Vaticana”.
La tappa turca non è altro che un ulteriore tassello di un progetto più vasto al quale state lavorando ormai da tre anni…  
“ Sì. Questo progetto presenta tre dimensioni. La prima, anche ecumenica: i governi di Belgrado, di Sofia, di Bucarest ed i Patriarchi mi hanno chiesto di aiutare le chiese ortodosse e gli stessi Stati a ricostituire la loro identità danneggiata dalla guerra, quando le biblioteche furono distrutte. E così noi siamo diventati, per quelle biblioteche nazionali ed ecclesiastiche, una ‘biblioteca madre’. La seconda riguarda l’America Latina. Poco tempo fa, l’ambasciatore dell’Uruguay ha chiesto di inviare in archivio una studiosa con il compito di approfondire il nostro modo di lavorare. La terza dimensione fa riferimento all’estremo oriente. Lo scorso anno, a Tokyo, abbiamo inaugurato una mostra di successo. E nel 2017 ci sarà l’avventura in Cina. Da contare, poi, il dialogo aperto con Russia, Armenia e le autorità di Teheran”.
C’è una zona del mondo nella quale questo tipo di politica non ha fatto breccia?
“Si, l’Africa. Qui ancora non siamo riusciti ad avere contatti con Paesi od università perché in questo continente non esiste una cultura del libro ma una forte tradizione orale. Come fare allora per  conciliare la nostra tradizione scritta con le culture orali? Una bella sfida per il futuro”.

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Federico Piana

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