Mother and son

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Quel figlio che già ti aspetta…

Spesso si ha a che fare con bambini spaesati, smarriti fin dalla nascita in un mondo senza amore. Separazione, perdita e abbandono li hanno convinti di essere “incompleti” ed “inadatti a meritare amore”

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Cara Federica, ti avevo promesso che ci saremmo risentite per la terza volta ed eccomi qua. Abbiamo fatto un piccolo cammino insieme, entrando dentro il tuo dolore (“Quel figlio che non arriva”) ed alzando gli occhi al Cielo (“Quel figlio che arriva come un miracolo”). Ora ci aspetta l’ultimo passo.
Tu Federica desideri tanto un figlio; vogliamo provare, solo per pochi istanti, ad invertire i soggetti di questa frase?
Così… per prova… giusto per ampliare la prospettiva della tua vita.
Pronta Federica?
Tu bimbo/a, desideri tanto una mamma. Ecco: l’abbiamo fatto. Abbiamo invertito i soggetti ed il risultato non cambia: sempre amore è.
Forse da qualche parte, su questa terra, c’è una creatura che aspetta la tua carezza, la tua voce, il tuo abbraccio, la tua protezione.
Forse da qualche parte, nella tua vita, ci sono minuti che attendono di essere riempiti da un amore grande. Anzi: grandissimo.
Ho avuto alunni adottati che mi hanno raccontato le loro storie, facendomi entrare nel loro labirinto di emozioni; so quindi che non basta “desiderare” un bambino e volergli bene, per risolvere tutti i loro problemi.
Spesso si ha a che fare con bambini spaesati, smarriti fin dalla nascita in un mondo senza amore. Separazione, perdita e abbandono li hanno convinti di essere “incompleti” ed “inadatti a meritare amore”. Quel corpo di mamma che calma ogni pianto di neonato a loro è stato negato e tutte le paure del mondo sono lì, nel loro piccolo cuore.
L’amore di un papà e di una mamma non li ha mai toccati e così, nel DNA emotivo di questi cuccioli d’uomo, mancano due mattoni fondamentali: sentirsi amati e sentirsi protetti. Due mattoni indispensabili per crescere come persone autonome e per acquisire sicurezza.
Puoi immaginare quante cicatrici ci sono già, in un così giovane cuore?
Un dolore troppo grande o troppo prolungato nel tempo, nel delicato animo di un bimbo, crea tratti depressivi con sensi di colpa, incapacità a controllare le emozioni, grande fragilità emotiva e profonda sfiducia in sé e negli altri. Per questo non sono rare crisi d’identità, difficoltà nell’apprendimento, manifestazioni fobiche o tendenza all’isolamento.
Forse ti aspettavi parole più incoraggianti, ma non posso parlare di un surplus di amore facendolo passare per una passeggiata tra le nuvole.
Perché questo è.
L’adozione è un surplus di amore che deve traboccare ogni giorno. La parola “scontato”, in un’adozione, non esiste.
Bene Federica, se mi hai seguita fin qui, avrai visto che non ho fatto sconti alle difficoltà che potresti incontrare.  Non ho edulcorato la pillola e non ho nascosto con un rosa romanticona, un cammino che è per animi coraggiosi e in overdose di amore.
Però…però ora ti incoraggerò a non mettere totalmente da parte questo pensiero che, purtroppo, quando non si è pronti, potrebbe essere erroneamente visto come un (bruttissimo termine ma lo scrivo ugualmente) ripiego.
Ho conosciuto genitori adottivi ed affidatari. Ho visti all’opera questi angeli custodi venuti sulla terra con “compiti speciali”. Ho ammirato la loro tenacia e la loro pazienza. Ed infine, a distanza di anni dalla loro adozione, ho ascoltato il loro entusiasmo cresciuto “nonostante tutto”.
Sono storie di paziente e coraggioso amore quotidiano!
Sono esperienze dove l’amore deve tracciare segni e gesti in ogni secondo.
Sono famiglie obese di amore.
A te, carissima Federica, auguro di trovare il modo migliore, per te, di donare amore ad un cucciolo d’uomo.
In campo cristiano, si chiama “vocazione”.
Un abbraccio pieno di bei progetti di vita, all’orizzonte!
P.S. Domenica 15 maggio è morta una grande “mamma per vocazione“. Si chiamava Irene Bertoni ed aveva 93 anni. Nel 1941, quando era una giovane studentessa liceale, scappò di casa per raggiungere don Zeno e fondare, con lui, quella che diventerà la grande “Nomadelfia” (un nome, una promessa, visto che in greco Nomadelfia significa «Dove la fraternità è legge»).
Don Zeno accoglierà, come figli, ragazzi abbandonati e lei farà loro da madre.
Il sacerdote, con l’approvazione del vescovo, le affiderà i più piccoli. Altre giovani donne la seguiranno; saranno le prime “mamme di vocazione”.
L’8 dicembre 1941 Irene si presenterà al vescovo con due figli, dicendogli: «Non sono nati da me, ma è come se li avessi partoriti io». Il presule la benedirà e il giorno di Natale riconoscerà  davanti all’altare questa nuova famiglia.
«Sembra un fatto da poco, ma con Irene nasce nella Chiesa e nel mondo una nuova figura: vergini non consacrate, che rinunciano al matrimonio per accogliere figli abbandonati. Sono le “mamme di vocazione”», fanno notare i responsabili di Nomadelfia.
Dio ha decisamente molta più fantasia di noi, in quanto ai diversi modi con cui si può regalare affetto di madre, qui, sulla terra.
Chi Lo segue, li vede tutti.
***
[Fonte: www.intemirifugio.it]

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ZENIT Staff

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