Sukau Sabah Malaysia Islam Cemetery

Sukau Sabah Malaysia Islam Cemetery - Wikimedia Commons

Malaysia: cresce l’intolleranza religiosa

Dopo l’attentato jihadista del 28 giugno a Puchong, un muftì ha proclamato coloro che non rispettano la Sharia “infedeli degni di essere uccisi”

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Rischia di crollare un’altra roccaforte della tolleranza religiosa tra i paesi a maggioranza islamica. Dopo l’attentato del Daesh avvenuto a Puchong lo scorso 28 giugno, la Malaysia ha vissuto il tradizionale Hari Raya (festa di fine Ramadam) in termini più chiusi ed “identitari” che in passato.
Fino a poco tempo fa, in un clima di più felice convivenza tra le confessioni, le comunità religiose erano solite scambiarsi gli auguri per le rispettive feste.
“Mi ricordo che da giovane insegnante ero invitato a visitare i miei amici musulmani. Era la tradizione. Era un grande onore per loro ricevere un non musulmano. A quell’epoca i nostri rapporti erano molto buoni”, ha testimoniato ad Eglise d’Asie, Ucra James, un insegnante cristiano in pensione.
Un’altra cristiana di nome Jennifer ha raccontato addirittura di musulmani che offrivano la birra a suo padre, in occasione dell’Hari Raya, mentre oggi “sarebbero stati arrestati per questo”.
La re-islamizzazione del paese, favorita dalle politiche del primo ministro Najib Razak, sta andando di pari passo a crescenti episodi di intolleranza e violenza verso le minoranze religiose.
È di alcuni giorni fa il proclama del muftì dello stato di Pahang Abdul Rahman Osman, che ha definito “kafir harbi” (infedele degno di essere ucciso), chiunque non rispetti la Sharia, scatenando le proteste dei cristiani malesi, che hanno parlato di “dichiarazioni incendiarie”, chiedendo un intervento del premier.
L’esecutivo, però, indebolito da accuse di corruzione, continua supinamente ad assecondare tutte le istanze dei fondamentalisti islamici.
La popolazione della Malaysia, che conta oltre 31 milioni di abitanti, è al 61,3% musulmana. Le minoranze religiose più consistenti sono i buddisti (19,8%), i cristiani (9,2%) e gli induisti (6,3%).

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ZENIT Staff

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