Dinnanzi a colui che deride una persona bisogna reagire con fermezza, soprattutto se il fine è quello di screditare e buttare fango, senza alcun rispetto delle elementari norme di convivenza civile. Il silenzio è invece consigliato, quando una quantunque facile parola non sfiori minimamente la propria soggettività. La gente spesso convive con il gusto della derisione; forma verbale e comportamentale velenosa che colpisce, soprattutto, i soggetti più deboli e si nutre della stupidità altrui.
Il progresso sociale ed economico non ha fermato questa “avaria” del cuore umano, ma l’ha solo rivestita con le nuove tecnologie, rendendola più insidiosa e pericolosa. La rete non raccoglie purtroppo solo le cose belle, buone e giuste, ma trascina con sé anche il peggio dell’uomo, con uno spettacolo per nulla edificante e pronto ad avanzare a braccetto con il male più infido. Chi deride l’altro, senza magari conoscerlo in profondità, lo fa spesso per gelosia, per invidia, per debolezza o anche per l’incapacità di comprendere la portata culturale, morale e sociale di colui che ha di fronte.
Il vangelo come sempre soccorre e viene in aiuto, liberando il credente da ogni dubbio, rispetto al comportamento da tenere in qualsiasi situazione si venga a trovare. È leggendo Matteo che emerge il pericolo della derisione e di come essa possa ritardare il compimento di processi positivi e significativi per una comunità. “Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano”. Gesù non reagisce, chiede che tutti vadano fuori.
Non è necessario in questo caso difendersi dinnanzi a tanta stupidità. L’opera che si accinge a compiere parlerà per Lui e per il Padre, più di ogni eloquente discorso. “Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in tutta quella regione”. In altre occasioni il Messia non ha certo evitato di rispondere o di reagire, specie quando qualcuno ha tentato di mettere in discussione la verità della sua missione. Lo ha fatto con autorevolezza suprema collocando “la verità della sua persona sul candelabro della storia in modo che tutti possano essere illuminati dalla sua luce”, così scrive mons. Di Bruno nel suo vangelo del giorno.
Ma il teologo calabrese è ancora più diretto, per chi non volesse comprendere fino in fondo: “Mai Gesù permette che si maligni, si giochi, si insinui la falsità in tutto ciò che in Lui viene da Dio e tutto in Lui, veramente tutto, viene da Dio”. La società attuale dovrebbe fare tesoro di questa lezione di vita e calibrare la sua azione quotidiana, anche se i tentativi continui di deridere il prossimo ci consegnano spaccati sociali, molto deboli e precari, che non aiutano a migliorare le relazioni umane.
La derisione va fermata in due modi, in qualsiasi campo essa si materializzi: Economia; Lavoro; Ricreazione; Famiglia; Relazioni personali o di gruppo; Politica; Religione, ecc. In primo luogo ci sono dei momenti in cui è bene tacere, specie se si ha la possibilità di intervenire con un risultato, immediato o a breve termine, che non permetta di rovinare la propria verità; in secondo luogo emergono situazioni in cui non bisogna avere timore nel mostrare la propria limpidezza d’animo e di pensiero, costi quel costi.
Sembra tutto chiaro, ma quando si guarda intorno è facile imbattersi in un mondo che nei fatti non segue la sapienza della Parola, pur magari credendo nel vangelo e professando la fede. Il tempo attuale è ben attrezzato a confondere le acque e ad offrire soluzioni adatte ad ogni problema personale, senza mettere in discussione la propria coscienza o la morale pubblica. Tutto è possibile. Basta pagare o comunque avallare le tante filosofie di successo che seguono l’uomo in ogni suo desiderio, danneggiando però l’anima e la verità oggettiva, quale unico garante del vero bene comune.
Ma oggi si continua a deridere Gesù? Spesso non è forse deriso anche da noi? Domande serie, dirompenti, poste da don Gesualdo de Luca, lunedì scorso durante la celebrazione della santa messa, nella giornata di Spiritualità del Movimento Apostolico. Quella folla in casa di un capo ai tempi di Gesù non è ancora la stessa? Spesso è così. Il Figlio dell’Uomo continua, purtroppo per il bene del mondo, ad essere ignorato o comunque considerato, come allora, uno dei tanti profeti; un uomo saggio da ascoltare e magari anche da studiare.
Sono passati duemila anni di fede, ma noi siamo veramente capaci di conoscere il Messia nella sua unica verità? No, se si tradisce il prossimo; se non si onora il padre e la madre; se si ammazza invocando il nome di Dio; se si lasciano morire in mezzo alla strada donne, uomini e bambini scappati dall’inferno della guerra; se si amministra nella corruzione; se si tradisce la fiducia di un familiare o di un amico; se non si crede nell’eucaristia; se non si ha l’umiltà di affidarsi al discernimento di un maestro spirituale consacrato al Signore, ecc.
“L’uomo dimentica volentieri,” ricorda ancora mons. Di Bruno, “che tutta la sua esperienza umana, assieme ad ogni esperienza che si vive sulla terra, non è paragonabile neanche ad un puntino infinitesimale di luce che viene dallo Spirito Santo”. Senza questa verità si rischia di cadere nella rete del relativismo e del pressappochismo spirituale che tanti danni sta portando all’umanità intera.
Incontrare Cristo è necessario per l’attuazione di quel rinnovamento che da secoli si continua ad invocare, senza poterlo mai effettivamente sperimentare. È giunto perciò il tempo di distruggere i germi patogeni che infettano l’uomo dal di dentro, partendo da quello più che pericoloso della derisione. Per i batteri esterni Dio ci ha oggi dotati dell’infallibile uso dell’Ozonoterapia; per quelli interni allo spirito non c’è altro bisogno che di una vera e perfetta conoscenza di Suo Figlio Gesù.
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Cristo deriso, Triel-sur-Seine / Wikimedia Commons - GFreihalter, CC BY-SA 3.0
La derisione è un germe patogeno che infetta l’uomo dentro
Il Figlio dell’Uomo continua, purtroppo per il bene del mondo, ad essere ignorato o comunque considerato, come allora, uno dei tanti profeti