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Amoris Laetitia. Schönborn: "Un passo in avanti dal sapore di Vangelo"

L’arcivescovo di Vienna torna sui contenuti dell’esortazione apostolica post-sinodale di Francesco in una lunga intervista con padre Spadaro per ‘La Civiltà Cattolica’

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Un passo in avanti, un atto magisteriale che con “la sua semplicità e il suo sapore di Vangelo” rende ancora più “attuale” l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia, andando ad abbracciare le nuove realtà e le nuove fragilità. È questa la Amoris laetitia, l’esortazione apostolica di Francesco frutto del cammino dei due Sinodi di ottobre 2014 e 2015, secondo il cardinale Christoph Schönborn.
L’arcivescovo di Vienna – che già aveva presentato il documento nella conferenza stampa ufficiale dello scorso 8 aprile e che Bergoglio stesso aveva indicato come il miglior ermeneuta del testo – torna a rifletterne sui contenuti in un’ampia conversazione con il gesuita Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, pubblicata sul numero di oggi del quindicinale.
In particolare il porporato individua nella parola “inclusione” la chiave di lettura dell’esortazione papale che, dice, “supera le categorie di regolare e irregolare”. Anzi essa volge lo sguardo proprio a quelle situazioni ‘imperfette’ e ‘difettose’ delle famiglie, parlando con misericordia e cercando di condurre ad una “pastorale positiva”, tesa ad “esporre la dottrina in maniera dolce”. Dolce perché fortemente connessa “alle motivazioni profonde delle donne e degli uomini” di oggi.
In questo senso, secondo Schönborn, Amoris laetitia “è un passo importante che ci obbliga a chiarire qualcosa che era rimasto implicito nella Familiaris consortio”. Essa “è il grande testo di morale che aspettavamo dai tempi del Concilio e che sviluppa le scelte già compiute dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dalla Veritatis Splendor” di Giovanni Paolo II. “La grande sfida del Papa – afferma Schönborn – è proprio quella di dimostrare che questo sguardo capace di apprezzare, permeato di benevolenza e di fiducia, non nuoce affatto alla forza della dottrina, ma fa parte della sua colonna vertebrale”.
Papa Francesco percepisce infatti “la dottrina come l’oggi della Parola di Dio, Verbo incarnato nella nostra storia, e la comunica ascoltando le domande che si pongono nel cammino”. Egli, in Amoris laetitia, esercita “il suo ruolo di pastore, di maestro e di dottore della fede”, andando a stilare “un documento pontificio di grande qualità, di un’autentica lezione di sacra doctrina, che ci riconduce all’attualità della Parola di Dio”.
Ribadendo che l’esortazione apostolica “non rinuncia all’ideale o al patrimonio dottrinale”, il cardinale domenicano, su impulso delle domande di Spadaro, risponde poi alle critiche giunte puntuali e numerose al testo. Tra coloro che lo considerano un “documento minore”, chi ne individua la mancanza di un “pieno valore magisteriale” e chi ritiene che esso scada “nell’etica della situazione”, quindi in una “gradualità della legge”.
Tutte chiacchiere, secondo il porporato, che intravede invece tra le pagine del documento un “percorso di crescita”. “Dietro a una chiara oggettività del bene e della verità, l’Esortazione evidenzia il progresso nella conoscenza e nell’impegno a compere il bene dell’uomo in via”, afferma. E aggiunge: “Sussistono fattori che possono spiegare che è possibile non essere soggettivamente colpevoli, se non rispettiamo oggettivamente una norma”.
In ogni caso, tutti “siamo soggetti al peccato e tutti abbiamo bisogno della misericordia”. Non è questa una forma di “relativismo”, precisa Schönborn, anche perché il Papa è “molto chiaro sulla realtà del peccato”; è solo che la Amoris Laetitia va “al di là” di ogni prospettiva” e guarda al Vangelo per metterlo in pratica.
Si rigetta, cioè, uno “sguardo di ripiegamento su enunciazioni astratte, separate dal soggetto che vive testimoniando l’incontro con il Signore che cambia la vita”. Tale sguardo “astratto” e “di tipo dottrinario”, ammonisce il Pontefice nel documento, “addomestica alcune enunciazioni per imporre la loro generalizzazione a una élite, dimenticando che chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio, come disse Benedetto XVI nella Deus caritas est”.
In quest’ottica va analizzata anche la posizione del Pontefice sulla bagarre emersa nei due Sinodi sull’accesso ai Sacramenti dei divorziati risposati. La Amoris Laetitia, spiega il porporato austriaco, non si limita a ribadire una legge ma scende “a livello molto concreto della vita di ognuno”. Perché “un soggetto, pur conoscendo bene la norma può avere grande difficoltà nel comprendere valori insiti nella norma morale o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente”.
Questo è il legame con la Familiaris Consortio, in cui Wojtyla “distingueva alcune situazioni” e “apriva la porta a una comprensione più ampia passando per il discernimento delle differenti situazioni che non sono oggettivamente identiche, e grazie alla considerazione del foro interno”. “Per lui – sottolinea l’arcivescovo di Vienna – c’è differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati ingiustamente, e coloro che invece hanno distrutto con colpa grave un matrimonio canonicamente valido”. Poi c’è chi ha “contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli”, e talvolta è soggettivamente certo “in coscienza” che “il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”. “Ognuno di questi casi, dunque, costituisce l’oggetto di una validazione morale differenziata”, affermava il Papa polacco, evidenziando che “sono tanti punti di partenza differenti in una partecipazione sempre più profonda alla vita della Chiesa, alla quale tutti sono chiamati”.
Pertanto, se già Giovanni Paolo II presupponeva “in modo implicito che non si possa dire semplicemente che ogni situazione di un divorziato risposato sia l’equivalente di una vita nel peccato mortale separata dalla comunione d’amore tra Cristo e la Chiesa”, Bergoglio fa un ulteriore passo in avanti senza però cadere “nella casistica astratta”, come invece auspicato da alcuni che avrebbero preferito che il Papa redigesse una sorta di “inventario”. In quel modo, ammonisce Schönborn, si creerebbe “un diritto a ricevere l’Eucaristia in situazione oggettiva di peccato”.
Il Papa regnante, invece, ci mette “di fronte all’obbligo per amore della verità, di discernere i casi singoli in foro interno come in foro esterno”. Richiama cioè la coscienza che assume dunque “un ruolo fondamentale”. E fa appello anche alla misericordia, caposaldo dell’esortazione apostolica come di tutto il suo pontificato, per spingere ad “uscire da noi stessi” e andare incontro agli altri e incontrare Cristo.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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