La Nona Sinfonia di Beethoven: un inno alla fratellanza universale

Il capolavoro del compositore tedesco al centro del terzo e ultimo incontro delle Letture teologiche, promosso dalla Diocesi di Roma

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Considerata da molti la più grande composizione musicale della storia, capolavoro immortale del genio di Ludwig Van Beethoven, la Nona Sinfonia è stata l’argomento del terzo e ultimo appuntamento delle Letture teologiche, la misericordia nel’arte, incontro organizzato dalla Diocesi di Roma nell’Aula della Conciliazione del Palazzo del Laterano.
Hanno partecipato all’evento monsignor Marco Frisina, presidente della Commissione diocesana d’Arte sacra, il maestro Michele Dall’Ongaro, sovrintendente dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, e il rettore dell’Università Sapienza Eugenio Gaudio. Il dibattito è stato presieduto dal professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, con saluti finali del cardinale Agostino Vallini, vicario generale del Santo Padre per la Diocesi di Roma.
Nel suo intervento monsignor Frisina ha ricordato come Beethoven abbia composto la sua nona e ultima sinfonia quando era ormai completamente sordo e questo, invece di essere un ostacolo, “ha dato un tocco particolare di dolcezza e forza a questa come a tutte le opere della fase finale della sua vita”.
Il prelato ha poi parlato della parte cantata della sinfonia il cui testo, tratto dall’Inno alla gioia del drammaturgo tedesco Friedrich Schiller, “rappresenta il testamento spirituale del compositore rivolto a un mondo che deve ritrovare la sua anima, un messaggio all’umanità, un invito alla fratellanza universale”.
“Il significato profondo – ha concluso Frisina – della Nona sinfonia, e in particolare dell’Inno alla gioia, è ancora attualissimo in un mondo come il nostro così diviso da odio e guerra ed è in linea con lo spirito del Giubileo straordinario della misericordia voluto da Papa Francesco”.
“La musica della Nona sinfonia e la poesia di Schiller – ha dichiarato Dall’Ongaro – erano opere innovative e rivolte ai giovani. Schiller avrebbe voluto usare la parola libertà, ma ha scelto gioia per aggirare la censura imperiale. Il significato però è lo stesso perché non c’è libertà senza gioia né gioia senza libertà. Questa musica e questo testo sono ancora oggi vivi e vitali”.
Il maestro ha poi fatto ascoltare e commentato alcune parti della sinfonia, sottolineando l’intensità, la varietà e la novità della composizione. Si è soffermato in particolare sul ruolo dell’orchestra “che quasi parla e dialoga con le altre parti strumentali”.
“Beethoven – ha spiegato Dall’Ongaro – prende cose già fatte da altri e le rielabora, inventandone contemporaneamente delle altre. Tutti i compositori successivi partono, in un certo senso, già sconfitti perché non possono che ispirarsi a lui”.
Anche il maestro ha evidenziato il messaggio di pace della sinfonia che, a suo giudizio, si manifesta soprattutto in quella parte in cui la melodia dell’Inno alla gioia viene ripetuta in uno stile che richiama le musiche turche e orientali.
“I Turchi – ha sottolineato Dall’Ongaro – hanno assediato Vienna per ben due volte e quindi rappresentavano il nemico per eccellenza. Beethoven invece ci dice che anche loro possono suonare l’Inno alla gioia ed essere quindi nostri fratelli in nome di una pace universale”.
“Il mio nome e la parola gioia sono sinonimi e quindi non potevo esimermi dal partecipare a questo incontro”, ha dichiarato scherzando Eugenio Gaudio all’inizio del proprio intervento. Il rettore della Sapienza ha definito la Nona di Beethoven “un capolavoro epocale che ha cambiato per sempre la musica, un’opera con cui la sinfonia esce dalle corti imperiali e reali per aprirsi al mondo e rinnovarsi ogni volta”. A suo giudizio, nell’Inno di Schiller si parla di una gioia “in senso giusnaturalista, come adempimento finale e ideale dell’umanità”.
Beethoven è stato indubbiamente un autore cristiano, ma ha vissuto la sua religiosità in modo particolare, imbevendola di idee illuministe. Da questa premessa, secondo Gaudio, deriva l’idea del compositore tedesco di “un Dio padre amorevole in cui tutti gli uomini possano riconoscersi come fratelli”.
Qualcosa di molto diverso “dall’approccio titanico del primo Beethoven in cui prevaleva una visione ostile del mondo e della natura la cui bellezza è invece esaltata nelle ultime opere come simbolo dell’amore divino verso l’umanità”. Scelta giustissima quindi, secondo il rettore della Sapienza, quella della musica, senza parole, dell’Inno alla gioia come inno dell’Unione europea.
L’esecuzione dell’Inno alla gioia di un gruppo di allievi musicisti e coristi dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia ha chiuso un incontro in cui l’intensità e la genialità della musica di Beethoven si sono unite alla bellezza di un luogo così importante storicamente come l’Aula della Conciliazione per lanciare un messaggio di pace attraverso una delle forme di comunicazione migliori che ci siano: l’arte.
 

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Alessandro de Vecchi

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