Prima e durante il secondo conflitto mondiale, Palatucci avrebbe dovuto contrastare gli ebrei che fuggivano dalla Croazia e dai Paesi dell’Est occupati dai nazisti. In realtà li nascondeva, li proteggeva, gli procurava permessi di soggiorno per instradarli poi verso la Svizzera o Israele, che allora era sotto il protettorato inglese.
Con l’aiuto di fidati collaboratori, in collegamento con i Vescovi e i sacerdoti vicini, Palatucci creò una rete che si calcola aver salvato dalla persecuzione più di 5mila ebrei. Una gran parte degli ebrei Palatuccci li inviava nei campi profughi italiani ed in particolare in quello di Campagna, in provincia di Salerno, dove lo zio Vescovo li proteggeva e li salvava, nascondendoli presso famiglie, chiese, conventi e comunità religiose.
Per sostenere la rete di salvataggio monsignor Giuseppe Maria Palatucci aveva stretto contatti con la Segreteria di Stato vaticana, e su precisa disposizione di Papa Pio XII e attraverso monsignor Giovan Battista Montini ricevette sovvenzioni nell’ordine di 3mila lire, 10mila lire, 5mila lire e di nuovo 3mila lire nei giorni 2 ottobre e 29 novembre del 1940. Primo maggio e 22 maggio del 1942.
A chi chiedeva perché fosse così prodigo rischiando la vita, Palatucci rispose “Vogliono farci credere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano”. Per questa sua attività Palatucci venne arrestato dai nazisti e internato il 22 ottobre 1944 nel campo di concentramento di Dachau con il numero 117826. Lì morì di stenti il 10 febbraio 1945, 78 giorni prima della liberazione del campo.
Nonostante le innumerevoli testimonianze di ebrei l’opera di Palatucci e di suo zio sono state messe in discussione. Per cercare di fare chiarezza sull’intera vicenda il giornalista e scrittore Giovanni Preziosi, condirettore della della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo Christianitas, ha appena pubblicato il libro “La rete segreta di Palatucci: I fatti, i retroscena, le testimonianze e i documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”. ZENIT lo ha intervistato.
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Chi era Giovanni Palatucci?
Questa è una domanda legittima che sorge spontanea soprattutto dopo il vespaio di polemiche, sollevate qualche anno fa dal Primo Levi Center di New York e ripreso dai maggiori organi d’informazione internazionali. Chi era, veramente Giovanni Palatucci? Un eroe, un “Giusto” o un collaboratore dei nazisti? Un fedele esecutore degli ordini superiori per perseguitare gli ebrei, o più semplicemente un uomo che, constatando la perfidia dei nazifascisti che si consumava quotidianamente sotto i suoi occhi ai danni di tante persone innocenti, che avevano la sola “colpa” di appartenere ad una razza diversa, pur nel timore di essere scoperto, non riuscì a restare indifferente e cercò, per quanto gli era possibile, di impedire questo scempio mettendo a repentaglio finanche la sua vita? Nonostante Palatucci avesse avuto in più di un’occasione la possibilità di mettersi in salvo, non lo fece perché, la sua coscienza glielo impediva e, consapevole del grave rischio a cui andava incontro preferì restare al suo posto per e non lasciare in balia del destino tante persone che correvano ancora seri pericoli. Purtroppo, seppure siano vaste e dettagliate le testimonianze ebraiche a favore di Palatucci c’è chi solleva velenosi dubbi e sospetti per gettare qualche ombra sulla limpida figura dell’ex Questore di Fiume.
Perché Lo Yad Vashem ha nominato Giovanni Palatucci come Giusto tra le Nazioni?
Fin dagli anni sessanta, in ambienti ebraici e non in quelli cattolici, veniva asserito, senza tema di smentita, che Palatucci andava considerato un uomo “Giusto” proprio perché “durante il periodo dell’olocausto in Europa rischiò la sua vita per salvare gli ebrei perseguitati”. Questa tesi, è suffragata anche da una lettera che l’ambasciatore israeliano in Italia, Eliahu Sasson, fece pervenire al padre di Giovanni Palatucci il 23 settembre 1953. Nella lettera Sasson ha scritto: “certamente non bastano le nostre modeste parole per dirle quale sia il sentimento e quale la gratitudine di tanti ebrei che sono stati salvati per l’eroico sacrificio di Suo Figlio. Sulle tragedie della nostra storia di tanti anni splende il ricordo di Suo Figlio e della sua impareggiabile opera”. In una lettera inviata al direttore de La Stampa, il 3 aprile 1961, il Presidente dell’Unione delle Comunità israelitiche italiane, Sergio Piperno, ha sostenuto che: “Non solo per merito dell’ispettore Lospinoso potrà essere fatto ed essere ascoltato, non con vergogna, ma con legittimo orgoglio, il nome dell’Italia e del suo popolo generoso nel processo Eichmann. Al nome di Lospinoso si deve aggiungere quello del commissario di P.S. Giovanni Palatucci di Trieste [rectius, Fiume], che immolò la sua giovane vita nel campo di concentramento per aver salvato gli ebrei della Venezia Giulia e delle zone di confine”.
Perché la Chiesa cattolica lo ha riconosciuto come Servo di Dio?
La Chiesa Cattolica Il 9 ottobre 2002 si è concluso il processo di beatificazione del Servo di Dio Giovanni Palatucci che lo ha riconosciuto “Venerabile”, mentre il processo di canonizzazione è ancora in corso. Qualche anno prima, in occasione della cerimonia ecumenica Giubilare del 7 maggio 2000, Giovanni Paolo II aveva annoverato Palatucci tra i martiri del XX Secolo, proprio perché sacrificò la propria vita restando fedele fino all’ultimo ai suoi ideali di umanità e giustizia che scaturivano proprio dalla sua profonda fede religiosa alla quale si era formato fin dall’infanzia nel suo ambiente familiare che annoverava ben due zii sacerdoti. In merito alla religiosità di Palatucci ciò che posso certamente affermare è quanto mi raccontava un signore di una certa età vissuto a Fiume il quale asseriva che l’ex questore di Fiume era un assiduo frequentatore di una parrocchia francescana poco distante dalla sua abitazione in via Pomerio. Qui si recava ogni mattina per partecipare alla S. Messa. Pare che Palatucci fosse in ottimi rapporti con il vescovo di Fiume, mons. Ugo Camozzo, come si evince chiaramente in una lettera inviata l’11 luglio 1945 allo zio dell’ex questore, mons. Giuseppe Maria Palatucci. Ha scritto mons. Camozzo: “il buon Dr. Palatucci è stato internato, perché vittima del suo buon cuore per cui non mancava di aiutare quanti poteva, specialmente gli oppressi da leggi razziali”.
Perchè la Repubblica Italiana lo ha premiato con la Medaglia d’oro al merito civile?
Dopo aver ricevuto, il 17 aprile 1955, la Medaglia d’Oro alla memoria dall’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia perché “tanto operò in favore degli ebrei e di altri perseguitati, che venne arrestato dai nazisti nel settembre 1944 e deportato in Germania”, a distanza di ben 40 anni, il 15 maggio 1995, anche la Repubblica italiana ha conferito a Palatucci la Medaglia d’oro al merito civile perché in qualità di “reggente la Questura di Fiume, si prodigava in aiuto di migliaia di ebrei e di cittadini perseguitati, riuscendo ad impedirne l’arresto e la deportazione. Fedele all’impegno assunto e pur consapevole dei gravissimi rischi personali continuava, malgrado l’occupazione tedesca e le incalzanti incursioni dei partigiani slavi, la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all’arresto da parte della Gestapo e alla sua deportazione in un campo di sterminio, dove sacrificava la giovane vita”.
Nel 2013 il Centro Primo Levi ha avanzato dubbi sulla figura di Giovanni Palatucci e sulla sua storia. Qual è il suo parere in proposito?
Ho letto con comprensibile sconcerto le conclusioni, a cui sono pervenuti gli studiosi d’oltreoceano. I maggiori mass-media internazionali hanno parlato di scoperte sensazionali, anche se mi è parso di ravvisare qualche incongruenza di troppo tale da far ritenere che questa imponente campagna mediatica, perseguisse un disegno ideologico piuttosto che storico. L’asprezza dei toni inspiegabilmente esacerbati, infatti, lascia presagire il vago sospetto che, in realtà, l’obiettivo principale era un altro; in buona sostanza si cerca di demolire la figura di Palatucci per colpire, invece, con allusioni più o meno dissimulate, il pontificato di Pio XII e di quel cliché degli italiani brava gente, di cui Palatucci a loro avviso sarebbe un simbolo. Dal momento in cui incominciava a profilarsi il processo di beatificazione dell’ex questore reggente di Fiume subito è scattata una invereconda macchina del fango. Pensi che qualche anno fa, qualcuno si è spinto fino al punto da insinuare che Palatucci, essendo incline alla corruzione che regnava presso la questura fiumana, si era prestato ad aiutare gli ebrei – come la famiglia di Carl Selan – soltanto perché sapeva molto bene che erano facoltosi ed avrebbe potuto avere in cambio una lauta ricompensa. Inoltre si è sostenuto che Palatucci non fosse indifferente al fascino delle giovani ebree Maria Eisler e della moglie dello stesso Carl Selan, Lotte Eisner. In tal modo, più o meno velatamente, si lascia intendere che la loro sorte sarebbe stata ben altra se costoro non avessero avuto la fortuna di essere così avvenenti e con i mezzi economici necessari per corrompere i funzionari della questura fiumana in cambio del loro aiuto. Inoltre, è stato perfino adombrato il sospetto che Palatucci, essendo molto ambizioso, pur di far carriera, si sia lasciato coinvolgere dai suoi superiori in loschi traffici. Strano però che un individuo “corrotto” e dedito ai facili guadagni, nell’estate del 1940, fu costretto a chiedere la cessione del quinto dello stipendio e vari prestiti ai suoi genitori, come si evince in modo incontrovertibile dalla lettera che il giovane funzionario della questura fiumana scrisse il 28 febbraio 1943 per ringraziarli “della somma inviata”. In realtà, basterebbe richiamare alla mente la testimonianza resa nel lontano 1988 da Elena Ashkenazy Dafner, per fugare ogni dubbio al riguardo dell’onestà di Palatucci. La Ashkenazy Dafner ha dciharato che Palatucci: “ad ogni incontro si rivelava un vero gentiluomo: era gentile, affabile, premuroso e comprensivo. Volevo ricambiare in qualche modo le sue gentilezze e gli volli fare un omaggio. Scelsi le più belle camicie ed altri capi di vestiario, così ricercati in quel periodo e gli portai il pacchetto. Rifiutò con decisione di accettare, sorpreso che il suo aiuto dovesse essere ricambiato in qualche modo”.
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La rete segreta di Palatucci
I fatti, i retroscena, le testimonianze e i documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti