Birkenau

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"Fare memoria della Shoah, un vaccino contro ogni forma di discriminazione"

Intervista al vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruben Della Rocca, in occasione della Giornata della Memoria

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Ruben Della Rocca è vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma e vicepresidente della organizzazione Benè Berith. Due incarichi illustri, ma prima di questi Ruben è anzitutto un “nipote della Shoah”, uno di quei bambini che, seppur indirettamente, ha vissuto il dramma dell’Olocausto che gli ha impedito di crescere insieme al suo nonno e ai suoi zii, tutti sterminati nei campi di concentramento dalla follia nazista.

Un orrore che Ruben ha compreso “a piccole dosi”, come racconta in un’intervista a ZENIT in occasione della Giornata della Memoria. “Nella mia famiglia parlare di quanto accaduto a mio nonno ed ai suoi fratelli, uccisi dai nazisti nel lager di Birkenau non è stato facile”, spiega; i racconti drammatici delle deportazioni dal ghetto, dei trasporti in carri bestiame fino ai campi di sterminio, degli stenti, delle persecuzioni, delle torture subite sono arrivati poco alla volta.

“A piccole dosi”, appunto, “piccole porzioni scoperte negli anni con dolore e difficoltà nell’essere esternati ed essere recepiti. Perché certe atrocità sono “troppo grandi da comprendere a fondo e non  del tutto metabolizzate”. Ancora oggi, infatti, dopo oltre 70 anni, “non è assolutamente semplice tramandare queste atrocità a ragazzi e bambini”. In ogni caso, spiega Della Rocca, “si cerca di non insinuare nel cuore delle generazioni più giovani una ‘cultura dell’odio’ nei confronti di chi quelle atrocità le ha perpetrate, a partire dai nazisti e proseguendo con quanti, nei vari paesi europei, collaborarono con loro. Come i fascisti in Italia”.

Certo, alcuni traumi non si dimenticano e “sono entrati nel Dna delle generazioni”. Per questo – dice – la Comunità ebraica di Roma, come pure quella mondiale, vive questa Giornata della Memoria con gli stessi sentimenti di ogni giorno “perché nelle nostre case, nelle nostre scuole, nel corso delle nostre attività culturali, memoria e ricordo vengono vissuti quotidianamente”.

“In tal senso – prosegue – gli eventi ai quali presenziamo sono vissuti con partecipazione ed attenzione, con la consapevolezza che ogni momento è valido e che deve essere affrontato con passione e coscienza di quanto è accaduto negli anni folli della Seconda Guerra mondiale, affinché ’si faccia memoria’ ed essa diventi un monito per le generazioni del futuro”.

“Fare memoria della Shoah – rimarca infatti il vicepresidente della CER – è il vaccino che crea gli anticorpi affinché ogni discriminazione di qualsiasi natura venga combattuta con le armi del pensiero e della cultura”. Ed è anche “un dovere che assolviamo nei confronti dei milioni di persone sterminate dai nazisti e dei sopravvissuti alle atrocità dei campi di concentramento”.

“Posso garantire – racconta – che andare a visitare un campo di sterminio e quanto ne rimane, vedere con i propri occhi ed ascoltare li sul posto i ricordi dei sopravvissuti, di chi ha subito in prima persona il più grande dramma dell’umanità, è una esperienza educativa e sconvolgente ma necessaria per comprendere quanto più possibile”.

E se comprendere forse è impossibile, come diceva Primo Levi, almeno è necessario conoscere per far sì che mai e poi mai questo orrore si ripeta. Un auspicio, questo espresso, anche da Papa Francesco durante la visita di domenica scorsa nella Sinagoga di Roma. Una visita che, secondo Della Rocca, “è stata priva delle banalità o degli schematismi di certe visite ‘ufficiali’”. “Non a caso uno dei momenti più toccanti dell’incontro di Papa Francesco con la nostra comunità è stato proprio il momento in cui si è intrattenuto con i sopravvissuti alla Shoah. Un momento intenso e denso di significati…”.

“Innegabilmente – soggiunge il vicepresidente della Comunità ebraica di Roma – ci aspettiamo qualcosa di più dal Papa su Israele e sulla difesa delle sue ragioni e della sua esistenza, soprattutto nei momenti in cui il terrorismo palestinese (mai definito come tale ma trovando sempre sinonimi che lo descrivono in forma vaga e generica) imperversa come purtroppo sta accadendo negli ultimi mesi ormai quotidianamente, attraverso attentati di varia natura”.

Tuttavia, “molto si è fatto in questi anni”, specie per il cammino del dialogo. “Molto, però, è ancora da fare, nel rispetto delle diversità come evocato dal nostro Rabbino Capo Riccardo Di Segni partendo dalla consapevolezza di quanto possa accomunare le due fedi ed allo stesso tempo di come le differenze possano rappresentare un momento di accrescimento reciproco piuttosto che di divisione”.

Sempre il Papa, ma anche lo stesso Di Segni, hanno individuato infatti sfide comuni che ebrei e cattolici possono e devono affrontare insieme. Una su tutte, quella del terrorismo estremista che ha messo in ginocchio intere regioni dell’Africa e del Medio Oriente e che mina ai sani equilibri interreligiosi instaurati nel corso del tempo. “Noi ebrei – dice Ruben Della Rocca – non abbiamo esitato a condannare il terrorismo e le violenze perpetrate nei confronti delle popolazioni cristiane del mondo. Non a caso è stata proprio la Comunità ebraica di Roma la prima a scendere in campo e sensibilizzare l’opinione pubblica spegnendo le luci del Colosseo qui a Roma per solidarietà con le comunità cristiane colpite in centro Africa. Abbiamo anche promosso altre iniziative, spesso in collaborazione con gli amici della comunità di San Egidio con i quali da anni condividiamo progetti e momenti di aggregazione”.

Perché oltre a non dimenticare, non bisogna neppure restare indifferenti di fronte ad un fratello che soffre.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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