Alla fine i primati delle 38 Province anglicane riuniti a Canterbury dall’arcivescovo Justin Welby hanno deciso di “sospendere” per un periodo di tre anni la Chiesa episcopale statunitense (Tec), la branca della Chiesa anglicana degli Usa, che nel 2003 ha ordinato il suo primo vescovo dichiaratamente gay, Gene Robison.
Lo si apprende da un comunicato finale – ripreso dall’agenzia Sir – che è stato diffuso ieri sera, prima della conferenza stampa di oggi, in cui sono stati annunciati cinque giorni di lavoro intenso a porte chiuse. Il documento era trapelato e così i primati hanno deciso di pubblicarlo integralmente in anticipo per evitare “speculazioni”.
In esso i primati anglicani sottolineano che i recenti sviluppi nella Chiesa episcopale rispetto ad un cambiamento nel loro canone sul matrimonio rappresenta un fondamentale allontanamento dalla fede e dall’insegnamento seguito dalla maggioranza delle nostre Province sulla dottrina del matrimonio”. Pertanto ribadiscono che, alla luce dell’insegnamento della Scrittura, la Chiesa “sostiene il matrimonio come una unione fedele per tutta la vita tra un uomo e una donna”.
E aggiungono: rompere autonomamente con questo insegnamento è considerato da “molti di noi” come “un allontanamento dalla responsabilità reciproca e dalla interdipendenza implicita” che esiste nella Comunione anglicana. Da qui la decisione di sospendere la Chiesa episcopale per un periodo di tre anni.
In concreto, la Chiesa statunitense non può più rappresentare la Comunione anglicana negli organismi ecumenici e interreligiosi; i loro membri non possono essere nominati o eletti ad un Comitato interno permanente e durante la partecipazione ad incontri della Comunione anglicana, non possono prendere parte al processo decisionale. Decisione, quest’ultima, significativa, visto che nel 2018 è prevista la Lambeth Conference. È stata infine decisa anche la costituzione di un gruppo di lavoro per ristabilire i rapporti e la fiducia reciproca tra le Chiese.
Commentando la vicenda ai microfoni della Radio Vaticana, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha affermato: “Sono contento che non si sia arrivati a una scissione ma solo a una sospensione temporanea. Spero che questo tempo possa essere utilizzato per ritrovare una più profonda unità nella Comunione anglicana: infatti, in questa epoca ecumenica in cui siamo tutti alla ricerca di unità, ogni nuova separazione rappresenta un grosso pericolo e una grande sfida”.
“Credo che noi proseguiremo nel nostro dialogo – ha aggiunto il porporato – visto che gli argomenti principali di questo dialogo riguardano appunto le stesse questioni, cioè da un lato i rapporti tra Chiesa locale e Chiesa universale e dall’altro come trovare una maggiore unità nel trattare le differenze etiche: questi sono gli argomenti principali del nostro dialogo che ora sono diventati visibili nella Comunione anglicana. Sarebbe bello se il dialogo tra noi riuscisse a essere d’aiuto alla comunità anglicana, perché ritrovi la sua unità”.
Lo si apprende da un comunicato finale – ripreso dall’agenzia Sir – che è stato diffuso ieri sera, prima della conferenza stampa di oggi, in cui sono stati annunciati cinque giorni di lavoro intenso a porte chiuse. Il documento era trapelato e così i primati hanno deciso di pubblicarlo integralmente in anticipo per evitare “speculazioni”.
In esso i primati anglicani sottolineano che i recenti sviluppi nella Chiesa episcopale rispetto ad un cambiamento nel loro canone sul matrimonio rappresenta un fondamentale allontanamento dalla fede e dall’insegnamento seguito dalla maggioranza delle nostre Province sulla dottrina del matrimonio”. Pertanto ribadiscono che, alla luce dell’insegnamento della Scrittura, la Chiesa “sostiene il matrimonio come una unione fedele per tutta la vita tra un uomo e una donna”.
E aggiungono: rompere autonomamente con questo insegnamento è considerato da “molti di noi” come “un allontanamento dalla responsabilità reciproca e dalla interdipendenza implicita” che esiste nella Comunione anglicana. Da qui la decisione di sospendere la Chiesa episcopale per un periodo di tre anni.
In concreto, la Chiesa statunitense non può più rappresentare la Comunione anglicana negli organismi ecumenici e interreligiosi; i loro membri non possono essere nominati o eletti ad un Comitato interno permanente e durante la partecipazione ad incontri della Comunione anglicana, non possono prendere parte al processo decisionale. Decisione, quest’ultima, significativa, visto che nel 2018 è prevista la Lambeth Conference. È stata infine decisa anche la costituzione di un gruppo di lavoro per ristabilire i rapporti e la fiducia reciproca tra le Chiese.
Commentando la vicenda ai microfoni della Radio Vaticana, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha affermato: “Sono contento che non si sia arrivati a una scissione ma solo a una sospensione temporanea. Spero che questo tempo possa essere utilizzato per ritrovare una più profonda unità nella Comunione anglicana: infatti, in questa epoca ecumenica in cui siamo tutti alla ricerca di unità, ogni nuova separazione rappresenta un grosso pericolo e una grande sfida”.
“Credo che noi proseguiremo nel nostro dialogo – ha aggiunto il porporato – visto che gli argomenti principali di questo dialogo riguardano appunto le stesse questioni, cioè da un lato i rapporti tra Chiesa locale e Chiesa universale e dall’altro come trovare una maggiore unità nel trattare le differenze etiche: questi sono gli argomenti principali del nostro dialogo che ora sono diventati visibili nella Comunione anglicana. Sarebbe bello se il dialogo tra noi riuscisse a essere d’aiuto alla comunità anglicana, perché ritrovi la sua unità”.