In questi giorni sarà discusso in parlamento il disegno di legge che prevede le unioni civili anche nel nostro Paese e che nel suo sottotitolo chiarisce cosa andrà a legittimare: Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.
Siamo di fronte necessariamente ad un voto di coscienza. Il provvedimento riguarda un tema sensibile e tra l’altro non rientra negli accordi di programma del governo attuale. La sfida è quindi tutta parlamentare ed interessa gli italiani, credenti e non, che hanno a cuore le sorti della famiglia nel nostro Paese.
Da cattolici, coscienti del sano miglioramento che solo “l’uomo nuovo nel vangelo” può portare nella società in cui vive, non possiamo non farci sentire rispetto al tema in discussione.
Non un atto autoreferenziale, ma ispirato al naturale atteggiamento della Chiesa, così come esplicitato nella Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto, del 28 marzo 2007. Posizione chiara più volte ripresa, in questi ultimi periodi, dal segretario nazionale della Conferenza Episcopale Italiana, Mons. Nunzio Galantino.
Esprimere un punto di vista per un credente non significa criminalizzare chi la pensi in tutt’altro modo ma sicuramente impegnarsi nel dare indicazioni concrete nell’attualizzazione storica dei principi universali della Parola, in questo caso a tutela della famiglia.
Un’azione di riflesso sociale e giuridica per la salvaguardia non certo di un partito politico o di una organizzazione religiosa, ma della dignità dell’essere umano, credente o meno che sia. La famiglia che prende forma dall’unione tra un uomo e una donna, per un cattolico, secondo un principio naturale inconvertibile, è al centro della vita di una comunità e ne rappresenta l’essenza primaria, capace da sempre di equilibrare qualsiasi controversia sociale, regolandone le funzioni pubbliche e private. Ben venga allora la manifestazione di popolo a Roma, in difesa della famiglia che rischia di essere sotterrata da un DDL.
Condivido appieno il pensiero di mons. Galantino, quando afferma che non si tratta di demolire il DDL Cirinnà, in discussione a fine mese in Parlamento, ma di compiere ogni sforzo per difendere la famiglia naturale, a garanzia del benessere generale, pur comprendendo che la complessità dei tempi necessitano di un’ attenzione e risposte concrete a diritti individuali di “nuova generazione”. Una battaglia quindi non di vecchio stampo; né una nuova crociata, ma un impegno di alto profilo, teso non a far passare una posizione rispetto ad un’altra, ma ad organizzare le migliori sensibilità presente nel Paese e nel Parlamento, per evitare che la società possa distruggere quell’equilibrio sociale che ha retto il mondo, in ogni suo passaggio storico.
Si può e si deve sicuramente affermare che anche per la società l’esistenza della famiglia è quindi una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società, perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile. La Dottrina Sociale della Chiesa detta in proposito dei principi fondamentali, da cui è veramente insensato uscirne, a meno che non si voglia trasformare ogni sorta di nuova volontà personale e comunitaria, sulla natura umana, in progetto giuridico e legislativo ed ogni verità oggettiva in “discutibile” verità soggettiva.
Al punto 213 del cap. V della DSC leggiamo: “La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società”. Al 214 si specifica come la famiglia soggetto titolare di diritti inviolabili, trovi legittimazione nella natura umana e non nel riconoscimento dello Stato. “Va affermata la priorità della famiglia rispetto alla società e allo Stato”. Il punto 216 affonda invece le sue radici nel cuore universale del vangelo e non nell’intuizione di questa o quell’altra ideologia o teoria affascinante.
In esso si esprime una verità che deve necessariamente indurre ognuno, in parlamento e nella collettività, a riflettere con saggezza, prima di svuotare di significato l’istituto della famiglia e con essa il matrimonio tra uomo e donna. “Nessun potere può abolire il diritto naturale al matrimonio, né modificare i caratteri e la finalità. Il matrimonio, infatti, è dotato di caratteristiche, originarie e permanenti”. Tutto questo anche a garanzia della prole, senz’altro l’anello più debole, che rischia di perdere il sacro diritto di avere una famiglia con un padre e una madre e di trasformarsi nel frutto di un diritto al figlio, in ogni caso!
Così Mons. Galantino: “Ho l’impressione che la nostra società e le soluzioni che attraversano la proposta di legge siano ‘adultocentriche’: il “diritto” al figlio, la pretesa in alcuni casi di volerne determinare le fattezze fisiche e le qualità interiori mi sembrano pratiche eugenetiche, non molto lontane da quelle universalmente condannate nel secolo scorso e che portavano un nome tristemente noto”. Il segretario della CEI si augura perciò che siano i parlamentari e pezzi di società a prendere delle valide iniziative, attraverso la loro autonoma convinzione sul valore della famiglia e della tutela dei figli e nella libertà personale, religiosi o laici, decidano in che modo manifestare democraticamente la propria posizione.
In piena sintonia con il messaggio profetico della Chiesa e con le dichiarazioni di Mons. Galantino, il teologo calabrese e fine studioso delle Sacre Scritture, Mons. Costantino Di Bruno, sintetizza così il cuore del dibattito attuale: “Si deve essere chiari su cosa si intende per unioni civili. Se si intende unione tra uomo e donna, appartiene all’ordine della natura. La Chiesa non ha nulla da dire. La Chiesa è per la natura, purché si rispetti ogni legge della natura. Se invece si tratta di unioni tra uomo e uomo e donna e donna, equiparandole al matrimonio, qui si è contro la natura. Alla Chiesa spetta solo il dovere della profezia. Sono contro la verità della natura. Se a questo si aggiunge anche la possibilità dell’adozione, la verità della natura viene offesa anche nell’adozione. Si costringe un bambino a vivere in un ambiente contro la sua natura. La Chiesa non è mandata nel mondo per impedire il peccato e l’oscuramento della verità. La sua è solo voce di profezia: non fate questo, produce morte, mai vita. La vita è dalla verità della natura. La morte è dalla negazione della verità alla natura. Ma oggi non vi è la verità della natura, ma la volontà dell’uomo che si erge a verità di se stesso.Verità è la sua volontà. È il non senso. È la falsità che viene proclamata verità”.
Ritorni perciò al centro della politica la priorità della famiglia, rispetto alla società e allo Stato. Non si sostituisca, di conseguenza, nei temi che riguardano la procreazione e l’unione tra uomo e donna, la verità universale della natura, con la “verità a maggioranza” della volontà umana. Si va così verso l’oscuramento totale della regione. Quando la ragione si oscura, si può compiere ogni male; quel male per il quale più volte si sono condannate le precedenti generazioni e che ora, se non ci sarà un cambio di rotta, si rischia di rendere infinito.
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La priorità della famiglia e il DDL Cirinnà
Il parlamento si trova di fronte ad un voto di coscienza: se la verità diventa una questione di “maggioranza”, si va verso l’oscuramento della ragione