Con l’annunciata calendarizzazione della legge sull’eutanasia, ci troviamo di fronte ad un vero tentativo di legalizzare una forma di omicidio. Nessuno può arrogarsi il diritto di decidere quale vita sia degna di essere vissuta e quale no. La proposta di legge recentemente calendarizzata alla Camera è quella a firma della deputata Nicchi presentata in data 19 marzo 2015 che ha recepito,nei principi ed in parte nel contenuto, analoga proposta di legge di iniziativa popolare. Ora il tema dell’eutanasia, nel dibattito attuale, sembra circoscriversi alla depenalizzazione o meno di talune condotte che, in assenza di una esplicita scriminante normativa, integrerebbero fattispecie di reato quali l’omicidio o l’induzione al suicidio.
Tuttavia la problematica da affrontare, anche sul piano giuridico, è di più ampia portata: il disegno di legge in esame, infatti, rischia di compromettere ciò che la stessa Corte Costituzionale ha definito in più occasioni un diritto fondamentale “inviolabile”, il diritto alla vita. Non si può infatti dimenticare che, nell’ordinamento italiano, la vita umana è un bene indisponibile. Molte norme giuridiche vigenti riconoscono tale diritto fondamentale tra le quali possono citarsi l’art. 1 l. 22 maggio 1978, n. 194 (secondo il quale lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio), l’art. 1 l. 19 febbraio 2004, n. 40 (che annovera il concepito tra i soggetti di diritto) nonché l’art. 10 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006 (ratificata dall’Italia con l. 3 marzo 2009, n. 18). Può quindi affermarsi che nel diritto nazionale il diritto alla vita è protetto dalla possibile violazione ad opera non solo di terzi ma anche di sé stessi.
Vi sono poi evidenti aspetti problematici della proposta di legge: Oltre a non affrontare in maniera esplicita il problema di un possibile contrasto dell’istituto dell’eutanasia con il diritto alla vita, il progetto di legge presenta numerose criticità inerenti soprattutto alle modalità di manifestazione ed accertamento della volontà del paziente. Difatti, apparentemente la legge vorrebbe far intendere di dare una disciplina compiuta e specifica che consenta di verificare con certezza che l’eutanasia altro non sia che la “realizzazione” ad opera del medico della volontà attuale del paziente. Tuttavia l’intero capo III disciplinante la possibilità di una “dichiarazione anticipata” sconfessa tale intenzione. Se da un lato la legge afferma all’art. 2 comma 5 che il “paziente può revocare la propria richiesta in qualsiasi momento”, dall’altro l’art. 3 consente, in caso di incapacità di intendere e di volere del paziente, di dare validità ad una “dichiarazione anticipata”.
Ora tale dichiarazione “è valida se compilata entro i cinque anni immediatamente precedenti la condizione patologica che determina la perdita di capacità di intendere e di volere” (art. 3 co 4 proposta di legge Nicchi). Tale norma ha dell’incredibile: come è possibile affermare che l’eutanasia trova il suo fondamento nella diritto del soggetto di autodeterminarsi se si consente al medico, in caso di incapacità di intendere e di volere del paziente (anche temporanea), di “affidarsi” ad una dichiarazione resa dal paziente medesimo anche cinque anni prima!
Occorre inoltre sul punto ricordare che la norma fa riferimento all’incapacità di intendere e volere del soggetto, ad un concetto quindi giuridico, e non alla “consapevolezza” o meno del paziente e quindi alla sua capacità di percepire il proprio stato e la propria condizione. Ciò significa che il soggetto, pur non essendo oggettivamente in grado di revocare la propria “dichiarazione anticipata” potrebbe in realtà “volerlo fare”!
Parimenti censurabile è la figura del c.d. “fiduciario” (figura presente anche nella proposta di legge di iniziativa popolare) ovvero di una soggetto la cui volontà si sostituisce a quella del paziente per effetto di una precedente “designazione” da parte di quest’ultimo: anche in questo caso la volontà del soggetto sembra ampiamente compromessa. L’articolo 32 della Costituzione italiana, specifica che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Oltre al favor vitae che emerge da tutta la Costituzione, l’eutanasia è inoltre assimilabile a tutti gli effetti all’omicidio volontario, articolo 575 del codice penale. Di fronte alla sofferenza di un malato terminale, anziché lottare contro il dolore, intensificando le cure palliative ed accompagnare il paziente ad una morte dignitosa, si preferisce assecondare la logica utilitaristica ed eliminare direttamente il malato. È aberrante. Al di là della normativa giurisprudenziale chiariamo subito che non ci troviamo di fronte una contrapposizione fra ‘morale laica’ e ‘morale cattolica’, ma di quello che dovrebbe essere l’universale rispetto per la dignità di ogni persona nell’orizzonte fondante dei diritti umani, primo tra tutti quello alla vita.
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Eutanasia: no all'utilitarismo che uccide
Un’analisi della proposta di legge recentemente calendarizzata alla Camera che rischia di rischia di compromettere ciò che la stessa Corte Costituzionale ha definito un diritto “inviolabile”: il diritto alla vita