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Unioni civili: cosa dice la Chiesa in proposito?

Un documento del 2003 della Congregazione per la Dottrina della Fede spiega che “il parlamentare cattolico ha il dovere morale” di opporsi a questa legge, a prescindere dall’aspetto delle adozioni

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Stepchild adoption o affido rafforzato? Tra due settimane esatte, il 26 gennaio, approderà in Aula del Senato il ddl Cirinnà sulle unioni civili. Il tempo stringe, il dibattito si scalda. Ma su un aspetto soltanto della questione, ossia sull’art. 5 del testo.
Questo passaggio del ddl estende alle parti dell’unione civile la cosiddetta “adozione in casi particolari”, prevista dalla legge 184/83 sul diritto del minore ad una famiglia. Di fatto, consentirebbe ad uno dei membri di una coppia (anche omosessuale) di essere riconosciuto come genitore del figlio, biologico o adottivo, del proprio compagno.
I detrattori di questo meccanismo ritengono che, laddove consentito, aprirebbe la strada all’utero in affitto, attualmente vietato in Italia. Si potrebbe andare all’estero, ottenere un bambino con metodi surrogati, tornare in patria e vederselo riconosciuto come figlio. Sono in tanti a pensarlo, anche tra le fila del Partito Democratico. Di qui l’ipotesi di un compromesso che possa mitigare le insofferenze dei più perplessi e accontentare lo stesso gli alfieri del ddl Cirinnà.
Compromesso che risponde al nome di “affido rafforzato”. Si tratta – spiega Rosa Maria Di Giorgi, esponente del Pd al Senato che ha lavorato alacremente per trovare una soluzione condivisa sul testo – “di un nuovo istituto giuridico che consente al partner di occuparsi del bambino, figlio del compagno, svolgendo tutte le funzioni genitoriali. Con la possibilità quando compirà 18 anni di poter scegliere l’adozione”.
Una soluzione, insomma, che non conforta affatto chi ritiene sia un diritto del bambino quello di crescere con una figura maschile e una figura femminile di riferimento. Di crescere in una famiglia naturale.
Eppure, questo compromesso – stando a quanto si legge sui giornali – sembra raccogliere un consenso largo, a tal punto da rendere al Pd il numero di voti necessari per l’approvazione del testo in Senato. Un consenso che passa e lenisce i malumori dell’ala definita cattolica del Pd e persino che riesce a divellere le barricate alzate dal Nuovo Centrodestra.
Unici, all’interno del partito del ministro dell’Interno Angelino Alfano, a rigettare le unioni civili, al di là d’ogni dettaglio semantico sul tema delle adozioni, sono Maurizio Sacconi e Nico D’Ascola. In una nota, i due senatori Ncd esprimono la loro proposta di far tornare il ddl Cirinnà in Commissione – dicono – “alla luce dell’evidente necessità di non lacerare la nazione in una transizione già così faticosa”.
Fatica che conoscono bene le famiglie italiane, trafitte da una politica miope e soprattutto da una crisi culturale che svilisce le scelte definitive a beneficio del provvisorio. E si dà il caso che la crisi della famiglia è anche crisi della società, nella misura in cui quest’ultima ha la famiglia quale sua cellula primaria.
Porre l’unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello della famiglia, significa disconoscere a quest’ultima il suo ruolo primario e infliggere, pertanto, un duro colpo alla società. È questa la posizione ufficiale della Chiesa, al di là delle elucubrazioni su stepchild adoption e affido rafforzato.
Lo testimonia un documento redatto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, il 3 giugno 2003. Firmatari, il card. Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e l’allora mons. Angelo Amato, Segretario del Dicastero.
Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali. Questo il titolo del testo. Il quale senza tentennamenti parla della “coscienza morale” che “esige di essere, in ogni occasione, testimoni della verità morale integrale, alla quale si oppongono sia l’approvazione delle relazioni omosessuali sia l’ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali”.
Il documento risale dapprima alle origini bibliche della complementarietà tra i sessi, i quali “si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite”. Si fa riferimento poi agli aspetti “di ordine biologico e antropologico” che suggeriscono di non introdurre i bambini in ambienti nei quali verrebbero privati della “esperienza della maternità e della paternità”.
Viene poi spiegato il significato sociale del matrimonio, sottolineando “il compito procreativo ed educativo” che due persone si assumono nel momento in cui scelgono di sposarsi. “Le unioni omosessuali – si legge, al contrario – non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato”.
Il testo della Congregazione smentisce poi la tesi secondo cui una legge sulle unioni civili si rende necessaria per garantire dei diritti comuni che i conviventi invece non possiedono. Si legge infatti: “In realtà, essi possono sempre ricorrere – come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata – al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse”.
Il punto, secondo la Chiesa, dunque non ruota intorno al cavillo della stepchild adoption o dell’affido rafforzato, ma intorno all’opportunità o meno di licenziare dal Parlamento una legge che regolarizzi forme di unione diverse da quelle matrimoniali. Di qui l’appello ai parlamentari cattolici: “Nel caso in cui si proponga per la prima volta all’Assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale”.
Del resto, “riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società”.

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Federico Cenci

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