Alcuni vocaboli e modi di dire, entrati nell’uso comune dei giovani, rappresentano il segnale d’allarme di un’epoca in cui sembra trionfare la non-cultura del vuoto e del non-impegno. Certe parole sono il frutto del non-pensiero imperante, che vorrebbe cancellare il concetto di “sforzo” dalla sfera dei rapporti con gli altri.
Oggi il campo più devastato dalla non-cultura del non-impegno è sicuramente quello delle relazioni umane. Lo si comprende dal modo in cui sono cambiate, in peggio, le parole che riguardano i sentimenti.
I rapporti umani sembrano bruciarsi rapidamente. Tante canzoni, trasmissioni televisive, riviste per ragazzi parlano d’amore. Ma di quale amore si tratta? Che tipo di valore viene attribuito a questo termine? Troppo spesso, purtroppo, tutto si riduce ad una banale manifestazione del proprio egoismo.
Amare qualcuno significa impegnarsi. Significa, soprattutto, saper vedere l’altro come un essere umano. Non come un oggetto da usare, gettandolo via quando non serve più.
Il desiderio d’amare e di essere amati nasce, troppo spesso, per colmare un vuoto o per soddisfare un proprio bisogno. Ma poi, quando è necessario fare sul serio, impegnarsi, sacrificarsi, cominciano i problemi. C’è una tendenza a fuggire e a non assumersi le proprie responsabilità.
Per accorgersene basta riflettere su un modo di dire che viene utilizzato per definire i legami amorosi. Due persone che si amano, secondo il linguaggio comune, vivono “una storia”.
Questa parola, di per sé, rappresenta già un inganno. La “storia”, infatti, ha sempre un inizio ed una fine. Quindi lascia intravedere l’idea di un rapporto incerto, pessimista, non duraturo, limitato ad un periodo di tempo. E’ qualcosa che, prima o poi, terminerà.
Un altro grave problema è la mancanza di progettualità. La non-cultura del non-impegno sta contribuendo a far scomparire il termine “fidanzato”, che viene sostituito dal più generico “ragazzo”: il mio ragazzo, la mia ragazza…
Ormai non si dice quasi più che due persone sono “fidanzate”. Si dice, banalmente, che “stanno insieme”. E quindi, ci si limita a prendere atto di una situazione ovvia.
E’ vero che due persone che si amano “stanno insieme”. Ma questa espressione nasconde un inganno. Al contrario del “fidanzamento”, comunica un senso di immobilità, di stasi. Non manifesta la prospettiva di uno sguardo verso il futuro.
La massima espressione del non-impegno è rappresentata da una parola inglese utilizzata sempre più spesso: il “partner”. E’ una parola fredda, anonima, insignificante, che riassume alla perfezione il nulla più assoluto e la mancanza di progettualità di certi rapporti di oggi.
Un’altra parola vuota è “compagno”: il mio compagno, la mia compagna… Tanti giovani rifiutano di crescere e di assumersi le proprie responsabilità. Non vogliono sposarsi e scelgono la convivenza. Invece di essere marito e moglie, preferiscono essere “compagni”.
Che cosa si può fare per cambiare questa tendenza? Un primo passo potrebbe essere proprio quello di educare i giovani a ritrovare il più autentico significato delle parole, mettendo da parte i termini fumosi ed equivoci.
Basta con i “compagni” e con le “storie”! Al piatto conformismo di certi linguaggi ingannevoli bisogna contrapporre la gioia della speranza, della scommessa sull’altro, dell’impegno quotidiano per un amore teso verso le vette dell’infinito.
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Parole d’amore verso l’infinito
Abbiamo bisogno di riscoprire il linguaggio più autentico dei rapporti umani, in un mondo spesso dominato dal vuoto