“Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Queste righe dell’incipit del Vangelo di Giovanni sintetizzano con un’immagine potente la portata dell’evento della nascita di Gesù, descrivendolo come un fulgore che illumina tutte le tenebre: non a caso il segno che per primo ne annuncia la venuta è una cometa che brilla nella notte e conduce i magi davanti alla grotta.
È l’Epifania, notte gravida di prodigi tanto poetici quanto reali, descritta nei vangeli e cantata nei secoli da tutti i poeti e i contemplatori che hanno avvertito in essa il peso dirompente di un nuovo messaggio: “A quanti lo hanno accolto [Egli] ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel Suo nome, i quali non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12): è questo il calibro dell’avvenuta incarnazione di Gesù nel mondo. Per questo la luce è protagonista del giorno dell’Epifania e di tante poesie che ne contemplano il significato.
È sotto il raggio di un bagliore mai visto prima che si muovono i semplici pastori, i potenti della terra e sapienti Re Magi, la natura stessa che si ridesta a nuova vita. Perfino nei versi di Gabriele D’Annunzio la luce abbagliante della cometa si tinge di vermiglio e “si spande via / per miglia, miglia e miglia”, tanto che allo sguardo stupefatto del poeta si svela il grembo verginale di Maria che ha dato alla luce il Salvatore, e la cui purezza invade la terra e la fa rifiorire di nuovo splendore. Tutto è un canto, una melodia, un fulgore; cieli nuovi e terra nuova per gli occhi che contemplano il mistero. È Dio che si rivela, mentre il poeta si trova inaspettatamente davanti all’evento, incapace di attendere ancora oltre la sua promessa di felicità: “O fiore di Maria! / Passa la melodia / e la terra s’ingiglia”.
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Gabriele D’Annunzio
I Re Magi
Una luce vermiglia
risplende nella pia
notte e si spande via
per miglia e miglia e miglia.
O nova meraviglia!
O fiore di Maria!
Passa la melodia
e la terra s’ingiglia.
Cantano tra il fischiare
del vento per le forre,
i biondi angeli in coro;
ed ecco Baldassarre
Gaspare e Melchiorre,
con mirra, incenso ed oro.
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“Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio Unigenito, che è Dio, ed è nel seno del Padre, è Lui che lo ha rivelato”. È Gesù la luce stessa che, giunta nel mondo, appaga gli uomini dal desiderio di vedere il volto di Dio, lo stesso desiderio da cui prende impulso la Canzone dell’Epifania di Angelo Silvio Novaro, il quale, in preda alla concitazione, sfiora la condanna di rimanere sperduto per le strade di Betlemme.
“Pastorelli, pastorelli” è il raddoppiamento posto ad incipit che, senza preamboli, sfocia in una duplice domanda contenente già in sé l’ipotesi coraggiosa di una risposta positiva: “dove andate così snelli? / Udiste, forse, qualche dolce nuova / che il cuore vi muova?”; le solenni assonanze delle vocali chiuse lasciano trapelare le profondità dalle quali, timida all’inizio, zampilla la speranza che giaceva chiusa dentro il cuore intorpidito. Le domande del poeta si fanno insistenti come quelle di un bambino al passaggio dei Re Magi: “Chi cercate? Dite, dite / e i tesori a chi l’offrite?”, fino a rivolgere loro un grido di invocazione: “Deh, pigliatemi con voi! / Ch’io lo veda il Fanciullino”.
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Angiolo Silvio Novaro
Canzone dell’Epifania
Pastorelli, pastorelli
che passate prati e ruscelli
con in braccio la cornamusa
e gioia sul viso diffusa,
dove andate così snelli?
Udiste, forse, qualche dolce nuova
che il cuore vi muova?
E voi magi dalla ricca sella
che camminate dietro la stella
portando un sacco di doni,
e parete così buoni
con la barba e l’occhio mite,
chi cercate? Dite, dite,
e i tesori a chi l’offrite?
Oh, se andate a Betelemme
con quel càrico di gemme
deh, pigliatemi con voi!
Ch’io lo veda il Fanciullino
fasciato nel pannolino
tra l’asino e il bue suoi
che gli fumano vicino!
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La luce, la nascita, il viaggio dietro a una stella, e da ultimo il desiderio e il percorso di ogni uomo verso l’incontro con il Salvatore, è la nota di fondo del componimento con cui si conclude il nostro itinerario verso l’Epifania, e nel quale lo stesso Novaro si riscopre pellegrino dietro ai pastori, che nulla portano se non “ingenui cuori”.
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Angiolo Silvio Novaro
I Magi
La carovana
non è lontana
dei Magi d’Oriente.
Scalpitio di cavalli si sente,
suoni di pifferi, confuse
arie di cornamuse.
I re portano tesori
su cavalli bardati d’argento,
e i pastori a passo lento
ingenui cuori.
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Marciando in versi dietro alla Stella
D’Annunzio e Novaro, due poeti conquistati dalla luce dell’Epifania